Imágenes de página
PDF
ePub

nel 1922, a 24.943 milioni nel 1923, a 22.236 nel 1924 e a 17.590 milioni di lire nel 1925. Questa cifra del 1925 andrà considerata un po' più da presso, perchè essa è la risultante non solo della politica del tasso basso, ma altresì di altri fattori. Grazie alla discacciata del denaro dei Buoni ordinari, si accrescono, siccome era desiderato, i Buoni poliennali, che da 7.232 milioni nel 1922 passano a 10.741 nel 1923, a 11.468 nel 1924, a 12.411 milioni nel 1925. Contemporaneamente viene fatto anche un tentativo più ardito: quello di un ritiro di Buoni del Tesoro ordinari, triennali e quinquennali mediante il ricavato da un'emissione di obbligazioni al 4 3/4 %. Il successo non arride però a questo tentativo. E, del resto, quanto ai Buoni del Tesoro ordinari, non tutti avevano la possibilità o la convenienza a trasformarsi in Buoni a lunga scadenza o in altri titoli di Stato. Egli è che i Buoni del Tesoro ordinari venivano acquistati da Banche e Istituti di Credito che li consideravano come cambiali e li immettevano nei loro Portafogli siccome il modo più liquido di investimento delle proprie disponibilità. Il Buono a lunga scadenza e il Consolidato non potevano servire allo stesso scopo, perchè non potevano essere incassati al 100% a breve scadenza. Essi sono soggetti ad essere negoziati e venduti e il ricavato dipende dal mercato. Perciò gli istituti di credito, per la parte di Buoni del Tesoro da essi posseduta, non potevano seguire l'indirizzo su citato convogliante alla trasformazione dei Buoni ordinari in novennali e Consolidato.

Non solo. Ma anche sui Buoni del Tesoro ordinari che continuavano a esistere come tali, la forte riduzione del tasso di interesse rendeva alle Banche impossibile di conservarli nel proprio Portafoglio. Il tasso d'interesse delle Banche e delle Casse di Risparmio corrisposto ai depositanti superava, infatti, tenuto conto dell'imposta di Ricchezza Mobile e delle spese del servizio, sensibilmente quello fruttato dai Buoni del Tesoro ordinari. Donde il generale allontanarsi degli Istituti di Credito dagli impieghi in Buoni del Tesoro. I denari che, per effetto della non rinnovazione dei Buoni del Tesoro restavano liberi alle Banche, cercavano evidentemente altre forme di impiego. Le Banche in parte li convogliavano con detrimento della liquidità loro — a una più larga concessione di crediti, con ciò accentuando la spinta ad una crescente attività produttiva e costruttiva, ma in parte esse dovevano adibirli a investimenti di più sicuro e pronto smobilizzo: sconti di carta commerciale e riporti in Borsa. La massa della carta commerciale buona non si moltiplica da un momento all'altro e la concorrenza bancaria per la sua ricerca fa diminuire lo sconto privato e quindi il rendimento dell'opera

5- Politica.

zione. Donde per le Banche la necessità per così dire fatale di rivolgere i mezzi allontanatisi forzosamente dai Buoni del Tesoro ordinari alle operazioni di finanziamento delle speculazioni di Borsa. L'abbondanza del denaro e il suo basso saggio d'interesse fanno salire i corsi dei valori; i guadagni realizzati dai primi e secondi operatori inducono cerchie sempre più larghe di pubblico all'acquisto di azioni. Gli agenti di cambio incoraggiano tali speculazioni, perchè trovano facilmente a prestito dalle Banche i denari occorrenti. Non è più necessario disporre di somme per speculare in Borsa. Sembra che tutto si risolva nell'incassare fior di differenze ogni fine mese. I titoli salgono e salgono. Per rapporto ai dividendi distribuiti, il loro reddito col montare dei corsi si riduce sempre di più: passa al 4, poi al 3, poi al 2 per cento. Chi bada più al reddito? Tutti guardano esclusivamente ai corsi.

