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Vengon: per l' aere dal voler portate
Cotali uscir della schiera ov'è Dido,
A noi venendo per l'aer maligno
Si forte fù l' affettuoso grido.

«O animal grazioso e benigno,
Che visitando vai per l' aer perso

Noi che tingemmo il mondo di sanguigno:
Se fosse amico il re dell' universo,

Noi pregheremmo lui per la tua pace
Poichè hai pietà del nostro mal perverso,
Di quel che udire e che parlar ti piace
Noi udiremo e parleremo a vui

Mentre che il vento, come fa, si tace.
Siede la terra dove nata fui,

Sulla marina dove il Po discende
Per aver pace co' seguaci sui.

Amor, che al cor gentil ratto s' apprende,

84. VENGON: al dolce nido. PER L'AERE, ecc. non si riferisce alle colombe, ma alle ombre di Francesca e Paolo. La costruzione è: Come le colombe, chiamate (= incitate, spinte, mosse) dal disio vengono al dolce. nido con le ali alzate e ferme: così, (= cotali) portate per l'aere dal volere, uscirono ecc. Altri intende la frase: per aere dal voler portate delle colombe; ma in tal caso la frase sarebbe oziosa e superflua. Gli animali seguono un disio instintivo, le anime il libero volere.

85. DIDO: rinomina Didone perchè i di lei amori e morte erano i più celebri, mercè i versi di Virgilio. Il Blanc presuppone che Dante distingua pur quì come nel cerchio antecedente le anime nobili portate sì dalla passione d'amore, ma non corrotte del tutto, da quelle che peccarono per brutale sensualità. Forse ha ragione.

87. Si FORTE: tanto in essi potè l'affettuosa mia preghiera. Andr. 88. ANIMAL: vedi lá nota sopra Inf. II, 2. GRAZIOSO: cortese. 89. PERSO: il perso è un colore misto di purpureo e di nero, ma vince il nero, e da lui si denomina. Conv. t. IV. c. 20.

90. DI SANGUIGNO: del nostro sangue, essendo stati uccisi. 91. AMICO: a noi. - IL RE: Dio.

92. PREGHEREMMO: Questa preghiera condizionata, che dal fondo dell' inferno manda a Dio un' anima condannata, è uno de' sentimenti più fini e delicati e gentili, colti dal vero. Non c'è la preghiera, ma ci è l'intenzione; ci è terra e inferno mescolati nell' anima di Francesca; una intenzione pia con linguaggio ed abitudine di persona viva, ma che non giunge ad esser preghiera, perchè accompagnata con la coscienza dello stato presente. Fr. De Sanctis. PER LA TUA PACE: Francesca vorrebbe pregare come Stazio, Purg. XXI, 13.

94. TI PIACE: Al. vi piace. Francesca rivolge le sue parole a Dante solo. 95. VUI: voi; usato anticamente anche in prosa. 96. COME FA: al presente; vedi sopra v. 31.

97. SIEDE: giace.

nismo.

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98. SULLA MARINA: sull' Adriatico. - DOVE IL PO DISCENDE: in vicinanza, a circa una diecina di miglia dove scarica il Po.

99. SEGUACI: confluenti. SUI: suoi.

100. Questo verso è un eco di quello con cui principia un Sonetto di Dante nella Vita Nuova §. 20.:

Amore e cor gentil sono una cosa.

«Amare fu per Paolo necessità di core gentile, e per Francesca necessità di donna amata.» Fr. De Sanctis. RATTO: rapidamente.

Prese costui della bella persona

Che mi fu tolta, e il modo ancor m' offende.
103 Amor, che a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer sì forte

Che, come vedi, ancor non mi abbandona.
106 Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi vita ci spense.»> Queste parole da lor ci fûr pòrte. 109 Da che io intesi quelle anime offense, Chinai il viso, e tanto il tenni basso Finchè il poeta mi disse: «Che pense?»> 112 Quando risposi, cominciai: «O lasso! Quanti dolci pensier', quanto disío Menò costoro al doloroso passo!» 115 Poi mi rivolsi a loro, e parla' io,

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E cominciai: «Francesca, i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette Amore

101. PERSONA: corpo. Noi diciamo pure: bello di persona.

102. IL MODO: con cui la bella persona mi fu tolta, poichè la morte mi colse nel peccato, e non mi lasciò tempo a pentirmi.

