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85

Chè se il Conte Ugolino aveva voce

D' aver tradita te delle castella,
Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
88 Innocenti facea l' età novella,

91

Novella Tebe, Uguccione e il Brigata,
E gli altri duo che il canto suso appella.
Noi passamm' oltre, là' ve la gelata

Ruvidamente un' altra gente fascia,
Non volta in giù, ma tutta riversata.

85. AVEVA VOCE: aveva fama. Quantunque Dante abbia messo il conte Ugolino nell' Antenora dove i traditori della patria sono puniti delle colpe loro, nullameno egli pone in dubbio il tradimento imputatogli. Infatti il supposto tradimento del Conte non ha altro fondamento fuorchè le accuse de' suoi nemici. Dante fu forse troppo severo mettendolo in tal luogo.

86. CASTELLA: Bientina, Ripafratta e Viareggio, da lui date a' Fiorentini; S. Maria in Monte, Fucecchio, Castelfranco, S. Croce e Montecalvoli, date a' Lucchesi. Ma ben lungi da tradimento, Ugolino salvò con ciò Pisa. Vědi la nota in fine del Canto.

87. DOVEI: dovevi. Nei verbi della seconda e terza coniugazione a tutte le persone dell' imperfetto si tolse nell' ultima sillaba il v consonante, io vedea, tu vedei, egli vedea ecc. io sentia, tu sentii, egli sentia ecc. Cfr. Inf. XXX, 110. Purg. XXX, 75. ecc. Vedi Nannuc. Anal. crit. p. 139 e seg. 594 e seg. -FIGLIUOI: figliuoli. CROCE: tormento, supplizio.

88. INNOCENTI: almeno del tradimento addebitato al padre. «Di questa crudeltà furono i Pisani per lo universo mondo, ove si seppe, forte biasimati, non tanto per lo conte, che per gli suoi difetti e tradimenti (?) era per avventura degno di sì fatta morte, ma per gli figliuoli e nipoti, che erano giovani garzoni e innocenti.»> G. Vill. 1. VII, c. 128. ETA NOVELLA: l'età novella è secondo Dante la giovinezza. «E dice: E noi in donne ed in età novella, CIOÈ IN GIOVANI.>> Conv. tr. IV, c. 19. A confutare poi le accuse mosse contro Dante (p. es. da Dal Borgo: Dissertaz. sopra l' ist. pisana, Vol. I. P. I. pag. 18. Vigo: Dante e la Sicilia, pag. 21.) per aver egli detto che i figliuoli di Ugolino erano nell' età novella, bastano queste sue parole: «La vita umana si parte per quattro etadi. La prima si chiama adolescenza la seconda gioventute, la terza senettute, la quarta senio. Della prima nullo dubita, ma ciascuno savio s' accorda, ch' ella dura infino al venticinquesimo anno LA GIOVENTUTE NEL QUARANTACINQUESIMO ANNO SI COMPIE. » Conv. tr. IV, c. 24. Basta

tanto?

89. NOVELLA TEBE: le atrocità commesse a Pisa contro Ugolino e la sua schiatta ricordano quelle commesse a Tebe contro la schiatta di Cadmo. UGUCCIONE: cfr. v. 38 nt.

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90. ALTRI DUO: Gaddo e Anselmuccio.

SUSO: v. 50. 68. -APPELLA:

nomina.

- LA

91. PASSAMM' OLTRE: dall' Antenora passammo alla Tolomea, v. 124. Erano già sul confine della Tolomea, cfr. Inf. XXXII, 125 nt. GELATA: il gelo, il ghiaccio, quasi acqua gelata; cfr. gelatina C. XXXII, 60. 92. RUVIDAMENTE: aspramente, duramente. UN' ALTRA GENTE: secondo Petr. Dant. i traditori qui in mensa produnt.

93. NON VOLTA IN GIÙ: come nella Caina, Inf. XXXII, 37. 53. RIVERSATA: voltata a rovescio, colla faccia volta all' insù. Nella Caina i dannati sono fitti nel ghiaccio insin là dove appar vergogna, XXXII, 34, cioè sino al capo, tenendo la faccia volta in giù, XXXII, 37. 53; anche nell' Antenora essi sono fitti nella ghiaccia sino al capo, ma non sembra che tengano il capo chino, anzi dritto, cfr. XXXIII, 78; nella Tolomea

DANTE, Divina Commedia. I.

