70 E quegli a me: «O creature sciocche, Fece li cieli, e diè lor chi conduce, 79 Similemente agli splendor' mondani Che permutasse a tempo li ben' vani Di gente in gente e d' uno in altro sangue, 82 Perchè una gente impera, e l' altra langue, Che è occulto come in erba l'angue. 70 e seg. In questi versi il Poeta ritratta una opinione da lui emessa nel Convito (IV, 11), dove egli aveva scritto: La imperfezione delle ricchezze primamente si può notare nella indiscrezione del loro avvenimento, nel quale nulla distributiva giustizia risplende, ma tutta iniquità, quasi sempre. CREATURE SCIOCCHE: credendo che i beni terrestri sieno in potestà della fortuna come suoi, mentre invece essa ne è solamente ministra in distribuirli. 72. SENTENZA: ragionamento. - IMBOCCHE: imbocchi; voglio che riceva la mia sentenza come il fanciullo riceve il cibo quando è imboccato. Dante chiama spesso figuratamente cibo la scienza. 73. COLUI: Dio, la cui sapienza sormonta ogni cosa. - Savere per sapere usarono sovente gli scrittori antichi. La sapienza del Signore è infinita. Sal. 147, 5. 74. DIE LOR CHI CONDUCE: prepose a ciascun cielo un coro di intelligenze motrici. Li movitori de' cieli sono substanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiama angeli. Conv. II, 5. Vedi pure Conv. II, 6. Parad. VIII, 34 e seg. XXVIII, 75 e seg. 75. OGNI PARTE: del cielo immateriale; ognuno dei nove cori angelici. - AD OGNI PARTE: del cielo materiale; ad ognuna delle nove sfere celesti. 76. DISTRIBUENDO: distribuendo esso Iddio la sua luce con egual proporzione a' nove cori degli Angeli e alle nove sfere celesti; cioè maggior Îuce alla più vicina delle sfere, ugualmente che al più vicino degli angelici cori. Vedi Parad. XXVIII, 76 e seg. And. 77. SPLENDOR': di ricchezze, onori, potere e fama. 78. MINISTRA la fortuna, intelligenza angelica, amministratrice de' splendori mondani. 79. A TEMPO: di quando in quando, secondo il di lei giudizio, v. 86. — BEN' VANI: beni mondani. 80. DI GENTE IN GENTE: di nazione in nazione. SANGUE di famiglia in famiglia. D'UNO IN ALTRO 81. OLTRE LA DIFENSION: senza che forza od ingegno umano possa opporvisi. 82. Perchè: onde, per la qual cosa. LANGUE: oppressa, soggetta. 84. CHE È al. Ched' è a motivo dell' elisione della quale per altro i poeti antichi non se ne curavano molto.ANGUE: serpente. «Quando talora par che la fortuna ci asseconda, il suo riso è come di fiori, tra cui la serpe velenosa s' asconde.» Da Siena. Qui legitis flores et humi nascentia fraga, 85. NON HA CONTRASTO: non può contrastare. 88 91 Ella provvede, giudica e persegue Si spesso vien chi vicenda consegue. 97 100 103 Quando mi mossi; e il troppo star si vieta.»> Sovra un fonte, che bolle e riversa L'acqua era buja molto più che persa: 86. PERSEGUE: fa eseguire i suoi giudizii nel regno suo. 87. GLI ALTRI DEI: le altre intelligenze, le quali Platone chiama Idee e «li Gentili le chiamavano Dei e Dee»; Conv. II, 5. NON HANNO TRIEGUE: non 88. PERMUTAZION': grandi mutamenti. posson patteggiare, non entrano in accordi con gli uomini, come si fa tra due campi nemici per sospendere le ostilità. 89. NECESSITÀ: Te (fortunam) semper anteit saeva Necessitas, Oraz. Od. 1. 1. Od. 35. v. 18. La fortuna è veloce, dovendo tener dietro alla Necessità che le corre innanzi. Ai Gentili Necessità è l' inesorabile Fato, al Nostro essa è la personificazione dell' immutabile volere di Dio. 90. Si: è per questa ragione, che. - CHI: vuol prendersi come subietto. -CHI VICENDA CONSEGUE: il fortunato. I pagani avevano due fortune: l'una prospera, l' altra avversa; Dante ne conosce una sola, ministra de' beni terrestri. CONSEGUE è qui presente del congiuntivo. 91-93. Gli uomini la pongono in croce, cioè la svillaneggiano e bestemmiano, e dovrebbero invece lodarla del suo giusto governo. 95. CON: come le altre intelligenze, cfr. v. 87. L' ingiustizia umana non può turbare la beatitudine celeste. Colui che siede ne' cieli se ne ride. Sal. II, 4. 96. VOLVE SUA SPERA: volge la sfera a lei commessa de' beni terrestri. 