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CANTO TRENTESIMOPRIMO.

IL POZZO DE' GIGANTI.

NEMBROTTO, FIALTE ED ANTEO.

Una medesma lingua pria mi morse,
Si che mi tinse l' una e l' altra guancia,
E poi la medicina mi riporse.

4 Così od' io che soleva la lancia

D' Achille e del suo padre esser cagione
Prima di trista e poi di buona mancia.

-

1. MEDESMA LINGUA: la lingua di Virgilio. MI MORSE: mi punse con quel suo severo rimprovero: Or pur mira! Che per poco è che teco non mi risso! Inf. XXX, 131. 132. Il Tom.: «Lingua che morde; traslato non bello.» E perchè no? Non si usa tuttodi lingua mordace?

2. Sì CHE: in modo tale, così acutamente. MI TINSE: di rossore. Volsimi verso lui con tal vergogna, Che ancor per la memoria mi si gira. Inf. XXX, 133. 134.

3. LA MEDICINA: atta a risanare la ferita fattami. -MI RIPORSE: Confortandomi di nuovo con quelle sue parole: Maggior difetto men vergogna lava, ecc. Inf. XXX, 142 e seg. Il concetto di questa terzina è forse presó dalle parole della Scrittura: Ego occidam, et ego vivere faciam: percutiam, et ego sanabo. Deut. XXXII, 39. cfr. Tob. XIII, 2.

4. OD' 10: raccontar dai poeti.

LA LANCIA: Telefo figlio d' Ercole e re di Misia, essendo stato ferito da Achille colla lancia ereditata da suo padre Peleo, non potè guarire che mediante l'applicazione di un empiastro fatto colla ruggine della medesima lancia. Achille appo Ovidio (Metam. 1. XIII, 171. 172):

Ego Telephon hasta

Pugnantem domui, victum orantemque refeci.

E Ovid. Trist. 1. V, Eleg. 2:

Telephus æterna consumptus tabe perisset,
Si non, que nocuit dextra tulisset opem.

E lo stesso Rem, amor. 47. 48:

Vulnus in Herculco quæ quondam fecerat hoste,
Vulneris auxilium Pelias hasta tulit.

6. TRISTA: ferendo. BUONA: risanando. MANCIA: dono,

strenna.

7 Noi demmo il dosso al misero vallone

Su per la ripa che il cinge d' intorno,
Attraversando senza alcun sermone.

10 Quivi era men che notte e men che giorno
Sì che il viso m' andava innanzi poco;
Ma io sentii sonare un alto corno,
13 Tanto ch' avrebbe ogni tuon fatto fioco,
Che, contra sè la sua via seguitando

7. DEMMO IL DOSSO: volgemmo le spalle.

MISERO VALLONE: della decima ed ultima bolgia. Misero, cfr. Inf. XXX, 61 e seg.

8. SU PER LA RIPA: camminando attraverso la ripa che cinge il misero vallone. Per veder meglio i poeti erano discesi in su la scarpa dell' ultimo argine di Malebolge; Inf. XXIX, 52. 53. ora riascendono, poi attraversano la via, e s' incamminano taciti (senza alcun sermone) verso il centro dell' Inferno.

9. SENZA ALCUN SERMONE: senza proferir parola. Dante non poteva parlare ancora, per la vergogna e confusione, Inf. XXX, 139. Virgilio non voleva parlare, per lasciar tempo a Dante di riaversi della sua confusione.

10. QUIVI: moltissimi commentatori credono che Dante voglia qui determinare l' ora in cui partì dalla decima ed ultima bolgia. Ma la è questa una spensieratezza. Bene l'Ott.: «Discrive la disposizione del luogo, ponendolo nebuloso e scuro; e perocchè non vedea, dice che sentì sonare un alto corno, al cui suono elli andò drieto, e così si dirizzò a scendere al centro.»>

11. IL VISO: la vista; io vedeva a poca distanza.

M' ANDAVA: Al.

n' andava; ma Dante qui non parla naturalmente che del proprio viso; dunque m' andava.

