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operosi e dotti editori, il signor PAUL MEYER, inseriva nella Bibliothèque de l'école des chartes, XXVII année, tome II, VI serie, pag. 513 e segg. un curioso frammento in antico francese, che deriva non dal latino ma dal testo greco, ed è contenuto sui margini di un manoscritto del monte Athos. (Fragments d'une ancienne traduction française de B. et J. faite sur le texte grec au commencement du XIII® s.)

In Italia la leggenda di Barlaam e Josafat ebbe tutte le forme proprie dell' arte popolare. Dopo ricordate le due Rappresentazioni antiche, aggiungeremo che sotto la forma rusticana di Maggio, la leggenda è tuttavia nota nel contado toscano, e in specie in quel di Pisa, ove si rappresenta e si stampa ad uso del popolo. Ho infatti dinnanzi a me il Maggio di S. Giosaffat, Volterra, tip. Sborgi, 1867 di pag. 48, in-24°, che comincia col discorso del Re Avvenerio :

Festeggiamo, o miei baroni,
Che alla fine ottenni un figlio
Bello e candido qual giglio

Dalli Dei benigni e buoni, ec.

Delle narrazioni in prosa, tre sono le versioni a stampa. Una ė quella ricordata dal GAMBA (Testi di lingua, no 933 in nota) in-4o, senza alcuna data, ma del secolo XV, che conservasi nella Trivulziana. L'altra è quella messa a luce in Roma da Mons. BOTTARI nel 1734 coi tipi del Salvioni, in-4o, e ristampata pur in Roma dal Mordacchini nel 1816, in-8o. La terza si trova a pag. 124 del volume Rime e prose del buon secolo della lingua, tratte da'Mss. e in parte inedite (edit. TEL. BINI) Lucca, Giusti, 1852. Innumerevoli però sono i codici che, con maggiori o minori differenze, contengono questa leggenda. Il GAMBA ci fa sapere che un codice di maravigliosa bellezza, scritto per uso di Bona moglie di Galeazzo Sforza e ricco di eleganti miniature si trova nella Biblioteca di Brera a Milano. Parecchi codici ne sono indicati dal LAMI, Cat. Riccard., pag. 376 e 377. I signori MEYER e ZOTENBERG hanno pubblicato e messo a confronto brani tratti da tre diversi codici delle Biblioteche parigine. Il MORELLI nel Catal. Farsetti, I, 240, 291, 294, ricorda tre codici, tutti e tre differenti dai testi stampati: ed altri ancora se ne trovano fra i codici canoniciani di Oxford (MORTARA. Catalogo, col. 141. 199, 210, 215, 249). Uno già appartenuto al Manni, e anch'esso di lezione diversa dallo stampato, si conserva a Firenze nella privata Biblioteca Frullani.

Continua tuttavia a stamparsi ad uso del popolo una leggenda che forse, d'età in età e di edizione in edizione, risale a quella del XV secolo, notata dal GAMBA. Ne ho sott' occhio una stampa di Firenze, 1827, nella stamperia Formigli, di pag. 48, in-16° con figure. Porta per titolo: Vita di S. Giosafat convertito da Barlaam, nuovamente corretta, ristampata e di

figure adornata; titolo che concorda abbastanza con quello dell' edizione di Messina, 1678, ricordata dal BRUNET: Vita di S. Giosafat convertito dal Barlaam, non che con una edizione ricordata dal QUADRIO (IV, 378) Venezia, Bindoni, 1539, in-8°: La Vita di S. Giosafat convertito per Barlaam, e con altra di Firenze, Pagolini, 1582: Vita del glorioso S, Giosafat convertito da Barlaam. La redazione popolare parrebbe dunque accordare ne titolo il primo luogo a Giosafat. E mi sembra dover errare certamente il BRUNET quando, dopo citata l'edizione messinese, soggiunge: Probablement ce livre n'est qu'une réimpression du poëme intitulé: Della Vita di S. Giosafat convertito da S. Barlaam eremita, canti V, composti per D. ATTILIO OPEZZINGHI cavaliere palermitano. Palermo, G. F. Carrara, 1584.

Questo poema del cavaliere palermitano non sembra scendesse mai fra il popolo, al quale però non fece difetto la prediletta forma di leggenda in ottava rima. Il MORTARA a col. 71 del suo prezioso Catalogo oxfordiano, ricorda una Leggenda di Sancto Giosafa figliuolo del Re Avenire dindia, che comincia: Tre persone e sancta trinitade, in fondo alla quale si legge: Questa legienda compose Neri di Landoccio Palgliaresi da Siena, ec. È noto come questo Pagliaresi fu amico e discepolo e segretario di Santa Caterina. Molto probabilmente altri codici di questa leggenda rimata del Pagliares i si troveranno nelle Biblioteche toscane e romane: ma la mancanza di cataloghi a stampa non ci permette di indicare che il solo codice bodleiano.

