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CLARIZIA:

DARIA:

O Daria mia, i' ho tanta allegrezza
Quanto in mia vita mai io abbi preso;
Ma ben vorrei questa contentezza,
Se già non ti paressi grave peso,
Chiamassin Teodora; e con prestezza
Verrò quando 'l voler suo arò inteso;
Perchè lei sola sempre in casa stassi,
Nè mai piglia piacer alcun o spassi.

Come, s'i' voglio? e'non è mio costume
Mai rifiutar alcuna compagnia,
Massime questa, quale è proprio un fiume
D'ogni onestà e d'ogni leggiadria;
E tanto è di sua vita chiaro il lume
Che l'amo più che la persona mia.
Ma eccola di qua che pare un sole;
Questo di fia felice se 'l ciel vuole.

Vien fuora Santa TEODORA e dice:

CLARIZIA:

Dove n'andate voi, se v'è in piacere
Di dirlo, e se si può manifestare?
Presto contenteremo il tuo volere,
E te con noi desideriam menare.
Noi andiamo la festa a vedere
Qual si dice il Proconsule fa fare;
O Teodora mia, vienne con noi,
Ch'i' t'accompagnerò a casa poi.
Santa TEODORA: Io ho lasciata a casa la nutrice
Sola, ammalata, come voi sapete,

DARIA:

Si che partirmi non par ch' a me lice,
Nè ancor questo credo voi vorrete.
Andate voi e tornate felice,

E come la fie bella mi direte.

Poi che sei impedita, noi andremo,
E ogni cosa poi ti ridiremo.

Duo giovani del consule escono fuora, e vedendo Teodora dice
FAUSTO a Crispo :

CRISPO:

FAUSTO:

Crispo mio, di' el ver: che te ne pare

Di quella vaga e bella giovanetta,

La qual è stata con l'altre a parlare?
Fausto, ella m' ha posto tal saetta
Ch'altro ch'a lei non posso ora pensare,
Nè da me parte sua memoria in fretta.
Io ho pensato la faccia vedere

A Quintiano che so n' arà piacere.

Vanno al Consule, e CRISPO dice:

Poi che partimmo qui da gli occhi tuoi
Una donna scontrammo fatta in cielo
E non creata in terra qui fra noi,
Suo volto onesto sotto bianco velo
Più bel non fe' natura, o farà poi
Che la terra provò il caldo e gielo;
Se potessi vedere il suo bel viso
Diresti fussi fatta in paradiso.

QUINTIANO Consulo:

FAUSTO:

Voi m'avete si ben scaldato il petto
Col bel vostro parlar e dolce stile,
Ch'i' vo' costei meniate al mio cospetto;
Andate a lei, e con parlar umile
Ditegli che non abbi alcun sospetto,
Nè stimi a me venir sia cosa vile;
Perchè vi giuro per li sacri Iddei
Che se mi piacerà, beata a lei.

Noi non sappiam molto ben la sua casa
Nè 'l nome suo; pur mettiamoci in via,
Perchè il luogo so ben dov'è rimasa.

Partono, e andando, dice CRISPO:

FAUSTO:

CRISPO:

FAUSTO:

Venere è tutta la speranza mia;
Non patirà nostra voglia sia rasa,
E si la troverrem dove che sia.
Crispo, deh guarda un po' se ben iscorgo
Se le son quelle donne ch' io acorgo.

Cammina, perchè Giove ci è amico;
Le son quelle duo donne che con lei
Parlavon là da quel palazzo antico.
Io non istimo più uomini o dei

Poi ch'io vedo ch'invan non m' affatico,
E vedo riusciti i pensier miei;

Lasciale un po' finir il lor parlare,
E potrem poi di costei dimandare.

Daria e Clarizia tornando dalla festa, DARIA dice:

Non so, Clarizia, come t' è piaciuta
La festa la qual oggi abbiamo vista;
Deh dimmi come bella ti è paruta.

CLARIZIA:

DARIA:

CLARIZIA:

CRISPO :

S'altro piacer in quella non s' acquista
I' son pentita d'esserci venuta,

E ritorno adirata, stracca e trista
Per la goffezza di quei ch' ȧnno detto;
A me mi è parsa senza alcun diletto.
Hai tu veduto quelle belle spose
Si ben di liscio biacca intonacate?
Tante collane e pietre preziose
Che a orafi parevon maritate?
I'ti so dir che l'eron graziose

Con que' nasoni e bocchine squarciate!
Posso giurar, se bene i' mi rammento,
Niuna ve n' era senza mancamento.

Cortesi donne, dove sta qui intorno
Colei che oggi vi parlò a buon ora,
Prima che voi facessi qui ritorno?

DARIA a Clarizia:

Io credo questi, voglin Teodora

Qual ti parlò al principio del giorno;
Picchiate qui, e ella verrà fuora.