103. PERDONA: equivale al lat. parcere; amore non rimette all' amato il riamare.

105. NON MI ABBANDONA: è una consolazione il vedersi eternamente unita con chi amò ed ama tanto, e nello stesso tempo un' aumento di pene il veder tanto soffrire l'oggetto di così grande amore.

106. AD UNA MORTE: perchè uccisi ambedue nella stessa guisa e nella stessa ora.

107. CAINA: bolgia ove vengono puniti i fratricidi; Inf. XXXII. SPENSE: ci tolse la vita.

108. DA LOR: Francesca parla in nome di sè e di Paolo. dette, dirette a noi.

PORTE:

109. OFFENSE: offese di doppio dolore: dalla morte ricevuta e dal presente tormento.

110. CHINAI IL VISO: forse effetto di rimorso interno ricordandosi delle proprie colpe.

111. PENSE: pensi.

112. Dante non può risponder subito, e quando lo fa non volge la parola a Virgilio, ma parla come trasognato a sè stesso. - O LASSO: esclamazione prodotta in parte da rimorso.

113. QUANTI DOLCI PENSIER': questo è il fondo tragico della storia, la divina tragedia rimasta sulle labbra di Francesca. Fr. De Sanctis. Dolci pensieri ed ardenti desiderii il seme, morte violente ed eterno martirio il frutto!

114. DOLOROSO PASSO: di morte e dannazione.

col dolci del verso precedente.

Doloroso fa antitesi

117. A LAGRIMAR: sino alle lagrime. TRISTO: mesto, dolente. PIO: compassionevole. Mi fanno piangere di dolore e di compassione. 118. MA DIMMI: nel suo primo racconto Francesca ha lasciato una lacuna tra il suo innamoramento e la morte giace tutta una storia, la storia dell' amore e del peccato. AL TEMPO: quando ognun di voi sospirava per fuoco occulto di amore.

119. A CHE: a qual indizio? per cui ed il modo in cui l'amore occulto divenne palese.

Il poeta desidera conoscere l'occasione

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Che conosceste i dubbiosi desiri?>>
Ed ella a me: «Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.
Ma se a conoscer la prima radice

Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto

Di Lancilotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse

Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo, il disiato riso

Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,
La bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.

Quel giorno più non vi leggemmo avante.»>

120. DUBBIOSI DESIRI: desiderj di amore non ancora palesato e però non uniti alla certezza di esser corrisposti.

123. DOTTORE: È vero che Boezio dice: In omni adversitate fortunae, infelicissimum genus infortunii est fuisse felicem. Ma nè Boezio lo chiama mai d'altronde suo dottore, bensì sovente Virgilio, nè Dante avrebbe certamente posta una sentenza di Boezio in bocca a Francesca. Il tuo dottore è adunque Virgilio; non allude per altro ad una qualche sentenza di Virgilio, ma alla di lui esperienza.

124. RADICE: metafora, vale principio, origine. 125. AFFETTO: desiderio.

126. PIANGE E DICE: parla lagrimando. XXXIII, 9:

Similmente Ugolino, Inf.

Parlare e lagrimar vedrai insieme.

128. LANCILOTTO: amante della regina Ginevra; eroe della Tavola Rotonda. I romanzi del re Artù e della Tavola Rotonda erano un' articolo di moda ai tempi di Dante, e nel De vulg. el. egli assicura di averli letti. Anche altrove egli fa menzione di eroi di questi racconti: Inf. V, 67. XXXII, 61. Parad. XVI, 14. Il capitolo che i due amanti leggevano nel giorno fatale lo recheremmo nella nota B. alla fine del presente canto. 129. SOLI ecc. tre incentivi: la lettura di racconti d' amore, l'esser soli ed il non aver sospetto, cioè timore di venir scoperti.

