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Avendo una nipote ne' primi anni
Fu data sposa ad un gran senatore :
Poi dispregiando in terra e' ricchi panni,
Elesse di trovar vita migliore :
Eufrasia chiamossi; e se starete
Attenti, la sua vita intenderete.

ANTIGONO sposo di Eufrasia dice:

O cara donna mia, vita e sostegno
Del tuo diletto sposo e del suo core,
Di dirti el mio pensiero io fo disegno'
E quanto m'ha spirato oggi el Signore :
Tu vedi, donna, le ricchezze e il regno:
Ogni cosa creata al fin poi muore:
Chi nasce, chi si muore, e chi non dura:
Cosi mal passa l'umana natura.

Un si diletta al mondo delli stati,
Un altro di e notte andare a caccia,
Quell'altro cerca cibi delicati,

Un altro aspetta in mar vento o bonaccia:
Chi veste d'oro e chi panni rosati,
Un altro per amore arde e agghiaccia;
Al fin la morte a tutti mette il freno,
Perchè cosa mortal presto vien meno.

Però, da poi che Dio ci ha dato un frutto,
Bastici questo e non cerchiam più gloria:
Chi spesso abbraccia troppo, perde il tutto;
Non è senza fatica la vittoria :

Questo viver di carne induce a lutto,
Però che toglie a' buon' senno e memoria;
Dunque, vivendo in castità perfetta,
Da Dio l'eterno bene in ciel s'aspetta.

Risponde la DONNA:

Diletto sposo mio, tanta dolceza
Sente ogni senso per le tue parole,
Che l'alma e 'l corpo si divide e speza,
Le spine torneran rose e viole.
Che giova al mondo tesoro e riccheza
Se nello inferno poi l'alma si duole?
Savio è chi pensa di sua vita il fine,
Chè tarde non fur mai grazie divine.

San Paolo dice: quel che donna prende

Stia come quel che non ne prese mai.

A quel che ha gran tesori, e non gli spende,
Dopo la morte fien tormenti e guai.

Savio è colui che al vero fine attende;

Sa ben la conscïenzia quel che fai:
L'arbitrio è dato a l'uomo e l'intelletto,
Si che operando mal, suo fia il difetto.

Adunque, sposo mio, poi che il Signore
Ci mostra il modo di salire al regno,
Stolto è chi vede la palma e l'onore,
E di acquistarla poi non fa disegno;
Servire a Dio con umiltà di core,
Fa l'uomo di virtù supremo e degno;
Limosine, vigilie e orazione

Il porto son di nostra salvazione.
Volendosi lo SPOSO partire, dice:

Or su, poi ch'ogni cosa è ordinato
Io voglio ir la provincia a visitare.

Risponde la DONNA:

Vȧ; che Jesù preservi il nostro stato,
E diati grazia di poter tornare.

Poi che lo sposo è ito alquanti passi, torna a drieto e dice: Che vo'io dire? io non t'ho ricordato

Quel tesor che felice mi fa stare;

Questa è la tua figliuola.

La DONNA dice:

Va pur via,

Chè ben non è che in terra maggior sia.

EUFRASIA segue orando, mentre che il marito cammina:

O benigno signor, quanto è beato
Colui che con amor segue tue legge!
Chi fugge e' vizii e ha in odio il peccato
Dio in eterno lo conserva e regge:
Dir si suol per proverbio già vulgato:
Guai a colui che morte lo corregge!
Però, Jesù, fa' con amore e zelo
Tutti vegniam vittorïosi al cielo.

Antigono muore in cammino, e uno suo SERVO dice da sẻ:

Che debbo far? se madonna lo intende

Da altri, io sarò detto negligente:

Ma s'io gliel dico, egli è caso ch'offende;

Del dire il ver tal volta l'uom si pente.
Ma che dico io? l'uom ch'è prudente intende,
E non sendo riparo è pazïente.

Madonna è savia, e sa ben che 'l morire
Per modo alcun non si può mai fuggire.

El SERVO va ad Eufrasia e dice:

Sappi, Eufrasia, come il tuo marito
Già son duo giorni o più, che morto iace,
E ha, madonna, il suo corso finito

Con umil contrizione e vera pace.

EUFRASIA piangendo dice:

Omè, tu m'hai di doglia il cor ferito!
Mondo crudel, quanto sei tu fallace!
Di fior fai fronde, e poi di fronde stecchi,
E guai a quel che ti porge gli orecchi!

Omè, quanto è che sendo teco alquanto
Parlaimo dolcemente del Signore!

