Imágenes de página
PDF
ePub

7 Tanto è amara che poco è più morte:

10

13

16

19

Ma, per trattar del ben ch' i' vi trovai
Dirò dell' altre cose ch' io v' ho scorte.
I' non sò ben ridir com' io v' entrai,

Tanto era pien di sonno in su quel punto
Che la verace via abbandonai.

Ma poi ch' io fui al piè d' un colle giunto,
Là ove terminava quella valle

Che m' avea di paura il cor compunto:
Guardai in alto, e vidi le sue spalle
Vestite già de' raggi del pianeta
Che mena dritto altrui per ogni calle.
Allor fu la paura un poco queta

Che nel lago del cor m' era durata
La notte ch' io passai con tanta piéta.

7. TANTO È AMARA, Quanto è cosa dura a dirsi, tanto è cosa amara a provarsi. È il Virgiliano: Infandum, regina, iubes renovare dolorem. Infandum, cosa dura a dirsi: dolorem, cosa amara. L. C. Ferrucci. Altri riferiscono il tanto è amara alla selva, cioè: questa selva è tanto amara. senso è per altro lo stesso.

Il

8. DEL BEN, di Virgilio conduttore, e dell' uscita dalla selva del vizio. 9. DELL' ALTRE COSE, del colle, delle tre fiere, de' suoi sforzi onde salire al monte e del suo rovinare in basso loco.

10. I' NON SO BEN RIDIR, chi cammina nelle tenebre non sa dove si vada. S. Giov. XII, 35. Lo sa ben ridire Beatrice; Purg. XXX, 115-145.

11. PIEN DI SONNO, cioè del sonno del peccato e dell' intenebramento dell' intelletto. Perciocchè egli è ora che noi ci risvegliamo omai dal sonno; conciossiacosachè la salute sia ora più presso di noi, che quando credemmo. Ep. a' Romani XIII, 11. IN SU QUEL PUNTO, alcun tempo dopo la morte di Beatrice, Vedi Purg. XXX, 124 segg.

12. LA VERACE VIA, la via della fede e della virtù. Gesù gli disse: Io son la via, la verità e la vita». S. Giov. XIV, 7.

13. COLLE: il colle è l'opposto della selva, o valle; se la selva è il simbolo della vita infedele e viziosa, il colle sarà, adunque il simbolo della vita fedele e virtuosa.

14. LÀ OVE TERMINAVA: il termine della vita viziosa è là, ove principia la vita pura e virtuosa.

15. COMPUNTO: stretto, angustiato, agghiacciato di paura.

16. GUARDAI: io alzo gli occhi a' monti, onde mi viene aiuto, Psal. CXXI, 1. LE SUE, cioè del colle.

17. PIANETA: il sole che nel sistema tolemaico era un pianeta. Dio è lo sole spirituale e intelligibile, CONV. III, 12. Io son la luce del mondo; chi mi seguita non camminerà nelle tenebre, anzi avrà la luce della vita. S. Giov. VIII, 12. Nel Paradiso (XXV, 54.) Dante chiama Dio il sol che raggia tutto nostro stuolo.

18. CHE MENA DRITTO, vedi il passo di S. Giovanni citato nella nota

antecedente.

20. LAGO DEL COR: «Così chiama anche in una Canzone quella cavità del cuore che è ricettacolo del sangue, e che lo Harvey chiama sanguinis promptuarium et cisterna. Il Boccaccio dice che in questa cavità abitano gli spiriti vitali, e di lì viene il sangue ed il calore che per tutto il corpo si spande.» Tom.

21. LA NOTTE è qui, come sovente nella Sacra Scrittura, simbolo della ignoranza, dell' errore, della sicurezza carnale e del peccato. PIETA, angoscia o dolore che eccita pietà.

22

25

E come quei che, con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge all' acqua perigliosa', e guata:
Così l'animo mio, che ancor fuggiva,
Si volse indietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.
28 Poi ch' èi posato un poco il corpo lasso,
Ripresi via per la piaggia diserta,

31

Si che il piè fermo sempre era il più basso;
Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta.

34 E non mi si partía dinanzi al volto;

22. LENA AFFANNATA, respirazione affannosa, affrettata dall' angoscia. 23. USCITO FUOR DEL PELAGO, scampato dalla tempesta. PELAGO è il profondo del mare o l'alto mare.

