E dico ben che sia di grande stima, E che non fie del tuo, ma d' altro regno, E porrà la cristiana legge in cima, La qual perseguito hai con ogni ingegno; Fallo tenere in luoghi ornati e immensi Tal che mai del futuro o morte pensi. Turbato il RE dice a' suo baroni e servi:
Io son pel gran dolor già mezzo pazzo, Sentendo quanto costoro hanno detto. Fate voi apparare un bel palazzo
E quivi il nutricate in gran diletto; Dateli in compagnia per suo sollazzo Giovani tutti di gentile aspetto,
E se gli avien che gniun ve n'infermassi Levatel via, chè a morte e' non pensassi.
Chiamò il RE uno per maestro di Josafat; poi che l'ha fatto mettere in palazzo, e' dice:
Domizio fedelissimo e prudente,
Sappi ch' io t'ho fra tanti eletto solo, Come più litterato e più eccellente, A leggere e insegnare al mio figliuolo; Provedi che sia saggio e riverente, Tal che si lievi sopra agli altri a volo; Fate che viva sempre in festa e in giuoco Onestissimamente a tempo e loco.
Rinchiuso IOSAFAT nel palazzo dice a' suo servi:
Ditemi, servi miei, che vuol dir questo Che mio padre mi tien così rinchiuso ? Sarebbe mai ch' io gli fussi molesto, Che m'ha così da sè cacciato e schiuso? Fategli almeno in parte manifesto, E dite quant'è il mio viver confuso, E che gli piaccia sol lasciarmi un giorno Andare un poco a spasso qui d' intorno.
Uno SERVO va al re e dice in nome di Iosafat: Il tuo caro figliuol si raccomanda Benignamente alla tua maestate, E priega e riverente ti domanda Che tu rivolga a lui la tua pietate; Chè lo star chiuso gli è strana vivanda,
E pargli che tu gli usi crudeltate; Vorrebbe sol che gli dessi tanto agio Ch' almen un giorno uscissi del palagio.
Il RE volto a' baroni dice:
Andate, adunque, e montate a cavallo E fate qualche degno torniamento, O veramente qualche festa o ballo Che voi crediate farlo più contento; E fate presto a ogni mio vassallo Infermo e vecchio, un tal comandamento; Che vadin via, chè se gli riscontrassi Passando, il mio figliuol non si turbassi.
Il nostro serenissimo Signore
Fa comandare a tutti infermi e vecchi Che son qui circunstanti, uscir di fuore Ciascun qui del paese s' apparecchi: Essendo del suo figlio in gran dolore, Ha fatto far molti degni apparecchi E volendol menar doman a festa, Non vuol che vegga cosa a lui molesta.
Caccia il CAVALIERE molti infermi e poveri, dicendo: Scombrate, chè 'l Signore è già vicino; Non sapete voi il bando che gli è ito, Che chi si truova per questo cammino Infermo e vecchio ognun pigli partito?
Dice UNO di quelli poveri:
Tu debbi aver trovato oggi buon vino Alla taverna, che tu se' si ardito.
Tu rispondi, briccone ? e' sarà buono Ch'i' t'insegni ballar con questo suono.
Che vuo' tu far di noi? che diavol sia? Che t'hanno fatto questi poveretti?
Tu ne domandi? mal che Dio ti dia! In tel farò saper se tu m'aspetti.
Perchè ci da' tu questa ricadia ? Ancor non sai di tua vita gli effetti?
El signor tuo può far quel che gli piace, Ma chi dispiace al povero, a Dio spiace.
Aspetta un po' ch'io vo' torre un boccone; Cosi lo possa il tuo signor provare!
S'i' mi t' accosto con questo bastone Io ti darò merenda e desinare.
Serba per altri questa collezione,
Chè m' è fuggito voglia di mangiare; Lasciami bere un tratto; hai tu tal fretta?
Che Dio del ciel ne possa far vendetta!
Giunto Josafat al re, fanno festa, e sonato alquanto e danzato, il RE dà licenzia, e Josafat si parte:
Egli è già presso a sera, e sarà tempo Di ritornare ognuno alla sua stanza, E potremo altra volta a luogo e tempo Fornir questo altro resto che ci avanza, E di trarti di fuor fie più per tempo Che tu non pensi, ch' ogni mia speranza È posta in te, per tua opre leggiadre; E quel ch'è fatto accettal da tuo padre.
