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136 Si vedrai ch' io son l'ombra di Capocchio, Che falsai li metalli con alchimia

E ten dee ricordar, se ben t' adocchio, 139 Com' io fui di natura buona scimia.»>

136. CAPOCCHIO: secondo alcuni da Siena, Lan., Buti, Land., Vell., Dan.; secondo altri fiorentino, An. Fior., Ott., Petr. Dant., Falso Bocc., An. ed. Selmi, Benv. Ramb., Barg. L' Acquarone, 1. c., e il Carpellini, 1. c., lo dicono coetaneo di Dante, e da giovinetto intimo di lui. Che Dante lo avesse conosciuto lo provano questi versi. Fu arso vivo a Siena nel 1293. Nell' Archivio di Stato di Siena in data 3 agosto 1293 fu scritto: item pagati XXXVIII sol. dicta die in uno floreno de auro tribus ribaldis qui fecerunt unam justitiam, ideo quod fecerunt comburi Capocchium (cfr. Ferrazzi: Man. Dant. Vol. IV. pag. 398). «Fu conoscente dell' Auttore, et insieme studiorono; et fu uno che, a modo d' uno uomo di corte, seppe contraffare ogni uomo che volea, et ogni cosa, tanto ch' egli parea propriamente la cosa o l'uomo ch' egli contraffacea in ciascuno atto: diessi nell' ultimo a contraffare i metalli, come egli facea gli uomini.» An. Fior. « Dicono alcuni, che il giorno di Venerdì santo egli astratto in meditazione disegnò nelle sue unghie tutto il progresso della passion di Cristo, e sopragiugnendo Dante, con la lingua la cancellò.» Land.

137. FALSAI: non tutti gli alchimisti vuol Dante puniti, ma soli i falsari. Tom.

138. TEN DEE RICORDAR: avendomi conosciuto personalmente su nel mondo. SE BENT ADOCCHIO: se l'occhio non m' inganna, se sei veramente colui che mi sembri; cfr. Inf. XXVIII, 72.

139. BUONA SCIMIA: contraffattore perfetto; seppi contraffare si bene le cose, come la scimmia contraffà gli atti degli uomini; cfr. v. 136. nt.

CANTO TRENTESIMO.

CERCHIO OTTAVO; BOLGIA DECIMA: FALSATORI D' OGNI GENERE. MIRRA. GIANNI SCHICCHI. MAESTRO ADAMO.

SINON DA TROJA.

Nel tempo che Giunone era crucciata
Per Semelè contra il sangue tebano,
Come mostrò una ed altra fiata,

4 Atamante divenne tanto insano,

1. GIUNONE: moglie di Giove. Vedi la bella narrazione della favola, alla quale allude il Poeta, in Ovid. Metam. 1. III, 253-315. IV, 416-562.

2. SEMELE: coll' accento sull' ultima, conforme la pronuncia dei Greci e Latini. Semele, figlia di Cadmo, primo re di Tebe, fu amata da Giove; per vendicarsi dell' ingiuria la gelosa Giunone prima si trasformò in Beroe, vecchia balía di Semele e persuase quest' ultima a richiedere da Giove che venisse a lei vestito del suo splendore. Semele fece giurar Giove di concederle ciò che era per chiedergli; egli giurò, e fu costretto di compiacere ai di lei desii. Lo splendore di Giove uccise Semele. Nè di questa vendetta soddisfatta, Giunone infieriva contro tutta la stirpe di SANGUE progenie, stirpe.

Tebe.

3. COME MOSTRO: Al. come mostrò già. UNA ED ALTRA FIATA: più volte. Fece che Attenoe, unico figlio di Autonoe, sorella di Semele e moglie d' Aristeo, venisse lacerato da' propri cani; che Agave, moglie d' Echione, altra figlia di Cadmo, sacrificando a Bacco insieme con le figlie ebbre uccidessero l' unico figlio maschio Penteo, parendo loro che fosse un cinghiale; che Ino, figlia anch'essa di Cadmo si gittasse nel mare, come dirà ne' versi seguenti. Una ed altra fiata sta qui senza articolo, non volendosi determinare le volte a due sole; coll' articolo Inf. X, 48 trattandosi là di due sole volte.

