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Guarda dunque, signor, quel che tu fai
Ch'ogni amicizia rompe un giusto sdegno;
Se ingrato in terra al tuo fattor sarai
Non sperar di salir su nel suo regno;
E da mie parte a Camillo dirai

Che del mio corpo non facci disegno,
Ch'i' ho lo sposo mio ch'è tanto grande
Che il ciel si pasce delle sue vivande.
È la virginità si bel tesoro

Che trovar non si può cosa più degna;
Quanto ella sia in ciel sopra ogni coro
La madre del Signor cel mostra e insegna;
Che ricchezze mondane o forza d'oro?
Questa è del ciel la trionfante insegna,
Vaso d'ogni virtù pura e serena,
Ancor di pace e di dolcezza piena.

Dio che al mondo può fare ogni cosa
Non può chi è corrotta al tutto fare
Che corrotta non sia; così si chiosa
Per Jeronimo, qual non vedi errare:
Quando che in terra è caduta la rosa
Perde l'odore e più nol puoi trovare;
Questa è come la età giovane e verde
Che non si può acquistar quando si perde.
Questo tesoro, chi nol perde in terra,
Con gran letizia in ciel sempre ritiene ;
Questo è l'ospizio ove Jesù si serra,
E giorno e notte in quello albergo viene;
Chi vuol pace tranquilla senza guerra
Riservi el frutto dello eterno bene;
Chè chi 'l perdessi nol racquista mai;
Guarda dunque, signor, quel che tu fai.

Come vuoi tu ch' i' perda un tanto frutto Che mi farà in eterno esser felice? E' sarà il corpo mio prima distrutto. Guarda, signor, quel che Eufrasia ti dice: S'io avessi potenzia al mondo tutto E fussi sopra ogni altra imperatrice E credessi in eterno quel fruire, Più presto per Jesù vorrei morire.

E' sarà prima el paradiso inferno, E mancherà della sua luce il sole,

El ciel farà vendetta, inganno e scherno
E' sassi produrranno le parole,
Lasserà prima il ciel suo bel governo,
E' bruchi torneran rose e viole,

Di pesci e d'acqua sarà il mar privato,
Prima ch' io lassi Dio che m' ha creato.

Questo è l'effetto e la conclusïone:
Rimanti, mondo, con la tua malizia ;
E tu che sei per ministrar ragione
Conserva la pietà con la giustizia,
Governa il regno tuo con discrezione
E vedrai poi de' buon quanta è dovizia;
Non con odio, rancor, vendetta o sdegno,
Ma col timor di Dio, regghi il tuo regno.

Io ti commetto e lasso ogni ben mio;
Dispensa per Jesù quel che mi resta;
Quel che ci ha dato il mondo, egli è di Dio,
Si che per conservarci e' ce lo presta;
Per tanto render quello è giusto e pio
Come il santo vangel ci manifesta ;
Rendi e concedi quel ch' a me perviene,
Acciò possa fruir l'eterno bene.

A' servi nostri e alle ancille ancora
Libertà, signor mio, concederai:
Chi e' nostri terren tiene e lavora
Ogni debito loro rimetterai;

E io per voi pregherrò ogni ora
Che Dio vi guardi da tormenti e guai.
Saluta la regina e resta in pace:

Che Dio ti facci de' suo don capace.

Letta la lettera, lo IMPERADORE dice a Camillo :

Questo dimostra ch'ella è vera sposa
Di quel Signor ch'è somma sapïenzia
Nel qual perfettamente si riposa,
Onde non è da fargli resistenzia.

Risponde CAMILLO :

Tanto è la vita mia più lacrimosa
Quanto più vedo in lei maggior prudenzia.

LO IMPERADORE dice:

Quando una grazia al servo il signor chiede,
Stolto è per certo se non la concede.

CAMILLO risp.: Orsù, poi che Dio vuol che cosi sia

VOL. II.

26

L'animo al men col parentado tenghi.

Dice lo IMPERADORE:

Quando saran destrutte l'ossa mia
Allor vorrò che tanto amor si spenghi.

CAMILLO risponde:

Io ringrazio, signor, tua signoria
E priego che 'l tuo stato si mantenghi.

Dice lo IMPERADORE:

CAMILLO dice:

Torna a vedermi.

Io lo farò, signore,
Chè gli è offizio di buon servidore.

LO IMPERADORE dice a' servi :

Fate che dispensato fia per Dio
Ciò che si truova di Eufrasia nostra.

Uno SERVO risponde e dice:

Ubidir m' è, signor, sommo desio,
Però presto farò la voglia vostra.