Tornando JosAFAT a casa, riscontra prima un cieco e un lebbroso e dice al suo maestro:
Chi son costor che mostron tanti affanni, E che a guardargli sol son cosa schiva?
Risponde il MAESTRO a Josafat:
Costor son vecchi forse d'ottant'anni, E pochi in terra a questa età n' arriva.
Che fia di lor? dè, fa' che non m'inganni; E può così venire ognun che viva?
Tutti possiam venire a tal confine, E d'ogni nostro affanno morte è il fine.
JOSAFAT dice al maestro:
Che val dunque la pompa e 'l gran tesoro, Se chiunche nasce al mondo de' morire, E possiam divenir come costoro
Per viver sempre con si gran martire? Al mio parer felici son coloro Che disprezzan del mondo ogni desire, E forse chi non nasce è più beato, Per non venire in si misero stato.
Dice il MAESTRO a Josafat:
Figliuol, queste son cose naturale Di sentir uom vecchiezza, affanni e morte; Nè forza contro a questo o ingegno vale, Chè a tutti è dato una comune sorte. Ma il pensar sempre a queste cose tale Da te discaccia, come uom saggio e forte, E di non esser nato anco è mal detto Ch'ogni cosa creata ha qualche effetto.
Viene BARLAAM alla porta come mercatante e domanda di parlare a Josafat dicendo di volergli mostrare certa gioia, e dice a uno de' servi così:
Dio ti conservi e ti mantenga in vita: Io vengo a visitar tuo Signor degno; E pòrtogli a veder tal margherita Che val più che non val tutto 'l suo regno, Perch' ella può con suo virtù infinita Far sapiente un che è di basso ingegno, E ciechi e muti e sordi liberare; Però mi lascia al tuo Signor entrare.
Risponde il SERVO a Barlaam :
Dunque sarestu in terra un altro Idio? Onde hai avuto si mirabil cosa?
Tu m'ài messo nel core un gran desio Di veder prieta si maravigliosa; Se me la mostri, presto al Signor mio Ti menerò, là dove lui si posa, E credo veramente, anzi son certo, Che tu n' arai da lui debito merto.
Risponde BARLAAM al servo:
Perchè tu sappi ben la sua virtute, Se la vedessi alcun coll' occhio insano Tutte le sue virtù sarien perdute: E però son venuto di lontano
Al tuo signor, che ha tal dote compiute, Vergine e casto, assai più ch' altri umano.
Se gli è cotesto, io mi confesso errato, Ch'io so ben ch'i' non son senza peccato.
Va il SERVO a Josafat e dice:
Egli è qua fuori un certo mercatante,
E dice che tal gioia porta seco
Che può far saggio un uom qual più ignorante, E liberar un muto, un sordo, un cieco;
E perchè ha inteso tua virtù prestante, È che secreto vorrebbe esser teco,
Chè mostrandola a alcun ne' vizii intento Perderia sua virtù.
BARLAAM in cambio della gioia promessa comincia a predicare la fede di Cristo a Josafat:
Colui che 'l cielo e l'universo regge Il quale è una essenza in tre persone, La tua benignità sotto sua legge Dirizzi, che son sante, giuste e buone; E della impresa che per me si elegge Conceda grazia colla mia intenzione; I' son da Dio mandato a predicarti, E la sua santa fè manifestarti.
Forse a notizia tua non è palese Che pel peccato del primo parente Giesù, figliuol di Dio, del ciel discese Essendo stato quel disubbidiente, E finalmente umana carne prese E abitò qui fralla mortal gente, In Betleem nascendo di Maria, Vergine sempre dopo il parto e pria.
Fu crocifisso e mostrò carne vera, E, perseguito dal crudel tiranno, Con la sua madre vergine e sincera Andò in esilio e tornò il settimo anno, E nel diserto con vita severa
Stette quaranta giorni in grande affanno, E vivendo provò per troppo zelo Fame, sete, dolore, e caldo e gelo.
Tradito d' un discepol, da' Giudei Fu preso, chè dal Padre era ordinato;
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