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CONSTANZA:

Poichè non può da te questo mal tôrre,
Tentar nuovi remedi è 'l parer mio,
Chè dove l'arte manca, abonda Dio.
I' ho sentito dir da più persone,
Che Agnesa, la qual fu martirizata,
A' parenti è venuta in visïone,
E credesi per questo sia beata;
Io proverrei a ir con devozione,
Laddove questa santa è sotterrata ;
Raccomandati a lei con umil voce:
E' non è mal tentar quel che non nuoce.
I' ho già fatte tante cose in vano,
Che questi pochi passi ancor vo' spendere;
Se 'l corpo mio debbe diventar sano,
Questa è poca fatica; io la vo' prendere :
E forse l'andar mio non sarà vano;

Già sento in devozione il cuore accendere;
Già mi predice la salute mia:

Orsù, andiam con poca compagnia.

Poi che è giunta alla sepoltura di Santa Agnesa:

O Vergin santa, d'ogni pompa e fasto
Nimica, e piena dello amor di Dio;
Pe' merti dello sparso sangue casto,
Ti priego volti gli occhi al mio disio :
Abbi pietà del tener corpo guasto,
Abbi pietà del vecchio padre mio;
Bench' io nol merti, o vergin benedetta,
Rendimi al vecchio padre sana e netta.

Addormentasi, e SANTA AGNESE le viene in visione, dicendo:
Rallégrati, figliuola benedetta:

Dio ha udito la tua orazïone,
Ed esaudita, ed èlli suta accetta,
Perchè la vien da vera devozione;
E se' libera fatta, monda e netta:
Rendi a Dio grazie, chè tu n' hai cagione;
E per questo mirabil benefizio

Ama Dio sempre, ed abbia in odio il vizio.

CONSTANZA si desta, e dice:

Egli è pur vero; a pena creder posso;
E vedo, e tocco el mio corpo esser mondo;
Fuggito è tutto el mal che avevo addosso;

Son netta, come il dì ch' io venni al mondo.
O mirabile Dio! onde se' mosso

A farmi grazia? ed io con che rispondo?
Non mia bontà o merti mia preteriti,

Ma mosso han tua pietà d' Agnesa e' meriti.
L'odor soave di sua vita casta,

Come incenso sali nel tuo conspetto;
Ond' io, che son così sana rimasta,
Fo voto a te, o Gesù benedetto,
Che mentre questa brieve vita basta,
Casto e mondo riserbo questo petto;
E 'l corpo che di fuor or mondo sento,
Con la tua grazia ancor fia mondo drento.
dice:

E voltasi a quegli che son seco,

Diletti miei, queste membra vedete,
Che ha monde la suprema medicina :
Insieme meco grazie a Dio rendete
Dell' ammirabil sua pietà divina:
Simili frutti con dolcezza miete
Colui, che nel timor di Dio cammina:
Torniamo a casa, pur laudando Dio,
A dar quest' allegrezza al padre mio.

Mentre ne va a casa:

O Dio, il qual non lasci destituto
Della tua grazia ancor gli umani eccessi,
E chi arebbe però mai creduto,

Che d'una lebbra tanti ben nascessi?

Cosi utile e sano è 'l mio mal suto;

Convien che i miei dolor dolci or confessi.
O santa infermità per mio ben nata
Che hai mondo il corpo, e l'anima purgata!

E giunta al Padre:

Ecco la figlia tua, che lebbrosa era,
Che torna a te col corpo bello e netto,
Sana di sanità perfetta e vera,
Perocchè ha sano el corpo e l'intelletto;
Troppo son lieta; e la letizia intera,
O dolce padre, vien per tuo rispetto;
Perocchè Dio mirabilmente spoglia
Me dalla lebbra, e te da tanta doglia.
VOL. II.

21

Risponde el PADRE:

Io sento, figlia mia, tanta dolceza,
Che pare il gaudio quasi fuor trabochi;
Nè posso far che per la tenereza
Non versi un dolce pianto giù dagli ochi:
Dolce speranza della mia vecchieza,
Creder nol posso, insin ch' io non ti tochi.

E dicendo cosi gli tocca le mani:

Egli è pur vero; o gran cosa inaudita!
Ma dimmi, figlia mia, chi t'ha guarita?

Risponde CONSTANZA:

Non m' ha di questa infermità guarita
Medico alcun; ma la divina cura.
Io me n' andai e devota e contrita
D'Agnesa a quella santa sepoltura;
Feci orazion, la qual fu in cielo udita;
Poi dormi'; poi desta'mi netta e pura:
Feci allor voto, o caro padre mio,
Che il mio sposo e 'l tuo genero sia Dio.
Risponde il PADRE :

e dice:

Grande e mirabil cosa certo è questa:
Chi l'ha fatta non so, nè 'l saper giova.
Basta se sana la mia figlia resta,

Sia chi si vuol; questa è suta gran pruova.
Su rallegriȧnci tutti e facciam festa:
O scalco su, da far collezion truova;
Fate che presto qui mi venghi inanzi
Buffoni e cantator, chi suoni e danzi.