4. ATAMANTE: re di Tebe, marito di Ino. Ovid. Met. 1. IV, 512 e seg.:

INSANO: furibondo.

Protinus Aeolides media furibundus in aula
Clamat: Io, comites, his retia tendite silvis!
Hic modo cum gemina visa est mihi prole leaena,
515 Utque feræ sequitur vestigia conjugis amens:
Deque sinu matris ridentem et parva Learchum
Brachia tendentem rapit et bis terque per auras
More rotat fundæ, rigidoque infantia saxo
Discutit ora ferox. Tum denique concita mater,

Cfr.

DANTE, Divina Commedia. I.

23

7

Che veggendo la moglie con duo figli
Andar carcata da ciascuna mano,
Gridò: «Tendiam le reti, sì ch' io pigli
La lionessa e i lioncini al varco»;
E poi distese i dispietati artigli,
10 Prendendo l' un che avea nome Learco,
E rotollo, e percosselo ad un sasso;
E quella s' annegò con l' altro carco.
13 E quando la fortuna volse in basso

L'altezza de' Trojan' che tutto ardiva,
Sì che insieme col regno il re fu casso:

525

520 Seu dolor hoc fecit, seu sparsi causa veneni,
Exululat passisque fugit male sana capillis:
Teque ferens parcum nudis, Melicerta, lacertis :
Euhoe, Bacche! sonat. Bacchi sub nomine Juno
Risit et Hos usus præstet tibi, dixit, alumnus.
Imminet æquoribus scopulus. pars ima cacatur
Fluctibus et tectas defendit ab imbribus undas
Summa riget frontemque in apertum porrigit æquor.
Occupat hunc . . . vires insania fecerat.
Ino,
Seque super pontum nullo tardata timore
530 Mittit onusque suum. percussa recanduit unda.

...

Abbiamo recato questo passo d' Ovidio in esteso, perchè, come ognun vede, i versi di Dante sono su per giù una traduzione di esso.

5. CON DUO: Al. co' duo. Non sappiamo quasi a qual lezione dare la preferenza. Gregoretti (Sulla nuova ediz. della Div. Com. Venez. 1862, pag. 21) pretende che la lezione con guasti il magnifico quadro ed iscemi la pietà verso la infelice madre, lasciando supporre che avesse, oltre que' due, degli altri figli. Ma con è lezione di ottimi codd., e così leggevano Lan., Ott., An. Fior., An. ed. Selmi, Postil. Cass., Beno. Ramb., Buti, Barg., Vic. Buonan. ecc. e l'autorità di questi antichi vale fors' anche qualche coserella. Lo Scarabelli ripete fedelmente il detto dal Gregoretti e soggiunge: «Oltre a ciò il con fa credere che la madre avesse due figliuoli per ciascuna mano!»> Ma se ciucaggini tali stanno bene in bocca di un pulcinella, esse non giovano poi a decidere questioni di critica. — DUO FIGLI Learco e Melicerta.

6. DA CIASCUNA MANO: dall' uno e dall' altro lato, dal destro e dal mancino; così: da ogni mano, Inf. VII, 32. ad ogni man, IX, 110. ecc. Al. portante un per braccio i due figliuolini. Ma ad Atamante pare che i due figli siano lioncini, e vuol pigliarli tendendo le reti: dunque la madre non li portava, ma li conduceva.

8. LA LIONESSA: Ino. I LIONCINI: i due figli.

9. ARTIGLI: le mani che egli adopra colla fierezza d' uno sparviere grifagno.

10. L' UN: de' due figli.

12. QUELLA: Ino. CON L'ALTRO CARCO: con l'altro figliuolino, che nel fuggire s' era tolto in braccio.

13. LA FORTUNA: cfr. Inf. VII, 73-96.

Inf. VII, 96.

VOLSE: Volve sua spera,

14. L' ALTEZZA: superba. TUTTO ARDIVA: anche scelleratezze come lo spergiuro di Laomedonte e il ratto di Elena.

15. INSIEME: Troia simul Priamusque cadunt. IL RE: Priamo. FU CASSO: estinto, ucciso. tamen, et athere cassis. Virg. Aen. 1. XI, 104.