Omè, che il gaudio è presto volto in pianto!
Omè, chi senti mai simil dolore !

Omè, che di star ritta io non mi vanto!
Omè dolente, e'mi si fende il core!

Omė, riposo della vita mia,

Perchè non fui io teco in compagnia?

La FIGLIUOLA di Antigono detta EUFRASIA, come la madre, piangendo dice:

Padre diletto, chi pensava mai

Di perder cosi tosto un tal tesoro?
Omè, ch'io sono afflitta in tanti guai,
Che pel grave dolor piangendo moro!
O infelice Eufrasia, che farai?
Ripara, morte, a si crudel martoro!
Omė, gli affanni, padre mio, son tanti
Che pel dolore io mi consumo in pianti.

La MADRE dice alla figliuola:

Io vo'ch' al nostro imperadore andiamo
Acciò che sia del suo nipote certo.

Risponde la FIGLIUOLA:

Più presto altro cammin, madre, pigliamo:
Andiam per boschi in qualche stran diserto;
Quivi dolenti il padre mio piangiamo
Che per me tanti affanni ha già sofferto.

La MADRE partendosi dice:

Quel che piace al Signor, convien che sia.

Risponde la FIGLIUOLA:

Or su,

pigliam, come tu vuoi, la via.

La MADRE allo imperadore dice:

Crudel novella, o magno imperadore,
Oggi Eufrasia ti riporta e dice;
Il tuo caro nipote e mio signore
Per morte m'ha lasciata qua infelice:
A punto giunse sopra me il dolore
Quando io speravo di viver felice;
Però, dolce signor, tu sol sarai
Riposo e medicina a tanti guai.

Lo IMPERADORE turbato dice:

Questo è un caso che tanto mi spiace
Che par pel gran dolor mia vita passi.
() vita deʼmortal quanto è fallace!
Guai a chi servo del peccato fassi!
Tal crede al mondo di vivere in pace
E in brieve tempo gli vien meno e' passi!
Solo una cosa è che mi dà conforto

Ch'io so che santamente e' sarà morto.

EUFRASIA allo imperadore dice raccomandandogli la figliuola:
Di questo bel tesor che Dio n'ha dato
A te commetto la cura e 'l pensiero :
Signor gran tempo a tutti noi sei stato,
Or padre ci sarai supremo e vero.

Risponde lo IMPERADORE:

Fa' pur che il viver suo fia costumato,
Chè di farla felice al tutto spero.

Risponde la MADRE:

Io ti ringrazio, e non temer che io
La terrò sempre nel timor di Dio.

Partesi la MADRE e dice alla figliuola:

Figliuola mia, qual sei tutto il mio bene,
Riposo dolce della vita mia,

A me, sendo tua madre, s'appartiene
Mostrarti el fin della diritta via:
Ogni mortal bellezza passa o viene,

E prima è secco il fior che in terra sia,

E, per far d'ogni cosa una sustanza,
L'onesta donna ogni bellezza avanza.

CAMILLO pretore manda una lettera allo imperadore chiedendogli per donna la figliuola d'Eufrasia, e dice ad

uno suo servo:

Vien qua, Valerio mio, va' con presteza:
Questa allo imperio nostro porterai:
E perchè la virtù pigrizia spreza,
Presto con la risposta tornerai.

Risponde il SERVO :

Sempre mi fu servirti gran dolceza;
Per me contento, signor mio, sarai.

Il SERVO dà la lettera allo imperadore:

Camillo questa, o imperador, ti manda,
E a tua maiestà si raccomanda.

Letta la lettera lo IMPERADORE dice:

Di' a Camillo ch'i' son preparato
In questo contentar sue giuste voglie;
Perchè gli è tanto il parentado grato
Quanto è più degno quel che prende moglie.

Risponde il SERVO :

Sempre si disse, e è parlar vulgato,
Che di buon arbor buon pomi si coglie:
Però grazie immortal lo ingegno e 'l core
Ti rende, qual buon servo al suo signore.

Torna il SERVO e dice a Camillo:

Sappi come lo imperio è ben disposto
A seguitar quanto tua voglia brama,
E hammi dato la risposta tosto,
E per parente suo ti tiene e chiama.

CAMILLO allegro dice:

Felice a me! se allo imperio m'accosto
E'non mi può mancar tesoro e fama.
Ricchezze, nobiltà, parenti e stato
Fanno l'uomo nel mondo esser beato.

LO IMPERADORE ad uno suo servo dice:

Presto su, Manfredonio, muovi e' passi,
E Eufrasia con prestezza truova:

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