24. GUATA, guarda con istupore. Cfr. Inf. VI, 6.

25. FUGGIVA, era ancor sempre spaventato, ovvero cercava di allontanare da sè quelle triste immagini.

26. LO PASSO: la selva oscura.

27. CHE NON LASCIò, il quale passo, cioè la selva de' vizi, non lasciò passare da sè persona viva. Non intendesi per altro della vita corporale, ma della spirituale. Imperciocchè ciò che la carne pensa ed ha l'animo è morte; ma ciò che lo Spirito pensa ed ha l'animo è vita. Rom. VIII, 6. Vivere, nell' uomo, è usare ragione. CONV. IV, 7. A chi abbandona la selva puossi applicare la parola del Vangelo: Questi era morto, ed è tornato a vita, era perduto ed è stato ritrovato. Luc. XV, 32.

28. POI CH' EI= dopo che ebbi. Al. Poi ch'ebbi riposato il corpo lasso. Ei (da ere, per avere) è ovvio nelle scritture degli antichi.

29. PIAGGIA DISERTA, salita, o erta del monte, cioè la via che conduce alla vita virtuosa. Questa piaggia è diserta, dacchè tutti son diviati, tutti quanti son divenuti da nulla; non vi è alcuno che faccia bene, neppur uno. Rom. III, 12.

30. BASSO; D'uomo che sale, il piè che muove è sempre più alto fuor che nel primo atto del muovere. Qui significa che, venendo da male a bene, il desiderio si posa troppo sulla memoria del passato. Tom.

31. ERTA, sustantivo, luogo per lo quale si ascende; salita ardua ed angusta. Angusta è la via che mena alla vita, Matt. VII, 14.

32. LONZA; imitazione di Geremia V, 6: Perciò il leone della selva li ha percossi, il lupo del vespro li ha deserti, il pardo sta in guato presso alle lor città. La lonza è adunque il pardo. Potrebbe il pardo mutar le sue macchie? Gerem. XIII, 23. E i suoi cavalli saranno più leggieri che pardi, Abacuc 1, 8. Io gli ho spiati in su la strada a guisa di pardo, Osea XIII, 7. La lonza è quì il simbolo della concupiscenza della carne, ossia della lussuria; prova ne è il passo dell' Inf. XVI, 106-108. Vedi la nota a questo luogo. Così quasi tutti gli antichi ed un infinito numero di commentatori più recenti. Alcuni moderni sognarono invece la lonza esser simbolo di Firenze, divisa in Bianchi ed in Neri. Chi ne vuol sapere di più confronti nei prolegomeni il capitolo sul concetto della Divina Commedia. 32. 33. LEGGIERA ecc. Della lussuria Bono Giamboni (Giard. di consol. c. 8): Di questo vizio nasce cechità di mente, poca fermezza (= leggiera), subitezza (e presta molto). La lussuria macchia l'anima, e il corpo isconcia, (= di pel maculato era coperta), la borsa vuota, toglie Iddio, offende il prossimo e l'anima trae all' inferno (impediva tanto il mio cammino, Che io fui per ritornar più volte vôlto). Del lussurioso Prov. VII, 22: Egli andò dietro a lei subitamente.... come l'uccello si affretta al laccio (= leggiera epresta molto).

Anzi impediva tanto il mio cammino,
Che io fui per ritornar più volte vôlto.
37 Tempo era dal principio del mattino;

E il sol montava sù con quelle stelle
Ch' eran con lui, quando l' amor divino
40 Mosse da prima quelle cose belle;

Si che a bene sperar mi era cagione
Di quella fera alla gajetta pelle,
43 L'ora del tempo e la dolce stagione:
Ma non sì, che paura non mi desse
La vista che mi apparve d'un leone.
46 Questi parea che contra me venesse

Con la test' alta e con rabbiosa fame,
Si che parea che l'aer ne temesse:
49 Ed una lupa, che di tutte brame

36. Intendi: tanto che mi voltai reiterate volte per tornare indietro, cioè per ricadere nella pristina vita viziosa. - Io mi trovo adunque sotto questa legge, che, volendo fare il bene, il male è appo me. Rom. VII, 21.

37. TEMPO ERA; Definizione del tempo in cui principia il viaggio per le regioni della eternità. Secondo una antica tradizione, alla quale Dante si attiene, il mondo fu creato in primavera, quando il sole dimora in Ariete. Lo stesso giorno, cioè il 25 di Marzo, credesi esser quello dell' annunziazione, ovvero incarnazione del Cristo, nonchè il giorno della sua morte.

