Pur che verginità non ti sie tolta.
Chi crederebbe mai che un volessi Uccider, per salvar altri, sè stesso? Dolce Jesù, se pur e' ti piacessi Mio corpo casto al fuoco fusse messo, Nè mai per me costui morir dovessi Pel quale il pianto mio rinnovo adesso, Mutiam le veste, e fa' come ti pare; Rendati premio Dio del tuo ben fare.
Vanno dentro a mutar le veste, e vengono fuora dua donne; mona MINOCCIA dice:
L'è pur gran cosa, della mia gallina Non possi mai un uovo sol gustare, Chè me le ruba questa mia vicina! Ella si è tanto avvezzata a rubare Che merita de' ladri esser regina. Potessi pur una volta affogare! So che per questo non gli tolgo fama, Perchè oggi ciascun ladra la chiama. Mona ACCONCIA:
Voi dite la bugia, mona Minoccia, Perchè la non fa uova; non vedete Che cova sempre e diventata è chioccia? Se vi manca faccenda, or attendete A lavarvi dal viso tanta roccia; Ma s'i' comincio a dir, voi udirete Cosa che vi farà uscir la voglia
Di gracchiar tanto, e chi si dolga doglia.
So che sei piena de' tuoi vizii vecchi; Sai ben che quando pettinavo il lino Me ne rubasti cinque o sei pennecchi. Mona ACCONCIA:
Tu debbi aver beuto troppo vino, Ch' ogni mattina, innanzi ch' apparecchi, Sempre te ne tracanni un mezzettino, E spesse volte tanto ti riscaldi
Ch' appena puoi e' tuo piè tener saldi.
Tu sai ben quanto la gola ti tira.
Dalla finestra mia spesso ti veggio Che 'l capo tuo in qua e in là s' aggira.
Io so che tu diresti molto peggio, Perchè del vero il cattivo s'adira, Ma solo questa grazia a Dio chïeggio, Che chi di noi dice la bugia
Possa crepare in mezzo della via.
Vien, se tu vuoi, ogni cosa a cercare; Tutte le casse mie ti voglio aprire; E, se nulla di tuo puoi ritrovare, Togli ogni cosa, acciò non possa dire Che m'hai trovato i pennecchi a rubare; Ma credi a me, ch'i'ti farò disdire, Sudicia, berghinella, 1 lorda e brutta; Quanto è gran mal che tu non sia distrutta!
Tu credi col bravar fammi paura; Ma s'i' ti piglio per la cappellina* Tu non sarai tanto audace e sicura.
Come in casa mi vien la tua gallina Ti giuro, non sarò semplice o pura, Ma farò ch' ornerà la mia cucina; A questo mo' farò tu dica il vero, Chè me la mangerò senza pensiero.
Non fate, mona Acconcia, ch'i' mi pento D'aver con voi de l' uova quistionato ; S'i' la perdessi, i' mi morrei di stento.
Orsù, i'vo' che vi sie perdonato; Ma se mai più dir tal cosa vi sento Non vi sarà rimesso tal peccato;
Non perdiam tempo, andiancene a filare
Ch'io so che 'l ber v' insegnerà mangiare.
Partonsi e vien fuora santa Teodora vestita da uomo e entra in casa, e vengono fuora Fausto e Crispo, e dice FAUSTO: Io credo che si sia addormentato
1 Corrisponde alla ciana odierna, ed ha esempio di Lorenzo e del Varchi. 2 Berretta o cuffia da donna.
Eurialo, poichè tanto bada,
CRISPO dice: O forse ch' egli aspetta esser chiamato. Egli ha forse trovato mala strada
Poi che così fie tanto ritardato;
E' sarà ben ch' un di noi dentro vada, E farlo, se potrà, di quivi uscire, Perchè molt' altri ancor voglion venire.
I'vo, aspetta qui, non ti partire, Perchè ritornerò in un momento.
Va dentro e torna fuora e dice:
Chi potre' mai un caso tal sentire Ch'a raccontarlo quasi mi spavento? Eurialo in donna convertire
Io ho veduto, e stassi quivi drento. Se questo è vero, andianlo a raccontare Al consule, e facciản quel che gli pare.
