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dell'Albania è una questione d'importanza internazionale, la citata decisione riconosce che la violazione delle frontiere « ou de l'indépendance de l'Albanie, pourrait constituer une menace pour la sécurité stratégique de l'Italie ». Data questa premessa le quattro grandi Potenze rappresentate nel Consiglio degli Ambasciatori « décident, dans le cas susdit (cioè nel caso che l'Albania si trovasse nell'impossibilità di mantenere la sua integrità territoriale) de donner pour instructions à leurs représentants dans le Conseil de la Société des Nations, de recommander que la restauration des frontières territoriales de l'Albanie soit confiée à l'Italie ». E nel caso che il Consiglio della Società delle Nazioni decidesse, a maggioranza di voti, che un suo intervento non è utile, « les Gouvernements susdits examineront la question à nouveau, s'inspirant au principe contenu dans le préambule de cette déclaration, à savoir que toute modification des frontières de l'Albanie constitue un danger pour la sécurité stratégique de l'Italie ». I diritti e i doveri che derivano all'Italia dalla succitata decisione del Consiglio degli Ambasciatori sono facilmente precisabili. Sono fra di loro interdipendenti e sono la logica conseguenza nel riconoscimento che l'indipendenza dell'Albania e l'integrità dei suoi confini costituiscono un problema d'importanza internazionale. Questi diritti e questi doveri, chiaramente fissati nella decisione del Consiglio degli Ambasciatori, nell'accordo italo-albanese di Tirana vengono solennemente sanzionati. Il «< fatto nuovo», denunciato da Nincic non esiste. È, se mai, la conferma in un patto a due, d'un principio internazionale riconosciuto esplicitamente dalle quattro grandi Potenze che hanno vinto la guerra. Di fronte a questo principio, la formola « i Balcani ai popoli balcanici », nella interpretazione di Belgrado, non ha alcuna importanza. Svela, solamente, le mire egemoniche jugoslave a danno degli altri popoli balcanici.

Per chi si occupi, con un certo interesse dei problemi balcanici, queste tendenze egemoniche jugoslave appaiono rispondenti più che a una necessità d'espansione, ad una ideologia politica che ha certe basi storiche. Il ricordo dell'Impero Serbo del XIV secolo, che si estendeva dall'Adriatico al Rodope, e che nel suo più glorioso periodo dall'Adriatico e dal Jonio arrivava sino ai confini della Tracia e dal Danubio e dalla Sava all'Egeo, alimenta la megalomania di questo popolo primitivo che considera la vitalità di una razza soltanto sotto la specie della guerra di rapina. Questa megalomania è, prevalentemente, serba, e più specialmente è diffusa nella classe militare. Di fronte a costoro, il Governo è impotente. Ora questa concezione storica deforma qualsiasi attività politica, e rende sempre più difficile non sol

tanto i rapporti fra Belgrado e gli altri Stati balcanici, ma anche gli stessi rapporti con le grandi Potenze europee. Infatti, premessa la concezione egemonica dei circoli militari serbi, e premessa l'onnipotenza di queste classi e la loro influenza sui circoli politici del paese, la pace balcanica, è frase vuota di contenuto. I trattati internazionali non hanno alcun valore; ciò che conta è la forza delle armi, e Albert Mousset, il direttore dell'agenzia ufficiosa Avala, nel suo libro sul Regno jugoslavo, ha affermato, che dopo la Francia, la Jugoslavia ha il più forte esercito dell'Europa continentale. È necessario quindi riprendere lo storico programma, conquistare i Balcani: attraverso l'Albania scendere a Durazzo e di lì dominare l'Adriatico; attraverso la Macedonia greca scendere a Salonicco e dominare l'Egeo; poi, quando i tempi siano maturi, rifare la marcia trionfale del grande Dusciano, attraverso la Macedonia e la Tracia... Ma poichè anche i Croati e gli Sloveni hanno una certa importanza nella vita della nazione, questo programma panserbo, conviene integrare col programma croato e sloveno: la riconquista di Zara, di Fiume, dell'Istria, di Trieste e del Friuli sino all'Isonzo. Questo programma fantastico, che pochissimi Jugoslavi considerano irrealizzabile, rientra nel quadro d'uno più vasto che prospetta la funzione della razza slava in Europa e nel mondo, quando la Russia, superata la grande crisi sociale, rigenerata riprenderà l'influenza perduta.