Il denaro facile e a basso prezzo, l'espulsione delle disponibilità bancarie dagli investimenti in Buoni del Tesoro portano al più sfrenato «boom » di Borsa. I capitali per il finanziamento di siffatto enorme castello speculativo devono essere sempre più ingenti. In un certo momento, mentre domestici e donne si accostano in massa alla speculazione e il rischio s'accresce per gli agenti di cambio, si cominciano ad avvertire le prime avvisaglie di un prossimo esaurimento della grande facilità monetaria. Spaventati, gli intermediatori di Borsa, i quali hanno sulle loro spalle tutto il peso della responsabilità finanziaria di operazioni per conto di clienti che non danno alcun affidamento di poter pagare se la situazione si capovolge, prestano facile ascolto e danno diffusione e credito ai ragionamenti con i quali dai più sfegatati rialzisti si tende a sostenere e accentuare il movimento all'aumento. Il ragionamento si riassume in poche proposizioni. Guardate la sorte della moneta in Germania, in Austria ecc., osservate il declinare del franco francese. È meglio possedere un'azione che non renda magari niente, ma rappresenti dei valori reali, come case, terreni, macchinari, ecc. piuttosto che tener delle lire. Da ciò un incitamento e convertire i depositi e crediti in acquisti speculativi, un incitamento pericolosissimo a scappar dalla moneta, alla fuga dalla lira. In questo momento, consapevole del pericolo, il Ministro delle Finanze interviene. Il suo è un intervento energico e anche più energica è l'applicazione che gli organi esecutivi danno ai suoi provvedimenti. Dai provvedimenti, non direttamente attinenti al Tesoro, qui si vuol prescindere. Qui si ricorda soltanto che il 9 marzo 1925 il saggio dello sconto veniva portato dal 5 1/2 al 6 e quello delle anticipazioni al 6 1/2 per cento. Questo aumento

non bastava: il 3 di giugno il tasso di sconto veniva elevato al 6 1/2 e il 18 giugno tanto lo sconto quanto il tasso per le anticipazioni venivano aumentati al 7 per cento (1). L'inasprimento dei tassi insieme colla persistente tendenza del denaro per le cagioni delle quali si dirà più diffusamente in seguito — a fuggire dalla lira, e oramai non per rivolgersi agli impieghi in azioni ma per l'acquisto di divise, portano alla necessità di fronteggiare un esodo eccessivo del denaro dai Buoni del Tesoro, i quali questa volta vengono disertati perchè il pubblico diffida della lira. E perciò verso la fine del primo semestre 1925 i Buoni del Tesoro presentano una diminuzione preoccupante, malgrado l'interesse per i Buoni con scadenza da 3 a 5 mesi sia stato portato il 3 giugno 1925 dal 3,75 al 4,25 e il 18 giugno 1925 al 5,25 per cento. Il denaro a buon mercato aveva ceduto il passo, oramai, al denaro caro.

av

A proposito del periodo del denaro a buon mercato è da ricordare che dal basso saggio dell'interesse i capitali italiani ebbero stimolo e incentivo a investirsi in valori stranieri e in partecipazioni estere e sono di questa fase le sottoscrizioni venute per altro, giova notare, anche per motivi di politica internazionale ai Prestiti per l'Austria, la Germania, l'Ungheria, come pure l'emissione in Italia di un prestito alla Polonia e molti interessamenti in imprese straniere. Contemporaneamente il Tesoro effettuava altresì il rimborso dei debiti contratti durante la guerra dallo Stato con privati banchieri esteri e ammontanti a cospicue cifre. Infatti al 30 giugno 1925 risultano estinti:

(1) Precedentemente, il Ministro delle Finanze erasi dichiarato contrario ad un elevamento del tasso dell'interesse, mostrando tale sua avversione nel discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 20 dicembre 1924 con i seguenti ragionamenti: Dalle condizioni di fatto risulta che: 1) Un aumento del saggio dello sconto, attuato di recente anche altrove con scarsi risultati sul cambio, avrebbe per effetto di contrarre esclusivamente la parte sana della circolazione senza contrarne la parte malata; 2) Sarebbe comun que inefficace se tale aumento si limitasse ad una tenue misura; 3) Uno sbalzo notevole nel saggio dello sconto riuscirebbe intollerabile nelle regioni dell'Italia centrale e meridionale che vivono in un'economia di bassi profitti; 4) Implicherebbe, senza una ragione sufficiente, l'aumento del saggio dei buoni del Tesoro e la diminuzione della quotazione dei debiti pubblici, comprometterebbe l'ammortamento del debito fluttuante, danneggerebbe gli aventi diritto al risarcimento dei danni di guerra. Riassumendo: l'aumento dello sconto presenta nelle condizioni attuali della circolazione scarsa o nulla efficacia; produrrebbe il rincaro dei costi dei prezzi, e, quindi, del cambio e cioè quelle incidenze che, a malgrado difficoltà di ogni ordine, si sono volute evitare nello svolgimento di tutta la nostra attività tributaria e di Tesoro.

[merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small]

Cade, anche, in questo periodo la dichiarazione, ripetutamente riaffermata dal Ministro delle Finanze, di non voler contrarre prestiti di Stato all'estero.

III.

Gioverà premettere una cronistoria delle vicende del cambio italiano nel movimentato periodo dal novembre 1922 in poi, prima di considerare nelle loro risultanze finali le singole forze che hanno agito e cospirato a dare alle oscillazioni della lira un aspetto antitetico con i progressi della restaurazione finanziaria e con l'innegabile fervore delle attività economiche. La curva del cambio italiano, quale risulta - salvo parentesi di punte dal novembre 1922 al giugno 1925 è nettamente sconcertante se si considera in sè stessa, avulsa cioè dai fatti ereditari del passato. Espresso in confronto a una parità di 100, il prezzo medio mensile del dollaro, che nel novembre 1922 era di 433.7 dopo un breve periodo di miglioramento dal dicembre al maggio supera questo livello nel secondo semestre 1923 e nel 1924 aggirandosi intorno al 440 %, per rapidamente inasprirsi nel 1925: a 463 % nel gennaio, a 474 nel marzo, a 504 nel giugno. Posto a confronto coll'andamento del franco francese e del franco belga, il corso della lira, in un primo periodo si proporziona alla indiscutibile superiorità della politica finanziaria italiana; poi invece rivela una maggior debolezza lungo tutto il 1924 e i primi tre mesi del 1925. Poi il ritmo discendente dei due franchi è nuovamente più rapido.

Consideriamo anzitutto le fluttuazioni avvenute nel 1923, sulla base delle medie mensili dei prezzi praticati sul mercato di New York (in cents per lira e franco):

[merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

La tendenza è declinante per tutte le monete latine; molto più accentuatamente per i franchi che per la lira. Le cause visibili di questa tendenza generale? Anzitutto i fattori politici e i movimenti di « simpatia »: tensione franco-belga-germanica per le riparazioni, occupazione della Ruhr, crollo del marco tedesco, timori di complicazioni in Oriente. Quale la situazione dei singoli fattori economici di importanza monetaria nell'annata? Nel 1923 la bilancia mercantile presenta un miglioramento rispetto all'anno precedente, essendo diminuita di altri 295 milioni la eccedenza delle importazioni sulle esportazioni (da 6436 a 6139 milioni). Buono l'andamento delle rimesse degli emigranti. Cospicuo aumento nel concorso dei forestieri. Incremento dei noli marittimi attivi. Acquisti stranieri di titoli italiani. Per contro, però, larghe partecipazioni del capitale italiano all'estedo ed estinzione di debiti contratti verso privati esteri durante la guerra. Inoltre diminuzione dei conti « loro » stranieri presso le Banche italiane: da circa tre miliardi alla fine del 1922 a poco più di due miliardi e mezzo alla fine del 1923. La circolazione totale (delle Banche e in biglietti di Stato) passa da 20.279 milioni di lire al 31 dicembre 1922 a 19.674 milioni al 31 dicembre 1923. Tutti questi progressi visibili della situazione economicofinanziaria dell'Italia nel primo anno dell'era fascista sembravano legittimare la generale aspettazione di un miglioramento del cambio. Fu una delusione. Ed anche più amara, perchè la depressione della lira nel 1924 e nel primo trimestre 1925 è maggiore dello stesso deprezzamento subito dai due franchi, e ciò in antitesi stridente col fatto del ben diverso orientamento delle finanze della Francia e del Belgio a paragone della sicura e severa politica finanziaria del nostro Paese.

In confronto al dicembre 1923, la lira perde nel marzo 1925 il 6 %, mentre nello stesso spazio di quindici mesi il franco francese si mantiene press'a poco agli stessi livelli e il franco belga riesce persino a superarli. Quali i motivi di un così anormale svolgimento delle diverse situazioni monetarie?

Anzitutto, per quanto riguarda il franco, va rilevato che la fermezza di esso è dovuta non al libero giuoco delle cause na

« AnteriorContinuar »