Vanno al Consule e dice FAUSTO:
Ottimo consul, noi abbiam menato Teodora là dove dicesti,
E per la via avendo riscontrato Un giovan d' atti e di costumi onesti, Il qual subito a quella fu entrato,
Diventò donna, e in dosso ha le suo vesti. I' son fuggito senza a lui parlare, Temendo anch'io donna diventare.
Questa par amiranda cosa nuova : Menate qui costui, ch' al tutto intendo Far di tal cosa paragon e prova.
FAUSTO: Io andrò, benchè stupido e tremendo, Però che spesso de' cristian si truova
Che d' uomini fan donne, come intendo.
QUINTIANO: Andate tutti a dua, e non temete, E costui presto a me qui menerete.
Vanno e picchiano e vien fuora Eurialo vestito da donna e CRISPO dice:
O sia uomo o donna o quel che sia, Non so come ti debba salutare,
E sta confusa la mie fantasia;
Sappi ch' al consol ti dobbiam menare.
EURIALO: Io son parato; mettiamoci in via
Che tutto chiarirà il mio parlare, E di venire a lui ho gran diletto Nè cosa alcuna mi può dar sospetto.
Sendo arrivato, dice QUINTIANO:
Se' tu colui ch' à avuto tanto ardire Le veste d'una femmina pigliare, E contro al mio voler farla fuggire? Io punirò talmente il tuo errare Ch' amaramente ti farò punire. Di' prestamente ove l'ài fatta andare, E se tu sei cristiano e donde sei, Dimmi che cosa tu hai a far con lei.
I' son cristiano, e son di questa terra, Nè altro ho a far con lei se non la fede, E vedendo tuo mente che tanto erra Ebbi di questa vergine mercede Per liberarla della ingiusta guerra, Acciò non fussi de' tuo vizii erede; Presi e' suo panni, e lei se n' è fuggita; Or puoi far cercar tu dove s'è ita.
Adunque d'uomo donna tu sei fatto; O sfacciato ribaldo, che la mente
Perfida e trista ha' dimostro in questo atto, I' ti farò morir tanto aspramente Che a ciascuno esemplo sarai fatto. Dimmi un poco, uomo vile e da nïente, Sei tu uomo o sei donna trasformato? Con Teodora hai tu il nome mutato?
Eurialo son io, non Teodora,
E quel ch'i ho fatto per sua pudicizia Non me ne pento e lo farei ancora.
QUINTIANO: Fallace traditor, pien di nequizia, Menatel via che l' ira mi divora; Fate presto punir tanta malizia; Fuor della terra presto lo menate, E col ferro suo carne consumate.
Legono Eurialo e menanlo alla morte, e vien fuora santa
Fermate, voi errate, i' son quell' io Che morir debbo e non questo innocente,
Qual ha voluto salvar l' onor mio; E del vostro signor quest' è la mente Ch'io morta sia, perchè amando il mio Dio Le suo ricchezze ho stimate nïente; Sciogliete lui e 'l ferro in me voltate, E con quel la mia carne trapassate. Partiti, Teodora, e non volere Impedir mio martirio e mie vittoria; Deh lasciami la palma possedere, Non mi torre il trionfo e la mie gloria; Lasciami in ciel co' martiri godere, Nè cancellar la mie scritta memoria; Fate voi quello che 'l signor vi ha imposto E'l sangue mio deh versate qui tosto.
Non fate di ammazzarlo alcun disegno; I' son quell' io qual ha in odio tanto Vostro signor, che con ogni suo ingegno Cerca il mie riso convertire in pianto; Deh fate morir me con ferro o legno, Spogliate l'alma di questo vil manto; Se me scampando costui ucciderete, Siate pur certi ve ne pentirete.
Queste son cose mirabile e rare; Nessuno di color temon la morte, E son le pene all' uno e l' altro care Combattendo chi prima dè aver morte. I' vo' costoro al consule menare;
Il ferro aguzzi come vuol sua sorte, Perchè ce ne potremo ancor pentire Se costor noi facessimo morire.
Tu hai ben detto; avviamoci insieme E ritorniamo al consul prestamente. Poi che nessun di voi la morte teme Lui vi può contentare immantinente. Dell' uno e l'altro può saziar la speme: Vedete che gli è qui a noi presente; Combattete or chi debbe depor l'alma E acquistar di morte la gran palma.
Andavamo per dar a costui morte,
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