Soltanto, quando si tenga presente questo programma delle classi militari, ci possiamo spiegare le violente pressioni sul Governo greco per la soluzione del problema della zona franca nel porto di Salonicco, l'atteggiamento sempre ostile verso la Bulgaria, i complotti ai confini albanesi, la non avvenuta ratifica delle convenzioni di Nettuno, e la presenza del gen. Kalafatovic a Lubiana, dove, seguendo l'esempio di Conrad, egli sta studiando un piano per invadere, quando si presenti il momento opportuno, il nostro Paese; e soltanto riferendoci a quel più vasto compito della Jugoslavia in funzione russo-slava, ci possiamo spiegare il malcontento della stampa e dell'opinione pubblica serbo-croato-slovena per la ratifica, da parte del nostro Governo del trattato che riconosce ai Romeni il possesso della Bessarabia.

Considerando questo assurdo e megalomane programma della classe militare jugoslava, e la tendenza a realizzarlo, l'atteggiamento assunto dal nostro Governo, risulta determinato non solamente dalla necessità di tutelare la posizione dell'Italia nell'Adriatico, ma dalla preoccupazione di garantire la pace balcanica ed europea.

UMBERTO NANI.

L'AZIONE DELLA RUSSIA

NELLA RIVOLUZIONE CINESE

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I. Carattere e portata degli avvenimenti cinesi. II. L'azione economica e politica del Governo russo. III. L'azione del Partito e del Comintern ». IV. Il processo rivoluzionario cinese e l'influenza russa. Concezione e tattica di Buharin. V. Concezione e tattica della minoranza bolscevica. Il piano di Radek, suo successo e suo fallimento. VI. Rivoluzione « proletaria» o rivoluzione « borghese ».

I.

In Cina non si contendono oggi il primato Uhan o Nankin, con Pechino o Mukden, ma sono alle prese due mondi, l'Occidente e l'Oriente e tre civiltà, l'europea, l'asiatica, l'internazionale bolscevica di Mosca. Il vecchio imperialismo occidentale, che non vuole perdere le sue posizioni, ma che viene costretto a retrocedere e ad adattarsi a nuove e più blande forme egemoniche; l'incipiente risveglio nazionalistico orientale, che chiede sempre più violentemente il suo diritto alla vita e alla indipendenza; il dinamico rivoluzionario bolscevismo russo, che non ammette nè frontiere, nè ostacoli di sorta e si sforza d'invadere e di sconvolgere l'uno e l'altro. Senonchè mentre l'Occidente assiste finora, volens o nolens, non importa, in forma quasi passiva alle caotiche vicende della guerra civile e della rivoluzione in Cina, il Bolscevismo russo svolge insidiosa e violenta la sua azione per impadronirsi del movimento nazionalista cinese e per farne una nuova potentissima leva contro l'odiato Occidente « capitalistico >> e << imperialista ». Mosca ha teso e tende instancabilmente a trasformare la Cina in un immenso campo di battaglia e i Cinesi in un grandioso formidabile esercito, per combattere a morte l'avversario: l'Imperialismo occidentale e anche quello orientale giapponese. Sicchè, per bene intendere il carattere e la portata degli avvenimenti cinesi, è essenziale esaminarne, oltre che gli interni fattori, soprattutto i fattori esterni, che su quelli cercano di influire e di determinarne il corso.

I fattori interni — a cui accenniamo almeno sommariamente, perchè varranno a rendere più chiara la rispettiva posizione dei fattori esterni, agenti in Cina sono noti. La Cina è oggi divisa in due campi avversi, l'uno del Nord, l'altro del Sud. Il Nord

conservatore nazionalista, il Sud social-democratico nazionalista. Comune hanno la tendenza nazionalista. Ma la differenza profonda e sostanziale del programma delle due parti prescindendo dalla sete di potere e dalle ambizioni personali dei varii Capi, cause che hanno pure il loro peso consisterebbe nella concezione sociale del regime da instaurarsi in Cina e nella tattica da seguire nei riguardi delle Potenze estere aventi forte influenza e colossali interessi nella vita politica ed economica di quel Paese. Il Nord è contrario a qualunque mutamento radicale e a qualunque movimento rivoluzionario, pur riconoscendo la necessità di applicare tutta una serie di riforme, che non turbino però molto l'attuale stato di cose e soprattutto l'ordine sociale. Nei riguardi delle Potenze estere in funzione imperialistica in Cina, il Nord vedrebbe la necessità, nell'interesse della stessa economia nazionale, di modificare nei limiti del possibile la dipendenza dei rapporti, ma riterrebbe assurda, specie militarmente ed economicamente, una lotta ad oltranza contro le Potenze imperialiste dell'Occidente o dell'Oriente. Il Sud, invece, baserebbe il suo movimento rivoluzionario nazionalista sui tre principii nel cui nome esso fu organizzato dal suo fondatore Sun Yat Sen: nazionalismo,democrazia, socialismo. Questi tre principii — che dopo la morte di Sun Yat Sen, avvenuta l'11 marzo 1925, sono diventati per la maggioranza dei sudisti, una specie di dogmi