40. MossE, creò, poichè, secondo Platone e san Tomaso, creazione è moto. COSE BELLE, celesti; il sole, la luna, i pianeti e le stelle.

41-43. La costruzione è questa: Si che l'ora del tempo (il mattino) e la dolce stagione (la primavera) mi erano cagione a sperar bene di quella fiera alla (colla) gajetta pelle. Dante sperava cioè di vincere la fiera, come egli stesso cel dice, Inf. XVI, 107:

pensai alcuna volta

Prender la lonza alla pelle dipinta.

Vuol dire che essendo l'anno del giubileo, in cui uno spirito di devozione si era diffuso per tutta la cristianità, essendo per soprappiù il 25 Marzo, giorno della incarnazione e della morte del Redentore, egli sperava che ciò gli desse forze bastanti, onde vincere le concupiscenze della carne. Altri legge:

Di quella fera la gajetta pelle

e spiega la gajetta pelle, l'ora del tempo e la dolce stagione mi davano cagione a bene sperare. Ma qual mai speranza egli poteva attignere dalla pelle a più macchie di quella lonza, io non sono proprio capace di intenderlo.

45. LEONE; simbolo dell' orgoglio, ossia della superbia della vita. Secondo alcuni sognatori moderni simbolo della casa reale di Francia. 46. VENESSE; dall' antiquato venère per venire venisse.

CON RABBIOSA FAME:

47. CON LA TEST ALTA; dinota l'orgoglio. Superbia èe volontade di disordinata altezza. S. Anselmo, Virid. Consol. esternando la crucciosa brama di onori e di maggioranza, che inquieta e tormenta tutto di gli orgogliosi.

49. LUPA; simbolo della avarizia, o concupiscenza degli occhi. Nel Purg. XX, 10. Dante chiama l'avarizia antica lupa. Le tre fiere sono adunque simboli delle tre principali classi di peccati, de' quali S. Giovanni nella sua prima epistola (II, 16) dice: Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, e la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo. I moderni commentatori, o forse meglio sognatori, i quali vogliono spogliare il poema sacro della sua veste

Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fe' già viver grame.
52 Questa mi porse tanto di gravezza

Con la paura che uscía di sua vista
Ch' io perdei la speranza dell' altezza.
55 E quale è quei che volentieri acquista,

58

E giugne il tempo che perder lo face,
Che in tutti i suoi pensier piange e s'attrista:
Tal mi fece la bestia senza pace,

Che, venendomi incontro, a poco a poco
Mi ripingeva là dove il sol tace.

61 Mentre ch' io rovinava in basso loco,
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parea fioco.

religiosa ed addobbarlo di veste politica, videro nella lupa rappresentata la Corte o Curia romana. Ma come mai Dante poteva dire, che invidia prima abbia dipartita la Curia romana dall' Inferno, e che il Veltro caccerà la Curia romana di nuovo nell' Inferno, sel comprenda chi può; iọ per me non l' intendo.

50. SEMBIAVA, sembrava. Il più bel commento a questa terzina sono le parole di S. Paolo, I Tim. VI, 8. 9: Coloro che vogliono arricchire caggiono in tentazione, ed in laccio, ed in molte concupiscenze insensate e nocive, le quali affondano gli uomini in distruzione e perdizione. Perciocchè la radice di tutti i mali è l'avarizia; alla quale alcuni datisi, si sono smarriti dalla fede, e si son fitti in molte doglie.

51. GRAME: dolenti, angosciose.

52. MI PORSE TANTO DI GRAVEZZA, mi turbò si fortemente.

53. CON LA PAURA, col suo terribile aspetto, atto ad infondere spa

vento.

54. CH' IO PERDEI, che io non sperava più di pervenire alla sommità del colle.

[blocks in formation]
[ocr errors]

58. SENZA PACE; Non vi è niuna pace per gli empi, Isaia LVII, 21. Le opere della carne sono inimicizie, contese, gelosie, ire, risse, dissenMa il frutto dello Spirito è carità, allegrezza, pace.

sioni, sette;

Gal. V, 19-22.

60. LA DOVE IL SOL TACE, nella selva oscura.

Ciò che il poeta ha descritto sin qui avvenne e si compiè secondo la finzione poetica in poche ore. In verità egli ne descrive nondimeno la sua vita interna dal 1300 sino alla sua decisiva conversione dopo la morte di Enrico VII. Come poeta aveva Dante il diritto di considerare il tempo cogli occhi di quel Dio, appo il quale un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno; II Pietr. III, 8. Sopra questo punto si confronti l'articolo sullo sviluppo intellettuale, morale e religioso di Dante nei prolegomeni.