27

94 Lo pianto stesso lì pianger non lascia

97

E il duol, che trova in su gli occhi rintoppo, Si volve in entro a far crescer l'ambascia. Chè le lagrime prime fanno groppo,

E, sì come visiere di cristallo,

Riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
100 E avvegna che, sì come d' un callo,
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo,

103 Già mi parea sentire alquanto vento.

Perch' io: «Maestro mio, questo chi muove?
Non è quà giù ogni vapore spento?»>

stanno col viso all' insù e soltanto questo fuor della ghiaccia; nella Giudecca finalmente le ombre sono tutte coperte, XXXIV, 11 e seg. Questa gradazione di pene ricorda quella del settimo cerchio, Inf. XII, 103. 116. 121 e seg.

94. NON LASCIA: «Però che, come le lagrime uscivono fuori, ghiacciavano in su gli occhi, l' altre lagrime non avevono luogo et per consequens non poteono uscire fuori.»> An. Fior. «Et questo finge, perchè qut si puniscono quelli, che sotto spetie di benivolentia et d' amore hanno tradito. Hanno adunque dimostro segno di carità, perchè meno si guardi, chi vogliono tradire. Et questo esprime lo star supino, che è guardare in sù inverso il cielo: ma non stanno in forma, che le lagrime possino uscire, perchè tal carità è finta. Adunque il pianto non lascia piangere, et cresce l'ambascia, perchè quella finta carità, accresce il tradimento. Onde merita maggior supplicio.» Land.

95. IL DUOL: le lagrime; la cagione per l'effetto. INTOPPO: impedimento di altre lagrime gelate. Accresce dolore a queste ombre il non poter sfogare il dolore per mezzo delle lagrime.

97. LAGRIME PRIME: le prime uscite, cioè quelle che le ombre sparsero appena furono arrivate in questo luogo. Un solo sfogo di dolore è concesso loro in eterno. FANNO GROPPO: rapprendendosi per gelo l' una all' altra formano in certa maniera un nodo di ghiaccio, e impediscono l'uscita alle altre che quei miseri vorrebbero spargere.

98. VISIERE: veli, bende. Che tale sia quì il significato della voce visiera lo prova il v. 112, dove le visiere di cristallo sono chiamate duri veli. Alcuni spiegano invece visiere = Quasi occhiali (Land., Vell., Dan.,ecc.); ma gli occhiali servono, per quanto sappiamo, per veder meglio, mentre all' incontro le visiere di cristallo impediscono a queste ombre di vedere. Lo stesso è a dirsi dell' opinione (Lomb., Br. B., ecc.) che visiere «offre qui l'idea di due cristalli incastrati nei fori dell' elmo».

99. IL COPPO: il concavo dell' occhio. Il Tom.: « Coppo Cavità convessa di fuori,» il che è una contraddizione in termini.

100. AVVEGNA CHE: quantunque il mio viso per lo freddo avesse perduto ogni sentimento, come avviene delle parti incallite: nondimeno già mi parea sentire alquanto vento.

101. FREDDURA: freddo, gelo. Inf. XXXII, 53.

ogni sensazione.

CIASCUN SENTIMENTO:

Cessar di

102. CESSATO: lasciata la sede del viso mio. Cessar stallo stare in un luogo. -STALLO: stanza, luogo dove alcuno abita, siede ecc. dal lat. barb. stallum. Cfr. Nannuc. Anal. crit. pag. 78 nt. 3. 103. SENTIRE: nel viso, quantunque reso insensibile e quasi incallito. — VENTO: d' onde avesse origine vedi Inf. XXXIV, 51.