97-99. Quando i due poeti incominciarono il loro viaggio si faceva notte, C. II, v. 1. e le stelle salivano; ora esse cadono; è dunque passata la mezza notte e principia il secondo giorno dell' azione del Poema. Siamo al mattino del 26 Marzo 1300. 97. A MAGGIOR PIÉTA: in più miserabile luogo, dove sono maggiori tormenti. 99. SI VIETA: Enea non istette più che una notte nell' inferno; anche ai due poeti non era conceduto di rimanervi più lungamente. «Allude all' insegnamento degli Ascetici, che nella considerazione de' vizj non si fermi la mente di soverchio, ma solo quanto basta a conoscerne la bruttezza loro e pernizie.» Lomb. 100. RICIDEMMO: attraversammo il quarto cerchio infino alla ripa che chiudeva il quinto, e pervenimmo sovra un fonte, ecc. 101. RIVERSA: sè si riversa. 102. FOSSATO: piccolo torrente. 103. BUJA: Oscura. PERSA: il perso è un colore misto di purpureo e di nero, ma vince il nero, e da lui si denomina. Conv. IV, 20. Se questa E noi, in compagnia dell' onde bige, Entrammo giù per una via diversa. 106 Una palude fa, che ha nome Stige, Questo tristo ruscel, quando è disceso Al piè delle maligne piaggie grige. 109 Ed io, che di mirar mi stava inteso, Vidi genti fangose in quel pantano Ignude tutte e con sembiante offeso. 112 Questi si percotean non pur con mano Ma con la testa e col petto e co' piedi Troncandosi co' denti a brano a brano. 115 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi L'anime di color cui vinse l' ira. Ed anco vo' che tu per certo credi 118 Che sotto l'acqua ha gente che sospira, aqua era più oscura che il color perso, seguita che ella doveva esser nerissima. Bocc. 104. IN COMPAGNIA: lungo le onde. BIGE oscure. 105. GIÙ: nel quinto cerchio. DIVERSA strana, orrida. Cfr. Inf. VI, 13. I poeti nell' inferno divertono sempre a sinistra. 106. STIGE: anche qui Dante attinge dalla mitologia. Cocyti stagna alta vides, Stygiamque paludem, Dii cujus jurare timent et fallere numen. Virg. En. VI, 323. 324. 107. TRISTO: denomina quel ruscello, e rapporto al luogo pien di tristizia, entro cui scorre, e rapporto al fine per cui scorre, ch'è d' impaludarsi a rattristare e tormentar anime. Lomb. 108. MALIGNE: malagevoli, scoscese; e anche maligne rapporto al luogo destinato a tormentare e nuocere. GRIGE: fosche, tetre. 109. INTESO: intento = io mirava attentamente. 110. GENTI: gli iracondi. PANTANO palude. 111. SEMBIANTE OFFESO: con aspetto sdegnoso e cruccioso, come è proprio di chì è vinto dall' ira. 112. SI PERCOTEAN: vicendevolmente. NON PUR: non solo colle mani, ma col capo, col petto e coi piedi; atti bestiali, ma proprii anche questi degli iracondi. 117. CREDI: creda. 118. GENTE: tutti gli antichi espositori sono d'accordo esser questi gli accidiosi, Il Daniello fu il primo a combattere questa opinione, volendo che sotto l'acqua fossero le anime di coloro che covano l' ira nel cuore senza lasciarne di fuori divampar la fiamma. Anche molti commentatori moderni accettarono questa opinione. Tuttavia forti ragioni ci inducono a stare cogli antichi. Evidentemente Dante distribuisce in questo canto i peccatori secondo il principio che «ciascuna virtù ha due nemici collaterali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco.» Conv. IV, 17. Come dunque nel cerchio antecedente egli pose avari e prodighi gli uni accanto agli altri, quegli peccanti per eccesso, questi per difetto: così in questo cerchio egli pone gli iracondi accanto agli accidiosi, due maniere di peccatori egualmente tra loro contrarii. Inoltre fu già osservato che il pocta nella classificazione dei peccatori segue in parte l'albero dei vizii di Ugo di S. Vittore. Ora anche costui pone tristitia, desperatio, pusillanimitas, timor, accidia accanto a ira, terror, contumelia, protervia, rixa. Pietro di Dante osserva, forse non senza ragione, che la palude stigia è dal Poeta destinata non solo agl' iracondi, ma agli accidiosi, agl' invidiosi, E fanno pullular quest' acqua al summo, Come l'occhio ti dice u' che s' aggira. 