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Regna in quel pazerel, vecchio eremita,
Dicendo che era qua la morte ria!
E' chiama morte quello che è vita.
Se noi non venavam per questa via,
Nostra ventura era per noi fallita.
Questo fia meglio che un prigion da taglia,
E non arem a fare altra battaglia.

Compagni, i' ho pensato, se vi pare,
Che un di voi vada insino a Damasco,
E rechi qualche cosa da mangiare,
E facci anco d' aver qualche buon fiasco.
E ingegnisi chi va, presto tornare,
Perch' io di fame e di sete mi casco;
Rechi confetti, pane, carne e vino,
Se ben dovessi spendere un fiorino.
Facciamo alle buschette chi debba ire,1
E chi va porti seco un pezo d'oro :
A qualche banco lo potrà finire,'
E facciasi moneta dar da loro.

Risponde CARAPELLO e dice:

Questo mi piace, e debbasi seguire;
E' non si vuol or mai far più dimoro.
Fa', Scaramuccia, e ordina le sorte,
E chi ha la minor, calcagni forte. 3

Risponde il TAGLIAGAMBE e dice:

Va' presto, Scaramuccia, e non ti scordi
Di trovare il Cibaca o qualche cuoco,
E compera un cappon, pippioni e tordi,
To' duo fiaschi di vin, chè un sare' poco.
Se gniun ti chiama, tien gli orecchi sordi,
Ma guarda a non fermarti a qualche giuoco;
Reca un par di bilance da pesare,

Chè poi quest' oro si vuole sterzare.

4

Le buschette sono un giuoco che si fa togliendo da un mazzo di fuscelli non eguali, alcune pagliuzze, sicchè chi prende la minore debba fare o non fare ciò che si è pattuito.

2 Finire, parlandosi di denari, ha un senso speciale, registrato nei vocab. con es. del Morelli, ed è spiegato far fine, far quietanza. Ma nel nostro caso si potrebbe spiegare per barattare, cambiare o fors' anco per saggiare.

3 Ha es. anche del Berni per significar fuggire, battere il tacco, le

calcagna ec.

4 Dividere in tre: ed è registrato senza esempi.

LO SCARAMUCCIA si parte e dice per la via:

I' ho già mille volte udito dire
Che quando ti si volge la ventura
Non esser lento, e sappila ghermire,
Chè rare volte torna, e poco dura.
Quando ella vien, chi la lascia partire
Abbisi il danno della sua sciagura;

Chi credesse altro, in grande error si pasce:
Suo ventura ha ciascun l' ora che nasce.

Quando potrei aver sorte maggiore,
S'i' non ho in tutto perduto il cervello?
Ma io ho fatto bene un grande errore
A lasciar a color si che arà quello.1
Per aver robba, ogniun c'è traditore:
Non ch'altro, ella si frega a un fratello. 2
Pazo fu' io, a mettermi per via,
Credendo aver tutta la parte mia.

3

E' gli hanno nelle mani el romaiuolo,
E faranno a lor modo la minestra.
Ma che bisogna darmi tanto duolo,
Che lo 'ntelletto a punto m' amaestra
Ch' i' potre' far d' averlo tutto solo,
E niuna cosa mi nuoce o sinestra?
Dunque s'i' 'l posso far, far me 'l bisogna,
E l'util vada innanzi alla vergogna.

A me bisogna uno spezial trovare
Che mi venda veleno del più forte;
Un di que' fiaschi potrò avvelenare,
Chè non c'è via più breve a dar lor morte.
E' m'han creduto e' felloni ingannare
Per far che sie toccato a me la sorte;
Ma sopra lor ritornerà l'inganno,

E l'òr fie tutto mio sanz' altro affanno.

Giugne a un banco e dice:

Qual è di voi, o maestro, o cassiere,
Che comperi quest' oro, qual vò' vendere?

Così l'ediz. antica. Quella del 1555: Sin che arò quelli. E l'altra di Siena a coloro tutto quello.

2 In senso di farla, accoccarla, ec. ha es. del Boccaccio e d'altri, ed è modo tuttora nell' uso.

3 Modo non registrato: oggi si dice: avere, o tenere il mestolo nelle mani.

Risponde el CASSIERI e dice:

Lascialo in prima a' compagnion vedere :
Po' quel che tu ne vuo', si vuol intendere.

Risponde SCARAMUCCIA e dice:

I'ne vò' a punto quel che può valere,
Ma vò' moneta che si possa spendere.

Risponde il MAESTRO del banco e dice:

To' il paragon, guarda se gli è in lega,
E fa' dovere a lui e alla bottega.

Risponde il CASSIERI e dice:

Quest' òr, compagno, val vent' un ducato,
Ma son contento darne ventidue.

Risponde lo SCARAMUCCIA.

Guarda che tu non abbi il peso errato:
Può fare Idio ched' e' non vaglia piue?

