Questo a te figlio, al mio figliol compagno, Morte gli ha dato, e me morte nutrisce. Il perder mio non gli sarà guadagno Chè tanto vo' quanto ragion patisce: Quïeta el mio dolor col suo tormento, E fa contento te per mio contento.
LO IMPERADORE alla vedova dice:
Lassami andar; quand' io sarò tornato Del suo delitto giustizia farassi.
La VEDOVA all' imperadore dice:
Fallo or, signor, chè tu se' obligato: Io non son certa se vivo tornassi.
LO IMPERADORE risponde:
S'io morrò, l'altro che terrà lo stato Farebbe quanto la ragion portassi.
Se lui il facessi, e' non sare' Traiano.
Tu di' 'l ver; or sù, indrieto torniano.
Mentre che torna in sedia, la VEDOVA posa il figliuolo e dice: Questa è la morte di mia morte ria,
Questo è l' angor della madre che langue, Questa è la carne de la carne mia,
E questo è il sangue del mio caro sangue; Dianzi ero madre, or non so quel che sia.
E volgesi al figliol de l'imperadore e dice:
O pestifer, crudel, mortifer angue, Tu tolto m'hai quel ben che dar non puoi: O imperador, fa' giustizia fra noi.
LO IMPERADORE al figliuol dice:
Dimmi, figliuol, come passò la cosa E donde derivò vostra questione? Vedi costei quanto ella è dolorosa, E io son posto qui per far ragione.
El FIGLIUOLO dolendosi dice:
Fortuna che i viventi mai non posa, È stata del mal far prima cagione: Non ira o sdegno, ma destino o sorte Causa fu che a costui diedi la morte.
Ho combattuto, e altri combattendo La forza fu da la forza constretta:
In qua in là con un caval correndo Condussi al fin che la mia fin aspetta. La ragion mi difende, io la difendo: Costei ch' innanzi a te grida vendetta Fagli, padre, giustizia, se tu sai: Che sia contenta: e me lieto farai.
L'IMPERATORE da se medesimo dice:
Ragion mi muove e la pietà mi mena, L'amor mi sforza e giustizia mi strigne, L'onor m'incita e crudeltà då pena: Cosi l' un mi ritien, l' altro mi spigne; Costei mi sprona, e costui mi raffrena, Et è come carbon che cuoce o tigne : Segua che vuol, ch'ogni cosa m'è doglia, E non so giudicar quel ch' io mi voglia. Un BARONE conforta l'imperatore a far giustizia: Segua l'uom ne la sedia de la mente E di sè facci a sè drento ragione: La conscienza accusi e sia presente, E la memoria a sè sia testimone. Paura triemi, e ragion virilmente Sentenzi, e a lor metta esecuzione; Se bene giudicassimo da noi,
A giudicar gli Dei non ci arien poi.
LO IMPERATORE al figliuol dice:
Gli è meglio offender sè che Giove offendere; Per questa morte a morir ti condanno.
La VEDOVA a l'imperatore dice:
Tu non mi puoi per questo il figliuol rendere, Nè col suo danno a me rifar il danno.
L'IMPERATORE a la vedova dice:
Bisogna adunque altro partito prendere, E dar a te quel che e' ciel dato m' hanno: Che 'l mio proprio figliuol tuo figlio sia; Cosi sentenzio, e tu con lei va' via.
El FIGLIUOLO lamentandosi dice:
Io ho la luce, e le tenebre veggio; E ho la vita senza vita al mondo; Io ho il mal presente, e temo il peggio; Io ero in alto, e son cascato in fondo; Io sperava tener lo imperio e il seggio, E viver lieto, contento e giocondo,
Nè pietà trovo in te, nè in lei perdono; Mi raccomando a te, padre mio buono.
Io fu' pur da te, padre, generato, Io ebbi pur da te l'afflitta vita: Tu m'ha con la tua robba nutricato; Conforto porgi a l' anima smarrita : Io t'accuso e confesso il mio peccato; El gran dolor a lacrimar m'incita. O cuor di pietra, o animo protervo, Vuo' tu far d' un signor, vassallo e servo ?
Tu cerchi la pietà trovar ne' tigri, Tu cerchi l'acqua nel seccato fiume, Tu domandi prestezza a❜lenti e pigri, E alla cieca notte el febeo lume. Prima e' raggi solari saran nigri E gli uccel voleran senza le piume,
Ch' io mi rimuti mai di quel ch'i' ho fatto: Tu se' del suo figliuol dato in baratto.
