Non curando colui che per giustizia Dette il figliuol a si misera sorte: Non potendo altrimenti rimediare Col sangue suo ci volse comperare. Uno SAVIO risponde ad Anacor e dice cosi:
Guarda se questo è ben semplicitate, Che Dio fussi constretto il suo figliuolo Mandare in terra, in tal calamitate Per sentir al fin morte con tal duolo ! Non poteva egli usar sua potestate Con perdonare a questo fallo solo? O per uom o per angiol tal delitto Satisfar, benchè ciò non fussi scritto?
Sarebbe stato il perdonare indegno, Ch' ogni peccato attende punizione; Nè potea l' uom, chè per gustar del legno Avea perduta sua perfezione,
E l'angiol da patir non era degno, Non avendo esso errato, passïone; Però fu necessario chi dovea
Con Dio esser congiunto che potea.
Uno SAVIO dice al re così:
Costui s'è tutto volto e rimutato E forse ha qualche Iddio che gli risponde; E non è igniun che gli possi ire allato Che con varii argumenti ci confonde ; Fa' se ti par ch' ognun sia licenziato Che non s'udi mai cose si profonde.
Licenzia il RE a ciascheduno e dice così:
Perchè gli è tardi, ogniun abbi licenzia; Doman sarete alla nostra presenzia.
Poi che la cosa qui riman sospesa Fa' che 'l maestro mio meco ne venga Chè possiam conferir di nostra impresa, E questa notte ognun sua savi tenga, Si che tua maestà non sia ripresa Che questa impresa sol per forza ottenga.
Io son contento far quel che tu hai detto Pur che ne segua qualche buon effetto.
JOSAFAT si parte con Anacor, e giunti a casa dice ad Anacor: Perchè tu sia per Barlaam venuto
Sappi che 'l nome tuo non m'è nascoso; Ma veggo ben che Dio t'ha porto aiuto E vorrebbeti dar maggior riposo ; Dapoi che t'ha di grazia proveduto Dè, non negar le nozze a tanto sposo, Ma voglia battezzarti per suo amore, Ch' ogn' altra legge è falsa e pien d'errore.
ANACOR risponde a Josafat:
Non ti bisogna usar troppe parole Ch' io son del foco suo già tutto acceso, E del tempo passato assai mi duole Che negl' idoli nostri indarno ho speso ; E però, se cosi da lui si vuole, Eccomi al suo voler già tutto atteso: E tu mi da' la tua benedizione, Ch' i' vo' seguir la mia promissïone.
Uno SERVO dice al re come Josafat ha convertito Anacor:
Sappi che quel romito che mandasti
Albergo col tuo figlio a casa iersera, Non era quel che tu pigliar pensasti Ma un romito della nostra schiera; E però teco mal ti consigliasti, Chè 'l tuo figliuol con sua dolce maniera Ha fatto si che quello ha convertito,
E staman di nascoso se n'è ito.
Dice il RE seco medesimo:
Or è contenta questa mia nimica Fortuna, che mi segue in ogni parte! Io veggo che mi perdo ogni fatica E che saranno pien tutte le carte ; Se più ne intende, alcun di voi lo dica Ch'i' non ho più consiglio, ingegno o arte; Il senso è vinto e l'anima smarrita,
Tanto che morte mi sarebbe vita.
Uno MAGO conforta il re e dice:
Non dubitar, chè si porrà rimedio ; I'ho pensato miglior fantasia; Ch'ogni cosa si vince per assedio. Se tu vorrai seguir la voglia mia
Io ti torrò da questo affanno e tedio,
Se non è vana la scïenzia mia.
Dice il RE: Se tu fai questo, una immagine d'oro
Ti pongo, e sempre per mio Iddio t' adoro. El MAGO dice: Fa' che di corte e' baron sien levati E poste in cambio altretante donzelle, Chè tutti siano alla carne inclinati Massimamente delle cose belle;
E uno de' mia spiriti incantati Manderò insieme a fornicar con quelle, E farenlo per forza ritornare.
Dice il RE: Andate, e fate quelle apparecchiare.
Dice il RE alle donzelle:
Acciò che 'l fatto ognuno di voi intenda Voi sarete menate in certo loco, Ove questa sarà vostra faccenda : Di tener il mio figlio in festa e gioco; E s'alcuna di voi sia che l'accenda Segretamente del suo dolce foco, Io gliel prometto e glielo osserveroe, Che per suo sposo io gliel concederoe.