130. SOSPINSE: ci mosse a riguardarci amorosamente. 132. UN PUNTO: un passo nel libro che leggevamo.

133. DISIATO RISO: la bocca sorridente; quel sorriso rivelava la combattuta virtù di Ginevra esser vinta e disarmata; perciò disiato quel riso da Lancillotto. Berlan.

135. MAI DIVISO: vedi la nota al v. 105.

137. GALEOTTO: mezzano. Vuol dire come Galeotto fu mezzano tra Lancillotto e Ginevra, così fu mezzano tra noi due il libro e l'autore di esso.

138. PIÙ AVANTE: cercarono e trovarono diletto (v. 127.) altrove che nella lettura. O vuole il Poeta forse accennare che i due amanti vennero trafitti in questo momento dall' offeso marito di Francesca? Ma in tal caso, perchè cacciare i due poveri amanti nell' inferno ?

139 Mentre che l' uno spirto questo disse,
L'altro piangeva; sì che di pietade
Io venni men così com' io morisse;
142 E caddi come corpo morto cade.

140. L'ALTRO: Paolo. «Chi è Paolo? Non l' uomo, il maschile, che faccia antitesi e costituisca un dualismo: Francesca empie di sè tutta la scena. Paolo è l'espressione muta di Francesca; la corda che freme quello che la parola parla; il gesto che accompagna la voce; il pianto dell' uno è la parola dell' altro.» De Sanctis.

141. MORISSE: morissi; inflessione usata sovente non pur dal Nostro ma anche da altri scrittori antichi.

142. E caddi: fu l'autore punto da questo vizio, et però ebbe quella passione di costoro che dice nel testo. Anon. Fior.

È bene ricordarsi che l' ultimo rifugio di Dante fu appo un nepote di Francesca, Guido Novello da Polenta a Ravenna, dove egli adì 14 Settembre 1321 non solo come, ma veramente corpo morto cadde.

NOTA A. (Vedi sopra v. 74.)

Ecco la pietosa storia di Francesca da Rimini quale la racconta l' Anonimo Fiorentino edito dal Fanfani, il quale concorda nei punti essenziali col Boccaccio, ed è poi meno ampolloso:

«Egli è da sapere che gran tempo fu guerra tra messer Guido da Polenta et messer Malatesta vecchio di Rimino. Ora perchè era rincresciuta ) all' una parte ed all' altra, di comune concordia feciono pace et acciò che meglio s'osservasse, feciono parentado insieme; chè messer Guido maritò la figliuola al figliuolo di messer Malatesta, et messer Malatesta maritò a lui delle sue. 2) Madonna Francesca, figliuola di messer Guido, fu maritata a Gianciotto di messer Malatesta; et come ch' egli fosse savio, fu rustico ) uomo, et madonna Francesca bellissima, tanto che fu detto a messer Guido: «Voi avete male accompagnata questa vostra figliuola; ella è bella e di grande animo; ella non starà contenta a Gianciotto.» Messer Guido, che avea più caro il senno che la bellezza, volle pure che il parentado andasse inanzi : et come ch' elli s' ordinasse, acciò che la buona donna non rifiutasse il marito, fece venire Polo a sposarla per Gianciotto suo fratello; et così, credendosi avere Polo per marito, ebbe Gianciotto. È vero che, inanzi ch' ella fosse sposata, essendo un di Polo nella corte, una cameriera di madonna Francesca gliel mostrò et disse: Quegli fia tuo marito». Ella il vide bello; posegli amore et contentossene. Et essendo ita a marito et trovandosi la sera) a lato Gianciotto et non Polo, com' ella credea, fu male con

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1) era venuta a noja.

2) Bernardino da Polenta sposò Maddalena Malatesta. Il doppio matrimonio si crede avvenuto circa l' anno 1275.

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3) rustico: non di atti e maniere, ma della persona, essendo, tra le altre, anche zoppo. Perciò il soprannome, chè Gianciotto vale Giovanni ciotto e ciotto significa zoppo.