Ovid. Met. 1. XIV, 404.
Nullum cum victis cer-

16 Ecuba trista misera e cattiva

19

22

25

Poscia che vide Polissena morta,
E del suo Polidoro in su la riva
Del mar si fu la dolorosa accorta,
Forsennata latrò sì come cane;
Tanto il dolor le fe' la mente torta.
Ma nè di Tebe furie nè trojane

Si vider mai in alcun tanto crude,

Non punger bestie, non che membra umane,
Quant' io vidi in due ombre smorte e nude

16. ECUBA: moglie di Priamo. Cfr. Ovid. Met. 1. XIII, 399-575. MISERA: Ovid. Metam. XIII, 422 e seg.:

Ultima conscendit classem, miserabile visu,
In mediis Hecabe natorum inventa sepulchris.

CATTIVA: prigioniera de' Greci. Nunc etiam prædæ mala sors. Ovid. 1. c. 485.

17. POLISSENA: sua figlia, sacrificata dai Greci al sepolcro d' Achille. Ovid. 1. c. 441-480.

18. POLIDORO: ultimo figlio di Ecuba, da lei affidato a Polinnestore, re de' Traci, il quale, guadagnato e corrotto con doni dai Greci, uccise Polidoro. Ecuba si scontrò nel di lui cadavere sui lidi della Tracia. Ovid. 1. c. 527-569.

20. FORSENNATA: fuori di sè dal dolore. Ovid. 1. c. 538 e seg.:

Troudes exclamant. obmutuit illa dolore,
Et pariter voces lacrimasque introrsus obortas
Devorat ipse dolor. duroque simillima saxo
Torpet, et adversa figit modo lumina terra
Interdum torcos extollit ad æthera oultus.

LATRO latravit, conata loqui. Ovid. 1. c. 569.
ibid. 571.

Ululavit mesta per agros;

21. TANTO IL: Al. tanto dolor. MENTE TORTA: le fe' dar la volta. 22. MA NE: ma non si videro mai furie tanto crudeli in Atamante nè in Ecuba, non nelle belve nè in uomo alcuno: quanto io vidi in due ombre ecc. Al. Ma non fûr mai vedute furie nè in Tebe nè in Troia andar sì crudeli contro alcuno, nè si acerbamente straziar bestie non che membra umane (uomini), quanto crudeli e furiose vidi due ombre ecc. Questa dichiarazione presuppone che la vera lezione al v. 25 sia vidi due ombre invece di vidi in due ombre; in secondo luogo essa prende furie personalmente Erinni, invece di prenderlo nel senso di furori. Si osservi però: 1. in due ombre nel v. 25 è lezione degli ottimi codd., e così lessero tutti gli antichi commentatori. 2°. che furie non alluda qui alle Erinni sembra provarlo, per tacer d' altro, il v. 79, nel quale le due ombre si chiamano arrabbiate infuriate. Cf. Blanc, Versuch etc. pag. 261. 262.

23. IN ALCUN: dentro ad alcuno. Al. contro alcuno, come Inf. VIII, 63 ecc. Ma questa spiegazione sta e cade colla lez. vidi due ombre, v. 25. 24. NON: sottintendi si videro mai.

25. QUANTO: crude. VIDI: le furie. IN DUE: Al. due; cfr. v. 22 nt. L' una delle due ombre è Gianni Schicchi, v. 32, l' altra Mirra, v. 37. Siamo ai falsificatori delle persone. Gianni Schicchi falsificò altri in sè, Mirra sè in altri. Questi dannati sono tormentati e tormentatori nello stesso tempo. SMORTE: pel dolore e pel furore. NUDE: come le altre,

Inj. III, 100.

Che mordendo correvan di quel modo

Che il porco quando del porcil si schiude.
28 L'una giunse a Capocchio, e in sul nodo
Del collo l'assannò sì, che, tirando
Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.