121 Fitti nel limo dicon: ,Tristi fummo Nell' aer dolce che dal sol s'allegra, Portando dentro accidioso fummo: 124 Or ci attristiam nella belletta negra.' Quest' inno si gorgoglian nella strozza, Chè dir nol posson con parola intégra.» 127 Così girammo della lorda pozza Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo, Con gli occhi vôlti a chi del fango ingozza: 130 Venimmo appiè d' una torre al dassezzo. ai superbi, una opinione che anche al Tommaseo sembra verisimile. «Certo», dice quest' ultimo, «l' invidia da lui rimproverata a' suoi concittadini sovente, meritava una pena. S' aggiunga che accidia negli antichi non ha solamente senso d' inerzia al bene, ma d' ogni non buona tristezza e d' ogni malinconia maligna, e però può comprendere anche l' invidia iraconda.» HA: vi è. -- 119. PULLULAR: gorgogliare, sorgere in bolle. -AL SUMMо: al sommo, fino alla superficie. «Per lo fiatare sotto l' acqua venivano li bollori suso. Buti. 120. U' CHE S'AGGIRA: Ovunque si volga. 121: LIMO: fango, poltiglia. 122. NELL' AER DOLCE: nella vita terrestre. Dolce rispetto al luogo dove essi sono presentemente, cfr. Inf. VI, 88. DAL SOL: al. del sol. «Ma dal qui risponde alla preposizione a o de latina, che significa e cagione e tempo; sicchè dal sole varrebbe e per cagione del sole, e dopo che il sole sia sorto.» Da Siena. 123. DENTRO: in noi. -FUMMO: per fumo usarono gli antichi anche in prosa. «Accidioso fummo, cioè il vizio dell' accidia, il quale tiene gli uomini così intenebrati e oscuri, come il fummo tiene quelle parti nelle quali egli si ravvolge.» Bocc. 124. BELLETTA: fango; propriamente la posatura che fanno le acque torbide. 125. INNO: per ironia; queste parole di lamento. «SI GORGOGLIAN: gorgogliare è quel romore che fa la gola, quando essendo piena d'acqua, impedisce la voce, che non può venir sù.» — STROZZA: gola. 126. NOL POSSON: essendo impediti dall' acqua che, volendo parlare, ingozzano. 127. POZZA: pozzo, gora. 128. GRAND' ARCO: gran parte. «Arco della pozza dice il Poeta come il geometra chiama arco una parte qualunque sia della circonferenza d'un cerchio.» Da Siena. SECCA: asciutta. MEZZO: il fradicio della pa lude (mézzo con l'e stretto e la aspra.). 129. A CHI: agli iracondi, essendo essi soli visibili; anche essi in quel loro gran tempestare (cfr. v. 112-114) ne ingozzavano la loro parte. 130. AL DASSEZZO: da ultimo, finalmente. DANTE, Divina Commedia. I. 5 Io dico seguitando, che assai prima Che noi fussimo al piè dell' alta torre, Tanto che appena il potea l'occhio tôrre. Dissi: «Questo che dice? e che risponde Quell' altro foco? e chi son quei che il fenno?» 10 Ed egli a me: «Su per le sucide onde 1. SEGUITANDO: continuando a ragionare dei peccatori del quinto cerchio. Il Boccaccio, e dietro lui molti altri, vedono in questo verso un'indizio d' interruzione lunga del lavoro, incominciato già prima dell' esiglio. Ma questa opinione è assolutamente erronea, non avendo Dante incominciato il suo poema che parecchi anni dopo il suo esiglio, come verrà dimostrato nel volume dei Prolegomeni. 4. 1': vi, ivi. Il numero delle fiammette o lumiere corrisponde al numero dei viandanti. Le torri sono due: l' una di quà dello Stige, dalla quale si dava a Flegias il segnale d' ogni arrivo, l' altra di là, dove accendendo un' altra fiamma si faceva segno di avere inteso. La città di Dite presenta così l' immagine di una terra assai ben munita. 5. RENDER CENNO: al segnale già dato delle due fiammette, rispondendo con simigliante cenno, cioè con un' altra fiammetta. 6. TANTO: Costruisci: render cenno tanto da lungi, che ecc. La lontananza di questo lume dimostra la larghezza di questi cerchj infernali. TORRE: prendere, scernere. 7. AL MAR: a Virgilio, il savio gentil che tutto seppe C. VII, 3. SENNO: saviezza. 8. QUESTO CHE DICE? che significa questo fuoco delle due fiammette, v. 4? Chiede Dante chi abbia fatto quei fuochi e cosa essi vogliano significare. 10. SUCIDE ONDE: dello Stige; sucide, perchè nere, VII, 124. e fangose, VII, 129. |