Picchiano a l' uscio di Teodora, e CLARIZIA dice:

FAUSTO:

Teodora, costor voglion parlarti,
E però noi abbiam fatto chiamarti.
Il nobile proconsule Quintiano
Ti
prega venghi per tua cortesia
Fin a palazzo, ch'è poco lontano;
Noi ti faremo onesta compagnia,
E vederai un nobile romano,
Nè temer debbi alcuna cosa ria;
Perchè sol per tuo bene vuol parlarti,
E come degna sei, vuol onorarti.

Santa TEODORA :

CRISPO:

I' non so a che far 'l vostro signore
Mandi per me, povera femminella ;
Io bisogno non ho del suo onore
E credo certamente i' non sia quella;
Guardate ben a non pigliare errore
Non temer punto, chè, se ti favella,
Or che tu piangi, tu riderai poi;
Però disponti di venir con noi.

Santa TEODORA a Clarizia e Daria:

Sorelle mia, deh vengavi pietade

CLARIZIA:

Della mia trista e dolorosa sorte;
Vi raccomando la mia onestade,
Piacciavi accompagnarmi infino a corte.
Or non sai tu che la nostr' amistade
Divider non la può altro che morte?
Non dubitar, noi t' accompagneremo
E presto salva qui ti ridurremo.

Santa TEODORA :

FAUSTO:

Poi che meco verrete, i' son contenta
Vostro signor andar a ubbidire,
Benchè l' andata forte mi spaventa.
O Dio del ciel, deh dammi tanto ardire,
Che nel mal far a costui non consenta!
Anderai Crispo, a Quintïano a dire
Che non debba passar una mezz' ora,
Che vedrà la sua bella Teodora.

CRISPO va, e trova il Proconsulo e dice:

Io son venuto più che di galoppo
Per la buona novella ch' io ti porto:
Vedi da lungi, e' non istarà troppo
Che Teodora ti darà conforto;

Nè pericolo ci è d'alcuno intoppo.

QUINTIANO: Se 'l mio vedere al tutto non è corto

Io vedo quella, e 'l cuor la brama e vuole,
Chè bene è cieco chi non ved' il sole.

Arriva santa Teodora, e QUINTIANO dice:

Per mille volte ben venuta sia!
Mandato io ho per te per farti bene,

Acciò beata e ricca meco stia ;

Non dubitar d' aver a patir pene,

O di cosa del mondo carestia.

Chi fu tuo padre? e a chi s' appartiene

Aver cura di te, acciò parlare

Possi con loro e seco concordare?

Santa TEODORA :

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Teodoro mio padre e cittadino

Fu d'Antiochia, e visse in questa terra
Con grande onor, e or per mio destino
Lui e la madre mia giace sotterra;

E senza lor vivo col cuor tapino,

Perchè la lor memoria il cuor mi serra,

QUINTIANO :

E una mia nutrice ha di me cura;
Con lei mi vivo e onesta e sicura.

Tuo padre sempre del popol romano
Fu grande amico, e io per suo amore
Ti sarò sempre benigno e umano,
E al mondo farotti tal onore

Che quasi il ciel toccherai con tuo mano;
E sappi ch' io t'ho posto tanto amore
Che, se vuoi consentir d' esser mie sposa,
Io amerò sol te sopr' ogni cosa.

A Roma condurrotti, e tua bellezze
Roma vedrà, e tu vederai lei,
E goderatti la mia gran ricchezza,
Grata sarai a gli uomini e alli dei,
Sempre stando in trionfi e allegrezze.
Or mi rispondi, se contenta sei

Ch'io sia tuo sposo, e tu sia la mia diva,
E con meco felice sempre viva.

Santa TEODORA :

QUINTIANO :

Sappi che tôr non posso altro marito;
Ch' io sono a uno sposo maritata
Col qual col cuor è ogni senso unito,
Nè da lui posso esser separata ;
Si che piglia, signor, altro partito
Perchè i' son tanto dal mio sposo amata,
Che prima patirei ogni tormento
Che da lui separarmi un sol momento.
Nessuno a me non si può uguagliare
Sendo romano e de l' Asia rettore;
E sappi ch'i' mi posso glorïare
Sol mi precede il grande imperadore.
Di mie ricchezza i' non vo' favellare
Che supera d'ogni uomo il mio valore;
Si che lascia lo sposo qual tu ài
E sempre meco in delizie starai.

Santa TEODORA :

Questi tuo ben son tutti temporali
E quei del sposo mio son beni eterni ;
Stabili e' sua, e' tua debili e frali:
Ma questo tu non vedi, e non discerni
Come spesso li seguon tanti mali,
Chè sicuri non son li amor fraterni,

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