61. ROVINAVA IN BASSO LOCO, retrocedeva verso la selva.

63. CHI, una persona la quale; PAREA FIOCO, fiacco, lasso, indebolito in modo da non poter parlare del tutto, oppure con voce si tenue da potersi appena udire. Tale gli sembrava l'ombra, perchè invece di volare al suo soccorso, come egli sperava a prima vista, essa osservava un lungo silenzio. La voce della ragione illuminata, rappresentata da Virgilio, è o sembra al primo svegliarsi del peccatore assai bassa e sommessa, così che egli appena ne intende alcuni indistinti accenti; essa diventa poi più alta e distinta mano mano che l'uomo va risvegliandosi dal peccami

noso suo sonno.

64 Quando vidi costui nel gran diserto:
«Miserere di me!» gridai a lui,

«Qual che tu sia, od ombra od uomo certo.>>
67 Risposemi: «Non uomo; uomo già fui
E li parenti miei furon lombardi

E mantovani per patria ambidui.

70 Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi
E vissi a Roma sotto il buono Augusto,
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi.

73 Poeta fui, e cantai di quel giusto

Figliuol d' Anchise, che venne da Troja

64. NEL GRAN DISERTO; Egli lo trovò in una terra di deserto, e in un luogo desolato d'urli di solitudine; egli l' ha menato attorno, egli l'ha ammaestrato. Deuter. XXXII, 19.

65. MISERERE DI ME, abbi pietà di me.

66. QUAL CHE TU SIA, qualunque tu ti sia, o fantasma (ombra), ovvero un uomo reale, in corpo ed anima.

67. NON UOMO, non sono più uomo di corpo e spirito, tale sono però stato.

68. PARENTI, genitori.

69. MANTOVANI: propriamente Virgilio nacque in Andes, oggi Pietola, villaggio poco distante da Mantova.

70. NACQUI SUB JULIO: Giulio Cesare era nato l'anno 99 a. Ch. n. Virgilio nacque 29 anni più tardi, cioè nel 70 a. Ch. n. «La difficoltà di questo passo stà in ciò, che Virgilio dice esser nato sotto Giulio Cesare, mentre egli nacque sotto il consolato di Cn. Pompeo e di Crasso, allorchè Cesare era nelle Gallie. Ma nel medio evo solevasi considerare Giulio Cesare quale primo imperatore di Roma, nel senso dell' Impero venuto più tardi; onde il poeta molto bene poteva fare che Virgilio dicesse d'essere nato sotto Cesare, ancorchè tardi per poter dire d'esser vissuto sotto di lui; poichè molto più ei visse sotto Augusto, chè alla morte di Cesare non aveva che 25 anni.» Blanc. «Diremo adunque, nacqui sub Julio, cioè al tempo della vita di Giulio Cesare, ancorchè fosse tardi la mia natività per rispetto di Cesare, perocchè non me gli potei dare a conoscere in vita sua, non essendo ancora io in età, nè in buona sufficienza. E questo dice Virgilio, dolendosi di quella tardità, perocchè Cesare molto onorava li valent' uomini.» Bargigi.

71. IL BUONO AUGUSTO: notisi che è Virgilio che parla, nella di cui bocca non fà meraviglia l'epitéto di buono dato ad Augusto. Dante stesso non lo avrebbe forse chiamato buono.

72. FALSI E BUGIARDI: le sue statue di getto sono una falsità, nità, lavoro d'inganni. Gerem. X, 14. 15.

son va

73. GIUSTO, Enea, figlio di Anchise, il principale eroe della Eneide di Virgilio il quale dice di lui (En. 1, 544 sg.):

Rex erat Aeneas nobis, quo justior alter

Nec pietate fuit, nec bello major et armis.

Da un triplice motivo sembra esser Dante stato indotto a scegliersi appunto Virgilio per sua guida per le regioni dello Inferno e del Purgatorio; il primo motivo cel dice egli stesso nei versi seguenti: Virgilio fù il maestro di Dante in fatto di lingua ed il poeta che egli si propose come modello; il secondo lo accenna nel Canto XXII, 66 sgg. del Purgatorio: il medio evo riguardava Virgilio qual vate del Salvatore e qual nunzio dello imperio universale de' Romani; il terzo motivo si è, che nel medio evo, quando Omero non si conosceva ancora, Virgilio era il solo poeta che avesse descritto una discesa all' Inferno.

« AnteriorContinuar »