VOL. II.

13

FONTI DEL BARLAMO E GIOSAFATTE

MEMORIA

DI FELICE LIEBRECHT.

VERSIONE DI E. T.

Fra i libri popolari che, e nel medio evo e più giù, si diffusero per tutta Europa, de' quali nessuno che ami le lettere ignora o l'argomento o il nome, c'è ancora un romanzo spirituale che volgarmente si attribuisce a san Giovanni Damasceno, il Barlamo e Giosafatte. Che fosse proprio suo lo sostennero e lo negarono non pochi; nè io voglio ritoccare quel dubbio rimandando, anche per le altre notizie letterarie, ad altri libri; al Grässe (Lehrbuch einer allgemeinen Literatur-Geschichte, vol. II, parte III, pag. 460), al Dunlop (Geschichte der Prosadichtungen, 1851, pag. 461. nota 68) e al discorso preposto alla mia traduzione di quel racconto (vedi Dunlop, op. cit., nota 69)2 da Rodolfo von Beckedorff. Tratterò invece di un'altra questione, nella quale variano altrettanto i giudicii, se il romanzo abbia una base storica, o no. Lo affermo da ultimo il Beckedorff; benchè agli occhi della critica poco valga il suo principale argomento; che cioè i due santi sono nel martirologio romano (27 novembre), il quale ne racconta essenzialmente le cose stesse del nostro libro. Ad ogni modo e questo autore e gli altri che ne divisero, o ne dividono, le opinioni, colsero la verità: bensi in altro senso da quello che immaginavano; e lo vedremo. Il principe indiano, che abdicato al regno paterno, si mutò in severo anacoreta, poi in apostolo, come ci narra Giovanni Damasceno, o altro cristiano di Oriente, non Giosafatte, figliuolo di Abennero, persone non vissute mai, ma è Siddhârtha, figliuolo di Çuddhodana, re di Kapilavastu, che poi

1 [Come tutti sanno, traduttore in tedesco del Dunlop è il Liebrecht, il quale arricchi il libro di molte note.]

2 [Des heiligen lohannes Damascenus Barlaam und Josaphat. Aus dem griechischen übersetzt von F. Liebrecht. Münster, 1847.]

3 [Anche Sarvárthasiddha.]

col nome del Buddha (il ridesto, il savio) fondò il buddianesimo, e mori a ottant'anni nel 545 av. C.

Prima di dare le prove di questa tesi debbo notare che io mi richiamo alla mia versione del Barlamo e Giosafatte (1847) da una parte; e dall'altra, per la vita del Buddha, ad una recente opera di Barthélemy Saint-Hilaire (Le Bouddha et sa religion, Paris, 1860); nella quale egli raccolse le cose dette da lui per lo innanzi nel Journal des savants, profittando delle ultime ricerche sul buddianesimo e sul suo fondatore di Prinsep, Turnour, Lassen, Burnouf, Weber e M. Müller. Cito quel libro che ognuno può facilmente procurarsi: e non avrò a ricorrere alle fonti che giovarono al lavoro, tra le quali, la più grave per lo scopo propostomi è certo la biografia del Buddha, scritta nell'anno 76 e. v. (cf. trad. del Foucaux, pag. 17), che è piena di tanti miracoli, il Lalita vistára. 1

2

Ma veniamo all'argomento. Così il Giosafatte della legenda, come il Buddha della storia sono dunque due principi indiani. Bello era il Buddha come Mâyâ Devi (St. H., pag. 5) sua madre: della quale sappiamo che « sa » beauté était tellement extraordinaire qu'on lui avait donné ce surnom de » Mâyâ, ou l'Illusion, parce que son corps, ainsi que le dit le Lalita» vistâra, semblait être le produit d'une illusion ravissante.» (St. H., pag. 4.) Nel figliuolo poi, nato appena, riconobbero i brammani i segni che, secondo le popolari credenze degli indiani, annunziavano un uomo illustre (St. H., pag. 5), che commuterebbe la corona coll'ascetismo, e scaccerebbe il demonio e le sue turbe. Les principaux vieillards des › Câkyas se souvenaient de la prédiction des Brahmanes qui avaient annoncé » que Siddhartha pourrait bien renoncer à la couronne pour se faire > ascète (St. H., pag. 6); e altrove 3 dice il neonato (pag. 57): « je vain» crai le démon et l'armée du démon. En faveur des êtres plongés dans les » enfers et dévorés par le feu de l'enfer, je verserai la pluie du grand