31 E l' Aretin, che rimase tremando,

Mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,

26. DI QUEL MODO: nello stesso modo come il porco affamato, che esce dal porcile aperto. « Chi vide porco affamato, apertogli il porcile, gittarsi fuori ragghiando e assannando ogni cosa che trova, dice: Niente si può immaginarsi più fiero.» Ces.

27. SCHIUDE: esce dal porcile chiuso. Schiudersi prendesi qui in senso neutro passivo uscire di luogo chiuso.

28. CAPOCCHIO: cfr. Inf. XXIX, 136 nt. NODO DEL COLLO: la congiuntura del capo col collo. Capocchio essendo caduto in modo da grattarsi il ventre al fondo, sembra che fosse stato addentato dalla parte posteriore del collo tra le vertebre cervicali.

29. L' ASSANNò: lo prese sul nodo del collo con le sanne, stando ne la similitudine del porco, del quale le sanne sono. Vellut.

30. GRATTAR GLI FECE: tirandolo e trascinandolo per terra. FONDO: della bolgia. - SODO: duro, perchè tutto di pietra, cfr. Inf. XVIII, 2. Non gli bisognava più grattarsi lo scabbioso ventre colle unghie; Inf. XXIX, 80 e seg.

31. L' ARETIN: Griffolino, Inf. XXIX, 109. nt. -TREMANDO: tremava già prima, Inf. XXIX, 98; il timore di esser assannato egli pure come il suo compagno Capocchio lo fa tremare ancor più fortemente.

32. FOLLETTO: propriamente nome di certi spiriti maligni, che la superstizione credeva e crede vadino errando per l'aria, e inquietando le abitazioni degli uomini. Qui chiama per similitudine folletto l'ombra trasvolante dello Schicchi. GIANNI SCHICCHI: forse Sticchi come scrive l'An. Fior., il quale racconta: «Questo Gianni Sticchi fu de' Cavalcanti da Firenze, et dicesi di lui che, essendo messer Buoso Donati (cfr. Inj. XXV, 140) aggravato d' una infermità mortale, volea fare testamento, però che gli parea avere a rendere assai dell' altrui. Simone suo figliuolo (probabilmente nipote, non figliuolo) il tenea a parole, per ch' egli nol facesse; e tanto il tenne a parole, ch' elli morì. Morto che fu, Simone il tenea celato, et avea paura ch' elli non avessi fatto testamento mentre ch' egli era sano; et ogni vicino dicea ch' egli l' avea fatto. Simone, non sappiendo pigliare consiglio, si dolse con Gianni Sticchi et chiesegli consiglio. Sapea Gianni contraffare ogni uomo, et colla voce et cogli atti, et massimamente messer Buoso, ch' era uso con lui. Disse a Simone: Fa venire uno notajo, et di' che messer Buoso voglia fare testamento: io enterro nel letto suo, et cacceremo lui dirietro, et io mi fascerò bene, et metterommi la cappellina sua in capo, et farò il testamento come tu vorrai; è vero che io ne voglio guadagnare. Simone fu in concordia con lui: Gianni entra nel letto, et mostrasi appenato, et contraffà la voce di messer Buoso che parea tutto lui, et comincia a testare et dire: Io lascio soldi XX all' opera di santa Reparata, et lire cinque a' Frati Minori, et cinque a' Predicatori, et così viene distribuendo per Dio, ma pochissimi danari. A Simone giovava del fatto; et lascio, soggiunse, cinquecento fiorini a Gianni Sticchi. Dice Simone a messer Buoso: Questo non bisogna mettere in testamento; io gliel darò come voi lascerete Simone, lascerai fare del mio a mio senno: io ti lascio sì bene, che tu dei essere contento - Simone per paura si stava cheto. Questi segue: Et lascio a Gianni Sticchi la mula mia; chè avea messer Buoso la migliore mula di Toscana. Oh, messer Buoso, dicea Simone, di cotesta mula si cura egli Gianni Sticchi vuole meglio di te. sumarsi; ma per paura si stava. Sticchi fiorini cento, che io debbo

poco et poco l' avea cara Io so ciò che Simone si comincia adirare et a conGianni Sticchi segue: Et lascio a Gianni avere da tale mio ricino; et nel rimanente

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