4) Il Boccaccio dice che Francesca «s' avvide dello inganno la mattina seguente al dì delle nozze ». L'inganno qui accennato ne sembra del resto favoloso, poichè è probabile che Paolo o Polo fosse già ammogliato. Anche Dante non ne fa cenno, e non avrebbe certo ommesso di accennare ad una circostanza che diminuirebbe in tal qual modo la colpa di Francesca, quando egli ne avesse saputo qualche cosa.

tenta. Vide ch' ell' era stata ingannata; non levò l' amore ch' ella avea posto a Polo: onde Polo, veggendosi amare a costei, come che prima ripugnasse, inchinossi agevolmente ad amare lei. Avenne che in questo tempo ch' egliono s' amavano insieme, Gianciotto andò di fuori in signoria, di che a costoro crebbe speranza per la sua partita; et così crebbe amore tanto che, segretamente essendo nella camera, et leggendo uno libro di Lancilotto, et prima colla mano et con alcuno bascio invitando l' uno l' altro, nell' ultimo posono in pace i loro disii. Et più volte in diversi tempi faccendo il simigliante, uno famiglio di Gianciotto se n' avvide; scrisselo a Gianciotto; di che, per questa cagione tornato Gianciotto, et avuta un giorno la posta), gli sopraggiunse nella camera che rispondea di sotto; et troppo bene si sarebbe partito 2), se non che una maglia del coretto ch' egli avea indosso, s' appiccò a una punta d'aguto della cateratta, et rimase così appiccato. Gianciotto gli corse addosso con uno spuntone: la donna entrò nel mezzo; di che, menando, credendo dare a lui, diede alla moglie ed uccisela; et poi uccise ivi medesimamente Polo dove era appiccato.>>

Il Boccaccio, che asserisce aver avuto sopra ciò speciali colloqui con «un valente uomo chiamato Ser Piero di messer Giardino da Ravenna, il quale fu uno de' più intimi amici e servitori che Dante avesse in Ravenna», aggiunge che Gianciotto, uccisa la moglie ed il fratello, si partì subitamente e tornossi all' ufficio suo, e che i due infelici amanti furono seppelliti la mattina seguente con molte lagrime, ed in una medesima sepoltura. Sembra che il tragico caso succedesse breve tempo dopo le nozze di Francesca. Vedi l'operetta di Luigi Tonini: «Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini. Con appendice e documenti. Rimini 1852. »

NOTA B. (Vedi sopra v. 128.)

Il libro che i due amanti leggevano era la famosa «Historia di Lancillotto del Lago, che fu al tempo del Re Artù»; il capitolo è il 66, che qui in parte riportiamo:

Come la reina conobbe Lancilotto doppo che lungamente hebbe parlato a essa, et che gli contò le sue auuenture, et come la prima congiuntione fu fatta fra Lancilotto et la reina Gineura, per il mezo di Gallehault.

Quando la reina hebbe parlato della damigella, si seppe bene, che questo era Lancilotto; et di tutte le cose che udite haueua da lui, troua che dice la uerità. Ora mi dite, dice essa, ui uidi io dipoi più? Sì, dama, a tale hora che mi fusti bene di bisogno, perchè a Camalot mi sarei annegato, se non fussi stata uoi. Come? fusti uoi quello, che Daguenet il folle prese? Dama, presso sono io senza manco. Et doue andasti uoi? Dama, io andai dietro a uno caualiere. Et uoi combattesti seco? Si, dama. Et di là, doue ne andasti? Dama, dice egli, io trouai due gran uillani, che mi uccisono il mio cauallo, ma messer Suan, che buona uentura gli dia Iddio, me ne donò uno. Ah! dice essa, io so bene chi uoi siate uoi hauete nome Lancilotto del Lago: et egli si tace. Per Dio, dice essa, per niente lo celate: egli è lungo tempo che messer Gauuan apportò nouelle di uostro nome a corte. Allhora gli conta, come messer Suan haueua detto quello che la damigella haueua detto. Questa è la terza, et che armi portasti uoi la prima uolta? Vermiglie; pel mio capo, questa è la uerità. Et auanti hieri, perchè facesti uoi tanto di arme, come uoi facesti? Et esso comincia a sospirare. Ditemi sicuramente, perchè io so bene che per alcuna dama, o damigella, lo facesti uoi, et mi

1) Cioè: appostatigli un giorno. 2) Cioè: Polo si sarebbe partito.

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