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1 [Histoire du Bouddha Sakya Mouni traduite du tibétain par Ph. Éd. Foucaux. Paris, 1860. C'è anche il testo, ed ha per titolo Rgya teh'er rol pa: ed è una versione dell'opera indiana che possiamo chiamare I giuochi in disteso, cioè il Lalita vistara. (Dicesi vistara e vistâra.) Qua e là cito de' luoghi tolti all'originale sanscrito pubblicato a Calcutta nella Biblioteca indica da Rajendralâl Mittra: The Lalita-vistara or memoirs of the life and doctrines of Śákya Sinha. Calcutta, 1853-1858. Non ne uscirono che cinque fascicoli che ci portano quasi alla fine del capo XXIII: e tutta l'opera ne debbe avere vensette. L'editore voleva darcene una traduzione inglese; ma s'arrestò al capo secondo.

Naturale è che il tibetano non risponda sempre del tutto alla lezione prescelta dall' editore di Calcutta: e il Saint-Hilaire racconcia e abbrevia le parole del traduttore francese. Per non rimutare dunque un po' troppo la Memoria del Liebrecht non ho voluto ricondurre le sue citazioni alla fonte primitiva.]

2 [Màyânirmitamiva vimbam Mâyâ-nâmasankathitâ. L. Vis., III, pag. 29.1 3 [L. Vis., cap. VII, pag. 97; Fouc., pag. 891.

nuage de la Loi, et ils seront remplis de joie et de bien-être. Lo stesso leggiamo di Giosa fatte: trovandosi il re in tale orribile errore ed inganno, gli nacque un bambinetto, oltremodo gentile nell'aspetto, che ⚫ colla fiorente bellezza annunziava il suo avvenire; dicevasi infatti che in ⚫ nessun tempo, in nessun luogo di quella terra, non era mai nato fan⚫ ciullo così avvenente, così grazioso. » (B. und J., pag. 14) [testo, pag. 18].1 Il capo degli astrologi poi ne predice: « come i corsi delle stelle mi inse»gnano, o re, questo figlio che ti nasce non progredirà nel tuo regno, quanto in altro migliore e incomparabilmente più alto. E ancora io credo che si rivolgerà alla religione de' cristiani da te perseguitata. » nè penso che egli fallisca al segno ed alle sue speranze. » (Pag. 15) [testo. pag. 19].

In ambidue i giovinetti crescevano maravigliosamente le virtù del corpo e dell'ingegno: (St. H,, pag. 8; B. und J., pag. 24) [testo, pag. 29] e dalla prima età si diedero alla contemplazione. Leggiamo del Buddha che < au milieu des compagnons de son âge, l'enfant ne prenait point part à leurs jeux: il semblait dès lors nourrir les pensées les plus hautes; sou■ vent il se retirait à l'écart pour méditer » (pag. 6): e di Giosafatte: « la salutare parola gli toccò il cuore e la grazia dello Spirito Santo cominciò » ad aprire i suoi occhi intellettuali, e a condurlo al verace Iddio.» (Pag. 26) [lesto, pag. 50].

Ma il padre di Siddhartha ha paura di codeste inclinazioni del figlio; che, adempiendo le profezie, e lasciando il trono, non piegasse all'ascetismo. Gli fabbrica de' palazzi, lo fa severamente custodire.. Cependant » le roi Çuddhodana devinait les projets qui agitaient le cœur de son fils. » Il redoubla de caresses et de soins pour lui. Il lui fit faire trois palais ⚫ nouveaux, un pour le printemps, un pour l'été et un autre pour l'hiver: » et craignant que le jeune prince ne profitât de ses excursions pour

échapper à sa famille, il donna les ordres les plus sévères et les plus » secrèts pour qu'on surveillât toutes ses démarches. › (Pag. 12.) Cosi pure di Abennero: edificò in una città posta in disparte un bel palazzo. ⚫e splendide stanze, e ci fece abitare il figliuolo appena compiuta la età » prima. Ordinò ancora che nessuno ci avesse l'entrata : gli diede maestri e servi, leggiadri dell'aspetto e giovani d'età, a'quali impose che non gli mostrassero i mali della vita; non morte, nè vecchiaia, nè malattia, » nè povertà, nè altri guai che gli togliessero la serenità; ma solo cose di

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1 [Non ho sotto gli occhi la versione tedesca. Mi feci naturalmente dall'originale pubblicato dal Boissonnade in Anecdota græca, Parisiis, 1832. Eccone il titolo (volume IV, pag. 1-365) Historia psychophelês ek tês endoteras tốn Aithiopón choras, tês Indón legomenês, pros tên hagian polin metenechtheisa dia Iohannoy Monachoy, andros timioy kai enaretoy monês toy hagioy Saba: en héi ho bios Barlaam kai Iôasaph tốn aoidimón kai makarión.]

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