O Daria mia, i' ho tanta allegrezza Quanto in mia vita mai io abbi preso; Ma ben vorrei questa contentezza, Se già non ti paressi grave peso, Chiamassin Teodora; e con prestezza Verrò quando 'l voler suo arò inteso; Perchè lei sola sempre in casa stassi, Nè mai piglia piacer alcun o spassi.
Come, s'i' voglio? e'non è mio costume Mai rifiutar alcuna compagnia, Massime questa, quale è proprio un fiume D'ogni onestà e d'ogni leggiadria; E tanto è di sua vita chiaro il lume Che l'amo più che la persona mia. Ma eccola di qua che pare un sole; Questo di fia felice se 'l ciel vuole.
Vien fuora Santa TEODORA e dice:
Dove n'andate voi, se v'è in piacere Di dirlo, e se si può manifestare? Presto contenteremo il tuo volere, E te con noi desideriam menare. Noi andiamo la festa a vedere Qual si dice il Proconsule fa fare; O Teodora mia, vienne con noi, Ch'i' t'accompagnerò a casa poi. Santa TEODORA: Io ho lasciata a casa la nutrice Sola, ammalata, come voi sapete,
Si che partirmi non par ch' a me lice, Nè ancor questo credo voi vorrete. Andate voi e tornate felice,
E come la fie bella mi direte.
Poi che sei impedita, noi andremo, E ogni cosa poi ti ridiremo.
Duo giovani del consule escono fuora, e vedendo Teodora dice FAUSTO a Crispo :
Crispo mio, di' el ver: che te ne pare
Di quella vaga e bella giovanetta,
La qual è stata con l'altre a parlare? Fausto, ella m' ha posto tal saetta Ch'altro ch'a lei non posso ora pensare, Nè da me parte sua memoria in fretta. Io ho pensato la faccia vedere
A Quintiano che so n' arà piacere.
Vanno al Consule, e CRISPO dice:
Poi che partimmo qui da gli occhi tuoi Una donna scontrammo fatta in cielo E non creata in terra qui fra noi, Suo volto onesto sotto bianco velo Più bel non fe' natura, o farà poi Che la terra provò il caldo e gielo; Se potessi vedere il suo bel viso Diresti fussi fatta in paradiso.
Voi m'avete si ben scaldato il petto Col bel vostro parlar e dolce stile, Ch'i' vo' costei meniate al mio cospetto; Andate a lei, e con parlar umile Ditegli che non abbi alcun sospetto, Nè stimi a me venir sia cosa vile; Perchè vi giuro per li sacri Iddei Che se mi piacerà, beata a lei.
Noi non sappiam molto ben la sua casa Nè 'l nome suo; pur mettiamoci in via, Perchè il luogo so ben dov'è rimasa.
Partono, e andando, dice CRISPO:
Venere è tutta la speranza mia; Non patirà nostra voglia sia rasa, E si la troverrem dove che sia. Crispo, deh guarda un po' se ben iscorgo Se le son quelle donne ch' io acorgo.
Cammina, perchè Giove ci è amico; Le son quelle duo donne che con lei Parlavon là da quel palazzo antico. Io non istimo più uomini o dei
Poi ch'io vedo ch'invan non m' affatico, E vedo riusciti i pensier miei;
Lasciale un po' finir il lor parlare, E potrem poi di costei dimandare.
Daria e Clarizia tornando dalla festa, DARIA dice:
Non so, Clarizia, come t' è piaciuta La festa la qual oggi abbiamo vista; Deh dimmi come bella ti è paruta.
S'altro piacer in quella non s' acquista I' son pentita d'esserci venuta,
E ritorno adirata, stracca e trista Per la goffezza di quei ch' ȧnno detto; A me mi è parsa senza alcun diletto. Hai tu veduto quelle belle spose Si ben di liscio biacca intonacate? Tante collane e pietre preziose Che a orafi parevon maritate? I'ti so dir che l'eron graziose
Con que' nasoni e bocchine squarciate! Posso giurar, se bene i' mi rammento, Niuna ve n' era senza mancamento.
Cortesi donne, dove sta qui intorno Colei che oggi vi parlò a buon ora, Prima che voi facessi qui ritorno?
Io credo questi, voglin Teodora
Qual ti parlò al principio del giorno; Picchiate qui, e ella verrà fuora.