12. MA IO SENTII: il concetto non è: «Bench' io non potessi molto vedere, io potea udire» (Buti, Barg., Land. ecc.); sibbene: io non poteva vedere, ma nondimeno il suono d' un corno che mi si fece sentire drizzò gli occhi miei tutti ad un loco. ALTO: di alto e forte suono. Il corno è suonato da Nembrotto, cfr. v. 71. 77. Se il suono del corno era, come dice nel verso seguente, tanto alto, che ogni tuono al paragone di quello sarebbe parso fioco, cioè di languida voce, quel suono si doveva sentire per tutto quanto l'Inferno. Ma sin quì Dante non ha fatto menzione, fuorchè forse una sola volta, di aver udito un tal suono. Forse una volta! Nel C. IV, v. 1. 2. dopo esser passato in modo misterioso all' altra riva dell' Acheronte, Dante dice che egli fu risvegliato da un greve tuono. Al verso citato abbiamo detto esser questo il tuono d'infiniti guai, di cui parla nel v. 9 dello stesso canto. Per altro si può supporre che quel greve tuono provenisse piuttosto dall' alto corno di Nembrotto. Il motivo che induce Nembrotto a suonare il corno cel dice il Poeta per bocca di Virgilio ai versi 71. 72 del presente canto. Il terribile gigante sfoga con esso corno la sua ira e le altre sue passioni. Ma inoltre sarà pur lecito chiedere ciò che i commentatori per troppa modestia non hanno ancor chiesto, cosa cioè eccitasse l'ira di Nembrotto nel punto in cui i due Poeti, volte le spalle all' ultima delle dieci bolgie, s' innoltravano verso il centro infernale. E la risposta a questa dimanda ci pare essere questa: il gigante in questo momento s'è accorto dell' avvicinarsi dei due Poeti. Supponendo poi, che anche il greve trono del canto IV derivasse dal corno di Nembrotto, bisognerà ammettere che il gigante già allora si fosse accorto che Dante avea passato l' Acheronte nonostante il rifiuto di Caronte, e che sonando ne avvisasse l' Inferno.

13. FIOCO: opposto ad alto, come C. III, 27.

14. CHE: il qual suono. - CONTRA SÈ: in direzione contraria, verso il luogo donde venía il suono. — SEGUITANDO: seguitanti. Come nella lingua provenzale il gerundio tiene talvolta le veci del participio presente. Vedine

Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco. 16 Dopo la dolorosa rotta, quando

19

Carlo Magno perdè la santa gesta
Non sonò si terribilmente Orlando.
Poco portai in là volta la testa,

Che mi parve veder molte alte torri

esempi appo Nannuc. Anal. crit. pag. 421. 422. Il suono del corno fece che io drizzassi gli occhi miei, i quali seguitavano la sua via in senso contrario, tutti ad un luogo, cioè verso il punto onde esso suono si propagava.

15. TUTTI: interamente, totalmente. Esprime il sommo grado dell' attenzione. Io non aveva occhi che per guardare verso il luogo donde quel suono venía.

16. DOLOROSA ROTTA: di Roncisvalle, nella quale secondo la tradizione furono trucidate molte migliaia di cristiani (alcuni dicono ventimila, altri trentamila), da Carlo Magno ivi lasciati sotto la condotta di Orlando. Vedi La Chanson de Roland edita da Teodoro Müller, Götting. 1836. e Pio Rajna: La Rotta di Roncisvalle, nel Propugnatore, Vol. III. P. II. pag. 384-409. Vol. IV, P. 1. pag. 52-78. 333-390. Vol. IV, P. II. pag. 53–133. Eginard. Annal. ad A°. 778. Vita Car. M. c. IX.