104. QUESTO: vento.

105. QUÀ GIÙ: Al. quaggiuso.

Secondo la fisica di quei tempi il

vento è esalazione di vapori cagionata dal Sole. Ventus est aeris fluens

106 Ed egli a me: «Avaccio sarai dove
Di ciò ti farà l'occhio la risposta,
Veggendo la cagion che il fiato piove.»>
109 E un de' tristi della fredda crosta
Gridò a noi: «O anime crudeli

Tanto, che data v' è l'ultima posta, 112 Levatemi dal viso i duri veli,

Sì ch' io sfoghi il dolor che il cor m' impregna,
Un poco, pria che il pianto si raggeli.»

115 Perch' io a lui: «Se vuoi ch' io ti sovvegna,
Dimmi chi sei, e s' io non ti disbrigo,

Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.»
118 Rispose adunque: «Io son Frate Alberigo,

unda

Nascitur cum fervor offendit humorem, et impetus fractionis exprimit in spiritus flatum. Vitruv. Non essendovi dunque quaggiù sole che dilati e sollevi in vapore una parte dell' aria, come mai può esserci il vento?

106. AVACCIO: presto, in breve.

107. FARÀ: vedrai co' propri tuoi occhi d' onde questo vento deriva. 108. FIATO vento. -PIOVE: manda da alto. Piove è detto molto opportunamente, il fiato essendo mosso dalle ali di Lucifero, il quale s' innalza a smisurata altezza sulla ghiacciata lacuna di Cocito. « Il vento fatto dall' ale di Lucifero viene dall' alto: tanto egli è smisurato.» Tom. 109. FREDDA CROSTA: il ghiaccio.

110. ANIME: lo spirito che qui parla crede che i due Poeti siano anime di traditori, che traversino la Tolomea per recarsi nella Giudecca, alla quale essi siano dannati. CRUDELI: nell' ultimo spartimento del nono cerchio infernale è punita la somma malizia, che è opposta alla somma bontà. Cfr. Inf. XI, 81. nt.

111. TANTO: tanto crudeli, scellerate, che siete dannate al più profondo Inferno. POSTA: posto, luogo. L'ultima posta è la Giudecca. 112. I DURI VELI: le lacrime agghiacciate, dette pure visiere di cristallo, v. 98. e invetriate lagrime v. 128.

113. SFOGHI: col pianto. M' IMPREGNA: mi gonfia.

114. UN POCO: sfoghi un poco. Lo spirito sa benissimo che quello sfogo non può essere di lunga durata, poichè appena uscite le lacrime gli si raggeleranno sugli occhi. Persino il desiderio di piangere è quì vano! - PRIA: desidera sfogar il suo dolore almeno per quei brevissimi istanti che le nuove lacrime staranno a gelarsi.

116. DISBRIGO: s' io non ti levo dal viso i duri veli.

117. MI CONVEGNA: Dante dovea infatti andar fino al centro, ma non per restarvi. Lo spirito, non sapendo che chi parla è un vivente, privilegiato a discendere nel centro dell' Inferno e ad uscirne, resta ingannato da questa apparente imprecazione, che Dante fa a sè medesimo. Non ci affaticheremo a difendere quì il procedere di Dante, ma diremo semplicemente che in questo luogo egli si mostra più astuto che onesto. Per altro non bisogna dimenticare, che non si tratta di un fatto reale, ma semplicemente di una finzione poetica.

118. FRATE ALBERIGO: de' Manfredi, una delle principali casate di parte guelfa a Faenza in Romagna. Vecchio si rese Cavalier Godente (cfr. Inf. XXIII, 103. nt.), e fu perciò chiamato Fra Alberigo. Benv. Ramb. racconta: Fuerunt autem in Domo prædicta (de Manfredis) tres consanguinei eodem tempore, scilicet Albericus iste prædictus, Albergettus, et Manfredus. Accidit autem, quod in MCCLXXXVI, Manfredus iste, juvenis animosus, cupiditate regnandi, struxit insidias Fratri Alberico. Et quum devenisset ad graves verbo rum contentiones, Manfredus ductus impetu iræ, dedit Fratri

Io son quel delle frutta del mal orto,
Che qui riprendo dattero per figo.»

121

«Oh!» dissi lui,

«Or se' tu ancor morto?»>

Ed egli a me: «Come il mio corpo stea
Nel mondo su, nulla scienza porto.

