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Sappi che 'l campo tuo in rotta è messo,
E morto o preso ogni guerrier più forte;
E' tuo fratelli ancora in questa guerra
Morti reston con gli altri su la terra.
LO IMPERADORE: O padre Constantin, tu mi lasciasti
A tempo questo imperio e la corona!
A tanti mal non so qual cor si basti,
O qual fortezza sia constante e buona.
Ecco or l'imperio, ecco le pompe e' fasti,
Ecco la fama el nome mio che suona!
Non basta tutto el mondo si ribelli;
Che ho perso ancora e' miei cari fratelli.

UNO lo conforta: O Signor nostro, quando el capo duole,
Ogn' altro membro ancor del corpo pate.
Perdere il cor si presto non si vuole ;
Piglia del mal, se v'è, niuna bontate :
Chi sa quel che sia meglio? nascer suole
Discordia tra' fratei molte fïate:

Forse che la Fortuna te gli ha tolti,
Acciò che in te sol sia quel ch' era in molti.
Ritorna in sedia e lo scettro ripiglia,
Ed accomoda el cor a questo caso;
E prendi dello imperio in man la briglia,
E Dio ringrazia che se' sol rimaso.

Lo IMPERADORE dice:

Io vo' far quel che 'l mio fedel consiglia,
E quel che la ragion m' ha persuaso:
Tornare in sedia, come mi conforti ;
Co' vivi i vivi, e' morti sien co' morti.

Io so che questa mia persecuzione
Da un error ch'io fo, tutta procede;
Perch' io sopporto in mia iurisdizione
Questa vil gente, quale a Cristo crede:
Io vo' levar, se questa è, la cagione,
Perseguitando questa vana fede;
Uccidere o pigliar sia chi si voglia.

Oimè il cor... Quest' è l' ultima doglia.

Dette queste parole si muore e quelli che restono si consigliono ed UNo di loro parla:

Noi siam restati senza capo o guida :
L'imperio a questo modo non sta bene.
El popol rugghia, e tutto 'l mondo grida;

UN ALTRO:

UN ALTRO:
UN ALTRO:

Far nuovo successor presto conviene.
Se c'è tra noi alcun che si confida
Trovare a chi lo imperio s' appartiene,
Presto lo dica, ed in sedia sia messo;
Quanto io per me, non so già qual sia desso.
E' c'è Giulian, di Constantin nipote,
Che, benchè mago e monaco sia stato,
È di gran cuore, e d'ingegno assai puote,
Ed è del sangue dello imperio nato;
Benchè gli stia in parte assai remote
Verrà, sentendo el regno gli sia dato.
Questo a me piace.

Ed a me molto aggrada.
Orsù, presto per lui un di noi vada.

GIULIANO nuovo imperadore:

Quand' io penso chi stato è in questa sede,
Non so s' io mi rallegro, o s' io mi doglia
D' esser di Giulio e d' Augusto erede;
Nè so se imperador esser mi voglia:
Allor, dove quest' aquila si vede,
Tremava il mondo, come al vento foglia;
Ora in quel poco imperio che ci resta,
Ogni vil terra vuol rizzar la cresta.

Da quella parte là, donde il sol muove
In fin dove poi stracco si ripone,
Eron temute le romane pruove;
Or siam del mondo una derisïone :
Poi che fur tolti i sacrifici a Giove,

A Marte, a Febo, a Minerva, a Giunone,
E tolto el simulacro alla Vittoria,
Non ebbe questo imperio alcuna gloria.
E però son fermamente disposto,
Ammonito da questi certi esempli,
Che simulacro alla Vittoria posto
Sia al suo luogo, e tutti aperti e' templi :
E ad ogni cristian sia tolta tosto

La roba, acciò che libero contempli :
Chè Cristo disse a chi vuol la sua fede:
Renunzi a ogni cosa ch' e' possiede.

Questo si truova ne' Vangeli scritto;
Io fui cristiano, allor lo intesi appunto :
E però fate far pubblico editto:

Chi è cristian, roba non abbi punto.
Nè di questo debbe esser molto afflitto
Chi veramente con Cristo è congiunto.
La roba di colui che a Cristo creda,
Sia di chi se la truova giusta preda.

UNO che accusa Giovanni e Paulo:

O imperador, in Ostia già molti anni
Posseggon roba e possession assai
Due cristian, cioè Paulo e Giovanni ;
Nè il tuo editto obbedito hanno mai.

LO IMPERADORE:

Costor son lupi, e di pecore han panni;
Ma noi gli toserem, come vedrai :
Va'tu medesmo, usa ogni diligenzia,
Acciò che sian condotti in mia presenzia.

Che val signor che obbedito non sia
Da' suoi soggetti, e massime allo inizio ?
Perchè un rettor d'una podesteria,
Ne' primi quattro di fa il suo offizio.
Bisogna conservar la signoria
Reputata, con pena e con supplizio:
Intendo, poich' io son quassù salito,
Ad ogni modo d' essere obbedito.