Un BARONE conforta el figliuolo e dice:
Quïeta il duol de la nascosa mente, Scaccia el dolor che ogni letizia fura; Spesso d'un male un ben venir si sente, Vivi lieto, sicur, senza paura. El piangevol principio, aspro e dolente Recherà dreto a sè miglior ventura; Chè 'l tempo varia ogni celeste cosa, E 'l male non sta sempre ove si posa.
La VEDOVA a l'imperatore dice:
Io vo' partir, e satisfatta resto Del giusto, santo e perfetto giudizio.
Lo IMPERADORE al figliuolo dice:
La ragion mi stringeva a farti questo O darti morte per tuo malefizio; Essi obbidiente, discreto e onesto, E reputa dal ciel tal benefizio. Vanne con lei.
E tu meco verrai, E quel poco ch'i' ho lo goderai.
El FIGLIUOLO ne va con lei, e per la via dolendosi dice: La fortuna non fa mai sommi mali
Se non di sommi beni e sommi gaudi. Quanto più in alto per potenza sali, De' miseri le prece e' prieghi esaudi. In dubbio è questa vita de' mortali, Chè gli stati terren non stanno saldi. Cosi si parte e fugge il male e 'l bene, Come l'onda del mar che va e viene.
Suol morte de' morenti aver conforto E porger al morir mortal aiuto, E rallegrarsi poi che alcun è morto, Chè l' ha per forza di vita abbattuto. Or, per farmi fortuna e lei più torto, Morte del corpo mio fa tal rifiuto, Benchè la morte mi potrebbe dire : Colui è morto che non può morire.
El figliuolo ne va con la vedova a casa, e in questo lo IMPE- RATORE da sè dice:
Da poi che me contro a me i' giudicai Altri per altri giudicar intendo, E pagherò di quel che me pagai: Ad altri renderò quel che a me rendo, Osservando giustizia sempre mai: Però me stesso con ragion riprendo Ch' Ignazio qualche giorno è soprastato A aver la punizion del suo peccato.
Ora si volge al cavaliere, e dice:
Va' presto, cavalier, menalo a me, Ch'io intendo a nostri Dei farlo soggetto; O e' lasserà la sua bugiarda fè, O io peggio farò ch' io non ho detto.
Tosto sarò con lui tornato a te, E spianerogli tutto il tuo concetto: E se non vorrà far quel che tu vuoi, Comanda pur, e lassa far a noi.
El CAVALIERE va dove son e'birri, e trovandogli a giocare dice: Può far il ciel che da mattina a sera
Voi stiate al giuoco fermamente saldi!
Chi vince a frussi e chi perde a primiera,
E passiam tempo e 'l di per questi caldi.
Levate suso, o gente di scarriera, 1 Voi siete una caterva di ribaldi.
Stu vuoi riposo, e noi vogliam riposo:
El tristo dice mal al doloroso. 2
El CAVALIERE dice a' birri andando a la prigione: O voi vi muterete di pensiero,
O io mi muterò d'oppinïone.
Su presto, andianne; s'io v'ò a dir il vero Voi siete tutti gente da bastone.
Ogni di mille volte mi dispero :
Traete Ignazio qua fuor di prigione.
El CAVALIERE dice ad Ignazio tratto fuor di prigione: Veggiam se i tuo demon t'aiuteranno;
E quel che cerca il mal si s' abbi il danno.
Mentre che lo menano, Santo IGNAZIO al cielo dice: Tiemmi, dolce Giesù, le mani a dosso,
Chè questi ultimi di della mia vita
Non sia da la tua fè, Signor, rimosso, E in te finisca, o bontà infinita.
Giunti a corte, il CAVALIERE a l'imperatore dice: Eccoti Ignazio, e 'nducer non lo posso,
Chè la sua volontà è stabilita,
A far per Cristo ciò che Cristo vuole, E invano spenderai le tue parole.
LO IMPERATORE a Santo Ignazio dice:
Io t'ho promesso dar tesoro e stato E sollevarti in ciel sopra ogni polo; Tu se' da tutto 'l popol uccellato Come la bubba, el guffo o l'assïuolo.
Iddio per crucifiggere il peccato, Si fece crucifigger il figliuolo;
1 Ha altri esempi del Firenzuola, Varchi ec. e vale gente di mal affare, vagabondi.
Modo proverbiale non registrato dal Serdonati nè dal Giusti, e che sembra voler significare: tra te e noi non ci è molta differenza, come non ve ne ha fra il tristo e il doloroso. E nell'uso un motto equivalente: Cencio dice mal di straccio.
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