124 Cotal vantaggio ha questa Tolomea,

alapam magnam, scilicet Fratri Alberico. Sed ipse Frater Albericus sagacior illo rem hanc aliquandiu dissimulavit et tulit. Et tandem quum iste credidit injuriam hanc excidisse a memoria illius, finxit velle reconciliari sibi. Deinde Manfredus ipse dixit, quod parcendum erat calori juvenili. Facta igitur pace, Albericus ipse fecit convivium, cui interfuerunt Manfredus et unus filius eius. Finita cœna cum magna alacritate dixit Albericus: VENIANT FRUCTUS. Et subito erupuerunt famuli armati, qui latebant ibi post unam cortinam, qui crudeliter trucidaverunt patrem et fiilium, Alberico vidente et congaudente. Cfr. G. Vill. 1. X, c. 27. Eodem anno (1295) mortui fuerunt Manfredus et Alberghettus de Manfredis de Faventia ab Ugolino, et Francisco de Manfredis, præsente Alberico de Manfredis, et ideo dicitur proverbium de le frutta di Fra Alberigo. Matt. de Griffon. Mem. Hist. ap. Murat. Script. Rer. Ital. Vol. XVIII, pag. 131.

119. DELLE FRUTTA: Al. delle frutte; dalle frutta. Allude alle parole: Venghino le frutta, che furono il segno dell' uccisione de' suoi consorti. 120. RIPRENDO: mi è reso pan per focaccia; ricevo la pena de' miei tradimenti. FIGO: fico; figo colla g invece della c, comè si scrisse in tutte le lingue romanze; provenz. figa, figua; franc. ant. figue: spagn. ant. figa. Cfr. Inf. XXVIII, 142: Così si osserva in me lo contrapasso.

121. OH: Dante si meraviglia di trovar quì uno ch' egli credeva vivesse ancora su nel mondo. Nel 1300, data del Poema, Alberigo non era ancor morto. LUI: a lui; cfr. Inf. I, 81. nt. ANCOR: già. Ancora per già disse anche il Bocc. Dec. G. IX, nov. 4: «Che è questo Angiulieri? vogliancene noi andare ancora? deh aspettati un poco.»>

122. STEA: stia. Stea dall' antico infinito Stere per Stare usossi anticamente anche nella prosa. Cfr. Nannuc. Anal. crit. p. 697 e seg. 701.

123. NULLA SCIENZA PORTO: non ne so nulla; non so se il corpo mio su nel mondo paja ancor vivo o no. Così dice poichè i dannati ignorano le cose presenti, cfr. Inf. X, 103 e seg. Questi sa d' aver lasciato un diavolo in sua vece nel corpo suo, e sa pure che lo stesso accade ai traditori suoi pari, v. 129 e seg. Ma egli e i suoi pari non sanno quanto tempo il diavolo faccia le veci di anima ne' corpi loro. Dunque Alberigo non sa se il suo corpo sia ancor vivo o morto, e non sa neanche se il corpo di Ser Branca d' Oria paja ancor suso, v. 134 e seg. E ciò sia detto contro chi, come il Di Siena, dai v. 129-133 vuol dedurne la conseguenza, che quegli sapesse se il suo corpo paresse ancor vivo o morto su nel mondo.

124. VANTAGGIO: prerogativa. Non è ironia, come vogliono i più. Questo spartimento ha la prerogativa di ricevere le anime subito che hanno commesso il nero tradimento, mentre gli altri cerchi infernali non ricevono i loro abitatori che dopo la loro morte.TOLOMEA: alcuni vogliono che questo spartimento sia così chiamato da Tolomeo re d'Egitto uccisore di Pompeo; ma la natura del tradimento di Alberigo e di Branca d' Oria rende più probabile l' altra opinione, che questa terza sfera s' intitoli da quel Tolomeo ebreo, che a splendido convito uccise proditoriamente il suo suocero e due suoi cognati. Et Ptolemæus filius Aboli constitutus erat dux in campo Jerico, et habebat argentum et aurum multum, erat enim gener summi sacerdotis. Et exaltatum est cor eius, et volebat obtinere regionem, et cogitabat dolum adversus Simonem, et filios eius, ut tolleret eos. Simon autem, perambulans civitates, quæ erant in regione Judæa, et solicitudinem gerens earum, descendit in Jericho ipse, et Mathathias filius eius, et Judas, anno CLXXVII, mense undecimo: hic est mensis Sabath. Et suscepit eos filius Aboli in munitiunculam, quæ vocatur Doch, cum dolo, quam ædificavit :