A Giovanni e Paulo condotti dinanzi all' imperadore:
Molto mi duol di voi, dapoi ch'io sento,
Che siate cristian veri e battezzati;

Chè, benchè assai fanciullo, io mi rammento,
Quanto eri a Constantin, mio avol, grati;
Pure stimo più el mio comandamento,
Chè la reputazion mantien gli stati;
Ora in poche parole: o voi lasciate
La roba tutta, over Giove adorate.

GIOVANNI e PAULO:

Come a te piace, signor, puoi disporre
Della roba; e la vita anche è in tua mano:
Questa ci puoi, quando ti piace, tôrre;
Ma della fede ogni tua pruova è in vano.
E chi a Giove, vano Dio, ricorre,
Erra; e ben crede ogni fedel cristiano :
Vogliamo ir per la via che Gesù mostra:
Fa' quel che vuoi, questa è la voglia nostra.

GIULIANO imperadore:

S'io guardassi alla vostra ostinazione,

Io farei far di voi crudele strazio :

Pietà di voi mi fa compassione,

Se non del vostro mal mai sare' sazio:
Ma il tempo spesse volte l' uom dispone :
Però vi do di dieci giorni spazio
A lasciar questa vostra fede stolta;
E se non, poi vi sia la vita tolta.

Or va, Terenziano, e teco porta
Di Giove quella bella statuetta ;
E in questi dieci di costor conforta,
Che adorin questa, e Cristo si dimetta;
Se stanno forti a ir per la via torta,
El capo lor giù dalle spalle getta.
Pensate ben, se la vita v' è tolta,
Che non ci si ritorna un' altra volta.

GIOVANNI e PAULO:

O imperadore, in van ci dải tal termine,
Perocchè sempre buon cristian saremo ;
Il zel di Dio, e questo dolce vermine
Ci mangia e mangerà fino all' estremo :
Il gran che muore in terra sol par germine.
Per morte, adunque, non ci pentiremo;
E se pur noi ci potessim pentire,
Per non potere abbiam caro el morire.

Dunque, fa' pur di noi quel che tu vuoi;
Paura non ci fa la morte atroce;
Ecco, giù el collo lieti porrem noi
Per quel che pose tutto 'l corpo in croce.
Tu fusti pur ancor tu già de' suoi:
Or sordo non più odi la sua voce :
Fa conto questo termin sia passato;
Il corpo è tuo, lo spirto a Dio è dato.

Lo IMPERADORE:

E' si può bene a forza a un far male,
Ma non già bene a forza è far permesso;
Nella legge di Cristo un detto è tale:
Che Dio non salva te, sanza te stesso.
E questo detto è vero e naturale,
Benchè tal fede vera non confesso.
Dapoi che 'l mio pregar con voi è vano,

Va', fa' l' officio tuo, Terenzïano.

TERENZIANO a Giovanni e Paulo, dice:

E' m' incresce di voi, che, giovinetti,
Andate come pecore al macello :

Deh pentitevi ancor, o poveretti,

Prima che al collo sentiate il coltello.

GIOVANNI : Se a questa morte noi saremo eletti,
Fu morto ancor lo immaculato agnello:
Non ti curar de' nostri teneri anni;
La morte è uno uscir di molti affanni.
Questa figura d'oro che in man porto,
L'onnipotente Giove rappresenta.

TERENZIANO:

Non è meglio adorarla che esser morto,
Poichè lo imperador se ne contenta?

UNO DI LORO: Tu se', Terenzïan, pur poco accorto :

UNO DI LORO:

Chi dice: Giove è Dio, convien che menta.
Giove è pianeta, che 'l suo ciel sol muove,
Ma più alta potenzia muove Giove.

Ma ben faresti tu, Terenziano,

Se adorassi el dolce Dio Gesue.

TERENZIANO: Questo è appunto quel che vuol Giuliano!
E meglio fia non se ne parli piue.

Qua venga el boia: e voi di mano in mano
Per esser morti, vi porrete giue.

Su, mastro Pier, gli occhi a costor due lega,
Ch'i' veggo el ciambellotto ha fatto piega.1

Posti ginocchioni con gli occhi legati, insieme dicono:
O Gesù dolce, misericordioso,

Che insanguinasti il sacro e santo legno
Del tuo sangue innocente e prezioso,
Per purgar l'uomo e farlo del ciel degno :
Volgi gli occhi a due giovani, pietoso,
Che speran rivederti nel tuo regno:
Sangue spargesti, e sangue ti rendiamo;

1 Annota il Cionacci: «È formola proverbiale che vale: E'sono ostinati, poiche a significare uno incorreggibile per la sua ostinazione nel male, dicesi proverbialmente: Far come il ciambellotto, non lasciar la piega. Il Cecchi, Dissim.,2,3, dice: I giovani sono come il ciambellotto: si tengono sempre la prima piega che é data loro.— Ciambellotto è tela fatta di pelo di capra, e anticamente di cammello, dal quale tolse il nome.

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