Risponde il CASSIERI e dice:

E' non val più, e òllo ben pesato ;
Di dire il ver mai nostra usanza fue.

Risponde lo SCARAMUCCIA e dice:

Fammi il dover, cassier, ch'i' ti rammento
Ch'i'n' ho ancor ben delle libre cento.

Dipoi va allo speziale e dice:

Maestro mio, vo' siate il ben trovato ;
I'vengo a voi per aiuto e consiglio.

Risponde lo SPEZIALE:

Ben sia venuto; i' sono apparecchiato
Di far per te come di proprio figlio.

Risponde SCARAMUCCIA :

Da poco in qua e' m' è in casa arrivato
Gran quantità di topi e gniun ne piglio,
Per modo tal che son tanti e si vecchi
Che gli hanno ancora a rodermi gli orecchi.
Di che convien, maestro, che mi diate
Un poco di velen col qual gli spenga;
A vostro modo vò' che vi paghiate;
Pur che sia buon, se viene assai, si venga.

Risponde lo SPEZIALE e dice:

I' tel darò perfetto in veritate,

Ma guarda poi che scandol non ne venga.

1

1 Venire assai, intendasi del prezzo, ed è come se dicesse: se viene a costare

assai; ed è modo da registrarsi.

Levati su e fa' presto, Domenico,
Recami qua il bossol dell' arsenico.

Tien qui quel ch' io ti do, dammi duo grossi,
E sotti dir ch' i' t'ho servito bene,
E per men pregio dartelo non puossi
Ma di ragion molto più se ne viene:
E, se lo pigliano, e' saran percossi
Di spasimo, e morranno con gran pene.

Risponde SCARAMUCCIA :

Io non ispesi mai, al parer mio,
Me' mie danari, e fatevi con Dio.

Poi va all' oste e dice:

Oste, i' vorrei duo fiaschi d' un buon vino
Bianco e vermiglio che ogniun dolce sia.

Risponde l'OSTE:

I'n' ho di Chianti, e vin da san Lorino,
Trebbian dolci, vernaccia e malvagia.

Risponde lo SCARAMUCCIA :

Tône duo fiaschi e te' questo fiorino,
E serba il resto alla tornata mia;
Intanto infino al cuoco i' voglio andare,
Per veder se gli ha nulla da mangiare.

Poi ne va al cuoco e dice:

Àci tu nulla, o cuoco, da godere?
Io ne vorrei per quattro compagnioni.

Risponde il cuoco:

Ciò ch'io ci ho, compagnion, è al tuo piacere :
Io ci ho capponi, pollastre e pippïoni,
E salsicciuoli che danno buon bere,
E òcci un gran catin di macheroni,
E fegatelli, e òcci de'migliacci;
Or guarda se ci è nulla che ti piacci.

Il TAGLIAGAMBE dice a Carapello :

Fratel, i' ti vò' dire il pensier mio :
Con questo, che mi giuri fedelmente,
Se non ti piace, metterlo in oblio,
E a persona non ne dir nïente.

Risponde CARAPELLO e dice:

Di' prima tu, e poi ti dirò io

Un pensier che m' andava per la mente,
E dimmi arditamente i pensier tuoi,
Chè quel che noi direm sarà tra noi.
Risponde il TAGLIAGAMBE e dice:

I' ho pensato che questo tesoro
Che la ventura ci ha fatto trovare,
Che sol di te e me fusse quest' oro
Per non l'aver con altri a dimezare.
La invidia, a dirti il ver, mi dà martoro;
Però rispondi quel che te ne pare.
Che altri n'abbi aver, non mi par giuoco,
E a farne tre parti, e sare' poco.

Risponde CARAPELLO:

Per certo si, fratel, tu hai ragione.
Non ti tenendo più celato il vero,
Io sentia drento una gran passïone
Ch' era a questo medesimo pensiero;
E sammi mal che quel ghiotto poltrone,
Che non val la sua vita una pane intero,
La ventura abbia avuta per amica,
E che si goda la nostra fatica.

1

A quel che si vuol far, pigliam partito
Che, quando e' torna e postosi a sedere,
Che in un baleno e' sia da noi assalito.
El pensier nostro lui non può sapere ;
In pochi colpi noi l' arem finito;
Ma non si vuol dir nulla al suo venire:
La vita a cento noi abbiam già tolta:
Un più, un men, che monta questa volta?
Scaramuccia torna, e il TAGLIAGAMBE dice:

Che ha' tu venduto quel pezo dell' oro?
E in queste cose poi quanto spendesti?

Risponde SCARAMUCCIA :

Che ne vuo' tu saper, pezo di toro?
A punto a punto testè lo sapesti.

Risponde il TAGLIAGAMBE :

Dò, ladroncel, tu non arai il tesoro
Che con noi insieme divider credesti.
Poltron gaglioffo, grida se tu sai,

1 Modo proverbiale non registrato, per indicar minimo valore di una cosa o persona.

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