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Ed io l'ho detto acciò ch'ognun lo sappi.

Comparisce gente armata, e CESARE dice al padre:
O padre mio, già ogni cosa è in punto:
Vuoi tu sacrificar a' nostri dei?

DECIO:

Egli è pur buon con Marte esser congiunto,
E schifar, se si può, e' punti rei.

Forse che no; e' m' han pur tanto giunto,
E tanta doglia han dato a' giorni miei.
Andian pur via, usciàn pur della terra,
Chè mill' anni mi par d'esser in guerra.

Partesi, e va inverso Tarteria; e quegli di Baccarra, sentito il rumore de' soldati, un CAPITANO dice:

L'esercito di Roma è già in paese

Per vendicarsi; o gente fiera e forte!
Arme, arme! presto, presto alle difese!
Or s'ha combatter la vita o la morte:
Or ne va il sangue vostro, e non le spese:
Su, su, su' merli, e difendiam le porte.
Aspetteren che combattin la terra?

Gridate: Carne, carne! Guerra, guerra!

Entron nella terra tutti, e chiuggono le porte, e DECIO, giunto
presso alla terra, ferma il campo, e dice:
O forti cavalier, là è il nimico,

Quell'è Baccarra, che debbe esser vostra;
Ma state attenti a 'scoltar quel ch'i' dico:
Nessun alla campagna esser si mostra;
Quest' è perchè costume è lor antico
Di star nascosi, e non voler la giostra.
Ma in un tratto cigneren la terra,
E combattendo vinceren la guerra.
O capitan, fate d'esser accorti
Co' vostri fanti a piè di star a' passi,
E' luoghi d'importanza date a' forti
E que' che sappia ben schifar e' sassi,
Se osserverete, non saranno morti,
E se vinciano ognun allor s' abbassi;
Li uomini d'arme e gli altri stradiotti
Farem duo corna, e mai saren poi rotti.

Gli scoppiettieri sien primi a gittare
A que' che dentr' alle mura staranno;

Se ne comincion qualcun' a 'mmazzare,
Per la lor vita en un sacco staranno;
A noi bisogna e' nimici guastare;
Con questi modi mai ci vinceranno:
Se non rompiamo el campo a questa volta,
Ma' poi ci fia la vittoria tolta.

E però, cavalier, nella battaglia
Si vuol lasciar andar ogni paura,

E far che la suo spada fende e taglia;
Agli uomin forti la vita è sicura ;
Coperti siate di piastre e di maglia,
E sempre vince chi molto la dura.

Su, su, alla terra! o cavalier mie forti.

E' Roman vendicate che son morti.

Appicconsi; ègli rotto il campo. CESARE ferito a morte, dice.

O padre mio, io son ferito a morte:
Fa ch'io sia vendicato per tue mani.
Oh fragil vita! oh misera mia sorte!
Io non terrò lo imperio de' Romani.

Muorsi Cesare, DECIO dice:

Oh dolce figliuol mio, oh! figlio forte!

Chi t'ha ammazzato? oh traditor! oh cani!
Tu sarai vendicato dal tuo padre.

Aiutatemi, o mia romane squadre.

Fu ferito ancor egli a morte, e tornando inverso il figliuolo, l'abbraccia e dice:

Tu non se' vendicato, ed io son morto,
O figliuol mio; ecco preso la terra.
Quanto abbian ricevuto ingiusto torto
Per non sacrificar a Marte in guerra!
Or so il mio error senza conforto,
E la morte con gran dolor mi serra.
El sangue ch' io ho sparto de' cristiani,
Han vendicato e' barberi e pagani.

Muorsi: e tolto via amendua e' corpi, e'soldati tutti ritornano al seggio.

Qui si fa transito da Decio infino a Teodosio imperadore cristiano, come richiede la storia de' Sette Dormienti. Dice adunque TEODOSIO a'sua Soldati innanzi che sia impeCompagni cavalier, senza governo, Una casa va mal, non ch' uno impero;

radore:

Un CAPITANO:

Ad un tocca di noi, se ben discerno
Che di virtù sia robusto e sincero.
Un dappoco signor è uno scherno
A popol che sia grande, a dir il vero.
Però chiamate un capo con cervello,
E non guardate ch' e' sia brutto o bello.
E di sangue reale, e di virtute,
Teodosio se' tu, senza mentire;
Tu se' stato del campo la salute,
Poichè quel volse fortuna fuggire.

UN CONTE: Le lingue nostre non saranno mute,
Anzi tuo laude sempre vorren dire;
Però d'accordo piglia la corona,

E Viva viva! gridi ogni persona.