Picchiano a l' uscio di Teodora, e CLARIZIA dice:
Teodora, costor voglion parlarti, E però noi abbiam fatto chiamarti. Il nobile proconsule Quintiano Ti prega venghi per tua cortesia Fin a palazzo, ch'è poco lontano; Noi ti faremo onesta compagnia, E vederai un nobile romano, Nè temer debbi alcuna cosa ria; Perchè sol per tuo bene vuol parlarti, E come degna sei, vuol onorarti.
I' non so a che far 'l vostro signore Mandi per me, povera femminella ; Io bisogno non ho del suo onore E credo certamente i' non sia quella; Guardate ben a non pigliare errore Non temer punto, chè, se ti favella, Or che tu piangi, tu riderai poi; Però disponti di venir con noi.
Santa TEODORA a Clarizia e Daria:
Sorelle mia, deh vengavi pietade
Della mia trista e dolorosa sorte; Vi raccomando la mia onestade, Piacciavi accompagnarmi infino a corte. Or non sai tu che la nostr' amistade Divider non la può altro che morte? Non dubitar, noi t' accompagneremo E presto salva qui ti ridurremo.
Poi che meco verrete, i' son contenta Vostro signor andar a ubbidire, Benchè l' andata forte mi spaventa. O Dio del ciel, deh dammi tanto ardire, Che nel mal far a costui non consenta! Anderai Crispo, a Quintïano a dire Che non debba passar una mezz' ora, Che vedrà la sua bella Teodora.
CRISPO va, e trova il Proconsulo e dice:
Io son venuto più che di galoppo Per la buona novella ch' io ti porto: Vedi da lungi, e' non istarà troppo Che Teodora ti darà conforto;
Nè pericolo ci è d'alcuno intoppo.
QUINTIANO: Se 'l mio vedere al tutto non è corto
Io vedo quella, e 'l cuor la brama e vuole, Chè bene è cieco chi non ved' il sole.
Arriva santa Teodora, e QUINTIANO dice:
Per mille volte ben venuta sia! Mandato io ho per te per farti bene,
Acciò beata e ricca meco stia ;
Non dubitar d' aver a patir pene,
O di cosa del mondo carestia.
Chi fu tuo padre? e a chi s' appartiene
Aver cura di te, acciò parlare
Possi con loro e seco concordare?
Teodoro mio padre e cittadino
Fu d'Antiochia, e visse in questa terra Con grande onor, e or per mio destino Lui e la madre mia giace sotterra;
E senza lor vivo col cuor tapino,
Perchè la lor memoria il cuor mi serra,
E una mia nutrice ha di me cura; Con lei mi vivo e onesta e sicura.
Tuo padre sempre del popol romano Fu grande amico, e io per suo amore Ti sarò sempre benigno e umano, E al mondo farotti tal onore
Che quasi il ciel toccherai con tuo mano; E sappi ch' io t'ho posto tanto amore Che, se vuoi consentir d' esser mie sposa, Io amerò sol te sopr' ogni cosa.
A Roma condurrotti, e tua bellezze Roma vedrà, e tu vederai lei, E goderatti la mia gran ricchezza, Grata sarai a gli uomini e alli dei, Sempre stando in trionfi e allegrezze. Or mi rispondi, se contenta sei
Ch'io sia tuo sposo, e tu sia la mia diva, E con meco felice sempre viva.
Sappi che tôr non posso altro marito; Ch' io sono a uno sposo maritata Col qual col cuor è ogni senso unito, Nè da lui posso esser separata ; Si che piglia, signor, altro partito Perchè i' son tanto dal mio sposo amata, Che prima patirei ogni tormento Che da lui separarmi un sol momento. Nessuno a me non si può uguagliare Sendo romano e de l' Asia rettore; E sappi ch'i' mi posso glorïare Sol mi precede il grande imperadore. Di mie ricchezza i' non vo' favellare Che supera d'ogni uomo il mio valore; Si che lascia lo sposo qual tu ài E sempre meco in delizie starai.
Questi tuo ben son tutti temporali E quei del sposo mio son beni eterni ; Stabili e' sua, e' tua debili e frali: Ma questo tu non vedi, e non discerni Come spesso li seguon tanti mali, Chè sicuri non son li amor fraterni,
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