Torna in questa allegrezza GALLICANO di Persia con vittoria,
Io son tornato a te, divo Augusto,
E non so come, tra tanti perigli:
Ho soggiogato el fer popol rolusto;
Nè credo contro a te più arme pigli:
Per tutta Persia il tuo scettro alto e giusto
Or è tenuto e di sangue vermigli
Fe' con la spada e' fiumi correr tinti,
E son per sempremai domati e vinti.

Tra ferro e fuoco, tra feriti e morti,
Con la spada abbiam cerco la vittoria
Io e' tuoi cavalieri audaci e forti:
Di noi nel mondo fia sempre memoria.
Io so ben che tu sai quanto t'importi

Questa cosa al tuo stato e alla gloria;
Chè se l'andava per un altro verso,
Era il nome romano e 'l regno perso.

Benchè la gloria e 'l servir signor degno,
Al cuor gentil debbe esser gran mercede;
Pur la fatica, l'animo, e l'ingegno,
Ancorch' io mi tacessi, premio chiede:
Se mi dài la metà di questo regno,
Non credo mi pagassi per mia fede:
Ma minor cosa mi paga abastanza,
Se arò per sposa tua figlia Constanza.
Risponde AUGUSTO, cioè CONSTANTINO:

Ben sia venuto el mio gran capitano,
Ben venga la baldanza del mio impero;
Ben venga el degno e fido Gallicano,
Domator del superbo popol fero;
Ben sia tornata la mia destra mano,
E quel nella cui forza e virtù spero;
Ben venga quel che, mentre in vita dura,
L'imperio nostro e la gloria è sicura.

Ogn' opera e fatica aspetta merto;
E' tuoi meriti meco sono assai;
E se aspettavi il premio fusse offerto,
Io non ti arei potuto pagar mai :
Darti mia figlia gran cosa è per certo,
E quanto io l' amo, Gallican, tu il sai;
Gran cosa è certo un pio paterno amore;
Ma il tuo merito vince, ed è maggiore.

Se tu non fussi, lei non saria figlia
D'imperadore, el qual comanda al mondo;
Però s'altri n' avessi maraviglia,
E mi biasma, con questo li rispondo ;
Credo che lei e tutta mia famiglia,
E 'l popol tutto ne sarà giocondo;
Ed io di questo arò letizia e gloria,
Non men ch' io abbi della gran vittoria.

In questo punto ir voglio, o Gallicano,
A dir qualcosa a mia figlia Constanza;
Tornerò resoluto a mano a mano:
Intanto non rincresca qui la stanza.

Mentrecheva: O ignorante capo! o ingegno vano!

O superbia inaudita! o arroganza!
E così l'aver vinto m'è molesto,
Se la vittoria arreca seco questo.

Che farò? darò io ad un suggetto
La bella figlia mia, che m' è si cara?
S' io non la do, in gran pericol metto
Lo stato; e chi è quel che ci ripara?
Misero a me! non ci è boccon del netto; 1
Tanto fortuna è de' suoi beni avara.
Spesso chi chiama Constantin felice,
Sta meglio assai di me, e 'l ver non dice.

Poichè è giunto a Constanza:

Io ti vengo a veder, diletta figlia,
Con gli ochi, come ti vego col cuore.

CONSTANZA: O padre, io vego in mezo alle tue ciglia
Un segno, che mi dice che hai dolore,
Che mi dà dispiacere e maraviglia:
O padre dolce, se mi porti amore,
Dimmi ch'è la cagion di questo tedio;
E s' io ci posso fare alcun rimedio.

CONSTANTINO:

CONSTANZA:

Dimmelo, o padre, sanza alcun riguardo;
Io son tua figlia per darti dolceza ;
E però dopo Dio a te sol guardo,
Pur ch' io ti possa dar qualche allegreza.

Io sono a dirti questa cosa tardo;
Pietà mi muove della mia vechieza,
E del tuo corpo giovenil, che sano
È fatto, acciò che il chiegga Gallicano.

O padre, dè pon freno al tuo dolore;
Intendo quel che tu vuoi dire a punto.
El magno Dio, ch'è liberal Signore,
Non stringerà la grazia a questo punto.
Io vego onde ti vien tal pena al cuore:
Se dài a Gallican quel c'ha presunto,
Offendi te e me; e s'io nol piglio

Per mio marito, el regno è in gran periglio.
Quando 'l partito d'ogni parte punga,

' Modo non registrato nei Vocab. per dire: non c'è boccone che non mi sia

amaro, qualunque io prescelga: cioè: non ci è via buona per uscir da questo impaccio.

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