Giunte le donzelle a Josafat, dice UNA di loro:
Noi siam venute alla tua reverenza Perchè tu pigli alquanto refrigero, Chè noi sentiam che tua magnificenza È posta in grande affanno e gran pensiero, E però non ci far tal raccoglienza Chè di star teco ognuna ha desidero.
Dice JOSAFAT alle donzelle:
Fate fra voi, per Dio, quel che vi piace, E non vogliate turbar la mia pace.
JOSAFAT fa orazione a Dio:
O benigno fattore o padre immenso Che per noi morte e passion sentisti, Aiuta il servo tuo di duolo accenso Al qual benignamente gli occhi apristi; Fa' che non vinca la ragione il senso E scampa me da questi casi tristi.
Odi la voce mia dal ciel discesa :
Tu sarai vincitor della tua impresa.
Un' ALTRA donzella dice:
Arai tu di merzede il cor si nudo Che alquanto a' nostri detti non ti pieghi? Tu se' giovane e bel, non esser crudo, E non disdir agli amorosi prieghi : Non ti coprir, chè non ti varrà scudo; Fuggi stu sai, chè convien ch' io ti leghi ; Per certo la tua effigie e 'l tuo colore Non mostra esser in terra senza amore. Dice JOSAFAT: Ciò che tu prieghi, indarno t' affatichi; E increscemi di te, chè non intendi
Quel che tu parli, nè con chi tu 'l dichi, E, vaneggiando, a quel Signor offendi, E quanto sieno accetti i cuor pudichi A quel Signor che, cieca, non comprendi, Il qual, beato a te se 'l conoscessi !
E s'a le mie parole tu credessi !
Se tu vuoi ch' io consenta e ch' io ti creda, Senza aver altra fede o testimonio,
Bisogna che una grazia mi conceda : Ch'i' mi congiunga teco in matrimonio. Chè tal legame, per quanto si creda, Alla cristiana fè fu sempre idonio: E' patriarchi e Pietro ebbono sposa ; Però, faccendol, fia laudabil cosa.
Dice JOSAFAT: Cotesto è ver, che 'l matrimonio accetto Fu sempre a Dio, ma que' ch' ànno promesso
Di viver casti, e fermo è il lor concetto,
Sare' questo legame un grave eccesso.
Se non vuoi questo, almen teco nel letto Posar solo una notte sia concesso. Ch' io ti prometto, se il consentirai, Nella tua legge gran frutto farai.
Viene il re a sapere quel che hanno fatto le donzelle, et Josafat s' addormenta: il RE dice a una donzella: Ditemi presto, io vengo per sapere
Quel che seguito sia del mio figliuolo.
Egli era stanco, e s'è posto a giacere E vive in grandi affanni e pene e duolo, E non ci vale ingegno nè sapere Ch' ogni concetto a Dio ha posto solo, Nè solido fu mai più dïamante
Quanto costui nella sua fè costante.
Il RE si parte e tornato a casa dice a' sua baroni, prima che ritorni a sedere:
Io ho pensato, poi che 'l ciel dispone Che così sia, di dar mezzo il paese Al mio figliuol per sua dominazione, Per vincerlo con don tanto cortese. Ditemi voi la vostra opinione
Chè quanto sia seguito v' è palese.
Tu hai preso, Signore, un savio modo;
Torniamo a drieto, e mettiam questo in sodo.
Il RE torna a Josafat e dice come gli vuole amezzare la signoria: Perchè si mostri tal volta in presenza
Il padre contro al suo figliuol irato, Non è però minor la sua clemenza, Chè più s' accende il foco ch'è celato; Perchè tu vegga di ciò sperienza, Io t'ho mezzo il mio regno destinato.
Benchè il mio regno in altro loco attendo Io ti ringrazio, e a buon fin lo prendo. Ricevuto JOSAFAT la signoria, dice a' sua baroni : Poi che c' è dato in terra a possedere Di questi ben caduchi tanta copia, Fate pel regno mio di provvedere Ove sentita sia maggior inopia;
Tutto è comun, benchè di questo avere Oltre al dovuto alcun più se ne appropria;
E fate rizzar templi ornati e sacri,
E rovinar gli antichi simulacri.
Uno SERVO dice al re come Josafat converte molti popoli:
Sappi, Signor, che tutto il mondo corre
A udir del tuo figlio la dottrina ;
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