E' soldati gridon: Viva, viva! e fannolo Imperadore, con suoni di trombe; e salito in seggio, dice:

E' si può ben a forza a un far male,

Ma ben, se tu non vuoi, non è concesso:
Chi di sè stesso è micidïale

Che si dogga di Dio non è permesso.
L'amor, inverso l'uom, di Dio è tale
Che umanarsi ha voluto se stesso;
E per pietà, del ciel ci ha dato il regno,
Se di Cristo vogliam portar il segno.
Oh! insensate menti de' mortali,
Che tanto ben in don non ricevete;
Oh! mia antecessori stolti e mali,
D'adorar Giove che premio n'avete?
Aver morto e' cristian cotanti e tali,
Ditemi un poco se voi ne godete.
El ben che Dio vi dava no 'l volesti,
Del diavolo e' miracoli credesti.

Onde, cavalier mia fedeli e buoni,
Po' che m' avete fatto Imperadore,
Vo' che pigliam questi celesti doni,
E che si adori Cristo per signore;
Perchè gli è Dio, acciocchè ci perdoni
Degli altri antecessori el grave errore,
Non vo' se non di Decio e' gravi danni
Dette a' cristiani già son dugent' anni.
LO SINISCALCO: O cristianissimo e devoto signore;
Per tutto fa che s'adori Jesù.

Chi può negar che non sia 'l creatore?
Fa che gl'idoli non si adorin più;
Le croce sien per tutto, imperadore;
Quest' è di tuo corona la virtù.
Quando le cose nuove sopravvengono,
L'antiche e' savi già più non ritengono.

LO IMPERADORE :

Grata cosa, per certo, è suta questa,
Che la corte acconsenta al mio volere.
Però va, scalco mio, con voglia presta,
E gl'idoli per terra fa cadere;

Poi, su quelle colonne, e tu v'annesta
La croce, chè a ciascun possin piacere :
Contra 'l stimol non è buon calcitrare:
Iddio vuol vincer, perchè lo può fare.

Lo SCALCO va a' sacerdoti, e dice:

Su, su, preti, per terra gitterete
L'idol di Marte e tutti gli altri Dei.
Che state voi a far? Vo' toccherete
Qualche mazzata, e poi direte: ohmei!

UN SACERDOTE:

Che di' tu, valent' uom? Come? rompete
Gl'idoli nostri? Fuor di te, tu sei.

LO SCALCO con un bastone getta gl' idoli di Marte per terra, e mettevi una croce, e dice:

Fuor di te sara' tu con Giove e Marte,

Con tuo pianeti, caratteri e carte.

UN SACERDOTE:

Oh! sciagurat' a me! noi non areno
A 'mmazzar più de' castroni e de' buoi,
Stenterillo, stenterillo farėno,
E' preti stenteran co' figliuol suoi :

Vigilie sanza festa cantereno,

Oh schericati! oh ladroncegli a noi!

Vedi che Cristo ha vinto! Al men che sia,

Mi facessin prior d'una badia!

LO SCALCO si volta a' suo famigli, e dà loro delle croce, e dice:

Togliete queste croce, per le porte

Della città pur presto l' appiccate:
Non ne va or, come suole, la morte;
Andate via, e tosto a me tornate.
E voi non vi dorrete di tal sorte,

O sacerdoti, se Jesù adorate.

E' SACERDOTI:

SCALCO:

Se si guadagna nulla, noi el fareno
E, come Marte, ancor lui servireno.

Chi l'altar serve, d'indi ha aver il frutto:
Quest' è convenïente, e ben l'arete:
Io ho di voi cavato buon construtto,
Però governator ci resterete;
Lo imperador ragguaglierò del tutto,
E quel comanderà, quel voi farete.

UN SACERDOTE:

Volentier, Signor nostro: andate sano;
Buone novelle, poi che noi restiano.

LO SCALCO co' sua famigli si parte.

Dua dottori eretici parlano, uno chiamato TIBURZIO : Domine reverende baccelliere,

Habeo sillogisme calculatos,

Quæ resurrectio non facit mestiere,
Non potest natura facere renatos:
Ego tel probo ratione pere,
Che se fracide sunt et manducatos
'Et reciutos, nunquam diventabunt
Quales nos in mercato comperabunt.

CIRILLO, secondo eretico:

Habeo venticinque rationes,

Domine magister cathedrante,
Sconfondibiles omnes papacchiones,
Magistros reggentes omnes disputante;
Plato, Aristotilè, Paphiriones,

Averrois mihi tuttos adiutante;
Andemus, ergo, et sconfondiamus quegli,
Et postea faciemus a' capegli.

Vanno, e truovano dua fedeli; dice CIRILLO:
La nostra carità, la nostra fede
Ci ha fatto a vostra reverenzia gire,
Acciocchè chi superchio di Dio crede,
Alluminato non s'abbi a pentire;
Troppa aspra cosa a chi spera mercede
Di sua fatica è'l suo premio disdire;
Però il creder voi risuscitare

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