se hanno un carattere indiscutibilmente rivoluzionario nei riguardi dell'attuale ordine di cose e nei riguardi del relativo conservatorismo del Nord, secondo la concezione dello stesso Sun Yat Sen e la pratica attuazione ch'egli ne faceva, non dovrebbero spingersi sino al vero e proprio bolscevismo, e dovrebbero anche oggi permettere sia ai nazionalisti sia agli imperialisti esteri di venire a patti e stabilire accordi utili alle varie parti in contesa. Il « Kuo Min Tang » (Kuo: Stato; Min: Popolo; Tang: Lega), ossia la Lega Popolare Nazionale, formata da Sun Yat Sen, se conservasse oggi il suo « primitivo» carattere nazionaldemocratico-socialista, potrebbe forse far facilmente ritrovare ai suoi organizzati una più o meno soddisfacente pace.

Senonchè qui cominciano a entrare in giuoco i fattori esterni. Principalissimo il fattore russo-bolscevico. La Russia ha da regolare vecchie e nuove questioni di vitale importanza con l'imperialismo occidentale, soprattutto con la secolare avversaria l'Inghilterra (in questo la politica estera dell'U. R. S. S. è la continuazione di quella della Russia degli Zar), e perciò essa non poteva non cogliere la propizia occasione della rivoluzione in Cina, per tentare di farne uno strumento il più possibile formidabile contro i suoi nemici di ieri e più ancora di oggi. E a

Mosca non dovrebbe essere parso vero d'incontrarsi, specie con l'Inghilterra, su suolo cinese per sperare in una rivincita per ora in Cina e più tardi in tutto l'Oriente asiatico. E tutto ciò senza eserciti proprii, con relativamente poca spesa e quasi soltanto con l'invio di istruttori, consiglieri e propagandisti bolscevichi. Due sono le vie che Mosca aveva e che ha sfruttato al massimo grado nell'ingaggiare in Cina la lotta gigantesca contro « l'imperialismo» europeo: la via della politica ufficiale del Governo e quella della politica del Partito e del Comintern, l'azione economica e politica e l'azione rivoluzionaria, l'una integratrice dell'altra, anche se, come i Soviety amano distinguere, completamente autonome e indipendenti. Il Governo ufficiale ha svolto e svolge, massimamente, il programma, rispondente ai reali in teressi russi in Cina, politici ed economici, il Partito e il Comintern, quello della rivoluzione bolscevica mondiale, e, nel caso cinese, quello di approfondire la rivoluzione « nazionalista borghese ».

II.

I reali interessi russi in Cina, sono indubbiamente grandi e la Russia, come Potenza confinante per migliaia e migliaia di chilometri con quel Paese, ha interessi militari, politici ed economici da difendere, specie quando si consideri la immensa estensione del retroterra siberiano, che ha bisogno di libero e incontrastato sbocco sul Pacifico. Pertanto qual'è stata l'azione che ha svolto il Governo ufficiale di Mosca verso la Cina? Una azione economica e una azione politica. L'azione economica si è esplicata, specialmente dopo la ripresa dei rapporti diplomatici e dopo il Trattato commerciale soviettista-cinese del 1924, intensificando gli scambi fra i due Paesi, prendendo tutte quelle misure atte a sviluppare sempre maggiormente il commercio generale interasiatico e in modo particolare quello russo-cinese (di cui abbiamo più ampiamente riferito nel nostro articolo Il Convegno di Odessa e la politica russo-turca, POLITICA, Fasc. LXXVI) e ricorrendo ad ulteriori misure molto più radicali ed efficaci, quali la costruzione di una nuova ferrovia, che venendo ad unire le altre due principali, la Siberiana e la Turchestana, rasenterà per circa 1400 km. la frontiera occidentale della Cina e diverrà centro naturale di attrazione dell'economia di tutta la Cina Occidentale. A questa ferrovia i Soviety attribuiscono una enorme importanza; e perciò i lavori sono già cominciati, dopo soli po.

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