El SERVO di Antigono dice:

Servo fui di Antigòn clemente e pio;
Il premio si de' dare a chi ben giostra.

Dice lo IMPERADORE al servo:

Libero fatto fia.

Una ANCILLA di Antigono dice:

LO IMPERADORE dice.

E io,

messere?

E ancora tu, che gli è giusto e dovere.

Uno POVERO ad uno altro dice:

O Michelaccio, chiama un po' il Cibeca
E Sparapane e Luca cieco e 'l Cola;
Chi pigli el zufolin, chi la ribeca,
Chè oggi è quel di che s' ugnerà la gola.

Un altro POVERO dice:

Mazagatta suol fare a mosca cieca
Quando la carne e qualche tozo invola;
Quell' altro sciatto si gratta la tigna,
Corpo da far carogna per Sardigna.

Uno POVERO dice:

E' ci è qua un che ci vuol dar lo scotto.

Un altro POVERO:

Di cavol riscaldato forse fia.

Un altro POVERO dice:

lo sono, Sparapane, in modo rotto
Ch'io farei rincarar la befania.

Un altro POVERO dice:

E non è tempo di far più l' arlotto;
Il guadagno è sopra la ipocrisia.

Quel SERVO che dà la elemosina della roba di Eufrasia, dice:
Prendete in carità quel ch'i' vi dono,
Che Dio ci dia verace e buon perdono.

Dice uno POVERO:

O Mazagatta, io torrò poi il bastone:
Sempre la preda tu mi tôi di mano.

Dice un altro POVERO:

Datene ancora a me; guarda, poltrone!
E' ti par forse d'essere a baccano ? 1

Un altro POVERO:

1

Va', porta alla giustizia il gonfalone!

Risponde un altro POVERO:

E tu, di' l'orazion di S. Bastiano.

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Omė, Jesù mio, quando io ti sguardo
Tanta dolcezza nel mio core abonda

Di fuori e dentro io mi consumo e ardo:
Ma chi mi tien, Signor, ch'i' non risponda?
Omè, che vien da que' santi occhi un dardo
Che fa la vita mia dolce e gioconda !

Gli spirti vanno a te, ma il cor soletto
Si resta in terra, e muoio nel diletto.

El demonio gli va dietro tentandola e LEI dice:

Ahi, crudel nimico d'ogni bene,

È una di quelle frasi come Andare in Piccardia, Mandare in Cornovaglia ecc. che si trovano nei nostri comici. Qui si prende occasione da una strada conosciutissima di Roma e di Firenze, e da uno dei vocaboli coi quali si designa il rumore scomposto, per formare questa frase la quale non è altro che una raccomandazione di non alzar troppo la voce e non far chiasso.

Perchè mi muovi si crudel battaglia?
Ritorna, maladetto, a quelle pene,
Chè 'l mio Jesù ogni tua forza taglia;
Voglio una pietra por sotto le rene
Chè l'ozio e la quïete assai travaglia.

Dice una MONACA ad Eufrasia:

Certo, Eufrasia, el diavolo infernale
T'ha già voluto inducere a far male.

E' si vuol quando e' vien la tentazione
Farlo a madonna subito assapere,
Acciò che in coro si facci orazione,
Chè non si può miglior rimedio avere.

EUFRASIA risponde:

Io ero piena di confusïone,
E non sapevo modo mi tenere.

Lu MONACA a madonna dice:

Ecco, madonna, Eufrasia tentata.

MADONNA dice ad Eufrasia:

Fa', figlia mia, che sia sempre occupata. E perchè l'ozio ogni ben far dispreza Piglia quel sasso e sopra il forno il porta. EUFRASIA portando il sasso dice:

O sasso,

mio riposo e mia riccheza!
Jesù benigno, che mio cor conforta!
Jesù, de' sensi mia somma dolceza!
Jesù mio ben, mia pace, guida e scorta!
Fa' pur che del tuo amore io sia ferita
Ch'io non so, Jesù mio, più dolce vita.

MADONNA dice ad Eufrasia:

Non è convenïente che gli sia
Si presso al forno così grave sasso.

Risponde EUFRASIA :

Il porterò, dolce madonna, via;
Questo m'è tutto al cor sollazo e spasso.

Dice una MONACA con maraviglia:

Come può esser mai che questo sia?
Dieci non porterebbon si gran masso.

Portando EUFRASIA il sasso dice:

Jesù, cantando e giubilando, il core
Si strugge come neve a tutte l' ore.

MADONNA dice ad Eufrasia:

Or posa, figlia mia, tue membra alquanto.

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