127

Che spesse volte l' anima ci cade
Innanzi ch' Atropós mossa le dea.
E perchè tu più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto,

Sappi che, tosto che l' anima trade,
130 Come fec' io, il corpo suo l'è tolto

Da un dimonio, che poscia il governa Mentre che il tempo suo tutto sia vôlto. 133 Ella ruina in si fatta cisterna.

E forse pare ancor lo corpo suso,

Dell' ombra che di quà dietro mi verna.

et fecit eis convivium magnum, et abscondit illic viros. Et cum inebriatus esset Simon, et filii eius, surrexit Ptolemæus cum suis, et sumpserunt arma sua, et intraverunt in convivium, et occiderunt eum, et duos filios eius, et quosdam pueros eius. I Machab. XVI, 11-16.

125. CADE: Veniat mors super illos, et descendant in infernum viventes. Psal. LIV, 16. Ci cade cade quaggiù.

126. INNANZI: prima che essa anima sia divisa dal corpo suo dalla morte. ATROPOS: quella delle tre parche che recide il vital filo. MOSSA LE DEA: le dia l' urto che la fa cadere, v. 125, recidendo lo stame della vita. — DEA: dall' antico infin. dere, come stea per stia, v. 122. Cfr. Nannuc. Anal. crit. pag. 562. 566.

127. RADE: rada, levi. Tutte e tre le persone singolari del presente del Congiuntivo si chiusero da principio in e; perciò rade per rada, ecc. Cfr. Nannunc. 1. c. pag. 284 e seg.

128. INVETRIATE: congelate, simili al vetro.

129. TRADE: tradisce; da tradere per tradire.

130. COME FEC' 10: non a tutti i traditori tocca tal sorte, ma soltanto a quei del terzo spartimento. L'ingegnosa invenzione è presa probabilmente dalle parole del Vangelo Et post buccellam introivit in eum Satanas, Joh. XIII, 27. Se però da queste parole scritturali Dante prese l' idea di cacciare nel suo inferno le anime de' più infami traditori prima che il corpo muoia, ne sembra seguire che quanto vien detto in questi versi valga non solo dei traditori del terzo spartimento, ma anche di quelli del quarto. E già a priori non pare probabile che le anime dell' ultima posta vadano esenti di questa pena.

131. GOVERNA: facendo le veci dell' anima. 132. MENTRE CHE: per tutto il tempo residuo che il corpo avrebbe dovuto star congiunto coll'. anima. IL TEMPO SUO: quel tempo che era stato assegnato alla vita del corpo. Breves dies hominis sunt, numerus mensium eius apud te est; constituisti terminos qui præteriri non poterunt. Job. XIV, 5. SIA VOLTO: ne sia compiuto il giro, sia passato. 133. IN SÌ FATTA CISTERNA: in fondo a questo pozzo che è fatto così come tu vedi.

134. FORSE: lo spirito che parla nol sa; cfr. v. 123 nt. PARE apparisce, si mostra. Parere in tal senso usò Dante e l' usarono altri infinite volte, cfr. Blanc: Vocab. Dant. a. h. v. Vocab. Cr., Polidori: Tav. Rit. II, pag. 140. ecc. Ignorando questo valore della voce parere, quel tal Scarabelli scrive: «Il corpo o vivo o morto ci doveva essere e non parere. Il corpo vivo pare, cioè si mostra; il corpo morto non si mostra più. E lo spirito non sta certo in forse se il corpo del suo vicino sia o nò su nel mondo, ma se esso si mostri, vada attorno, sia ancor vivo. 135. DIETRO MI: dietro me. VERNA: vernare vale Passare il verno in alcun luogo. In questo pozzo il ghiaccio è eterno, eterno dunque anche il verno. La frase dietro mi verna vale È dietro a me nel verno infernale ed eterno, soffrendone i terribili rigori.

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