17. SANTA GESTA: la santa schiera dei paladini; la chiama santa perchè morì combattendo contro i Saracini. Quasi tutti i commentatori intendono invece per la santa gesta l'impresa di cacciare gli infedeli dalla Spagna. Ma così spiegando essi fanno dire a Dante una cosa al tutto falsa. Secondo tutti i romanzi e la cronaca dello Pseudo-Turpino Carlo non perdè l' impresa a Roncisvalle, poichè, morti i paladini, egli ne fece tosto acerba vendetta, s' impadronì di Saragozza e di tutta la Spagna, che a forza venne convertita al Cristianesimo. Gesta nel trecento si usava di rado nel significato di impresa, spessissimo invece in quello di schiatta. Nelle lingne d'oc e d'oïl la parola gesta, jesta, geste usavasi anzitutto a significare le cronache scritte in latino. In quest' uso si rinviene più volte nella Chanson de Roland, come p. es. v. 1444:

Il est escrit en la geste francor;

poi, per un rapido e ardito passaggio, la parola venne a significare il complesso degli uomini di cui la cronaca narrava le imprese, ossia la schiatta, la famiglia: non qualunque peraltro, ma quella soltanto che si fosse resa famosa per imprese celebrate nei romanzi. Cfr. Pio Rajna: Propugnatore Vol. III, P. II. pag. 384-386. Fanfani, Borghini Vol. II, pag. 286. Diez: Etym. Wörterb. 3a. edize. Vol. I. pag. 207. Bartsch: Chrestom. provenç. 2a. edize. col. 505.

18. SONò: Turpin. Cron. c. XXIV: Tunc tanta virtute tantaque fortitudine tuba sua eburnea sonuit, quod vento oris ejus tuba illa per medium scissa, et venæ colli ejus et nervi fuisse referuntur, ita ut vox tunc usque ad Caroli aures, qui erat hospitatus cum proprio exercitu in valle Caroli angelico ductu pervenit. Ai tempi di Dante ognuno sapeva appieno le vicende e i particolari della rotta di Roncisvalle, e però il Poeta non avrebbe potuto scegliere paragone alcuno più acconcio a conseguire il suo intento.

19. IN LÀ: verso il luogo donde veniva il suono, v. 13. VOLTA: Al. alta, lezione difesa dal Foscolo con questo argomento: «Ogni uomo al primo suono che lo percota dall' alto, aiza istantaneamente la testa per impulsi cooperanti di spavento e curiosità.»> Ma non si tratta quì di un istante, anzi vuolsi sapere se Dante camminasse poi proprio colla testa volta in alto. Se Dante alzò la testa all' udire del suono, la avrà probabilmente di nuovo abbassata. Alta è errore derivato da svista di amanuense che vide l' alte del verso seguente; è inoltre lezione di pochissimi Codd.

DANTE, Divina Commedia. I.

24

22

Ond' io: «Maestro, di' che terra è questa?»>
Ed egli a me: «Però che tu trascorri

Per le tenebre troppo dalla lungi,
Avvien che poi nel maginare aborri.
25 Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
Quanto il senso s' inganna di lontano;
Però alquanto più te stesso pungi.»
28 Poi caramente mi prese per mano

E disse: «Pria che noi siam più avanti,
Acciò che il fatto men ti paja strano,
31 Sappi che non son torri, ma giganti,
E son nel pozzo intorno dalla ripa
Dall' umbilico in giuso tutti quanti.»>
34 Come, quando la nebbia si dissipa,

Lo sguardo a poco a poco raffigura
Ciò che cela il vapor che l' aere stipa:
37 Così, forando l' aura grossa e scura,

Più e più appressando in vêr la sponda,
Fuggémi errore e crescémi paura.

21. TERRA: città. La dimanda di Dante deriva più da paura che da curiosità. Il Poeta si ricorda ancora dei pericoli incorsi all' entrata della città di Dite, Inf. VIII, 82 e seg. e suppone di esser giunto ad una terra simile a quella. La paura gli fa rompere il silenzio, v. 9 e C. XXX, 139.

22. TRASCORRI: cogli occhi, collo sguardo. Il Tom.: « Trascorri coll' imaginazione più che l'occhio non tira.» Ma qui non è l' imaginazione che trascorre, sibbene gli occhi, spingendosi troppo lungi.

23. DALLA LUNGI: da lungi, per troppo lungo spazio. Dalla lungi è qui lo stesso che dalla lunga (sottintendi distanza; lungi è quì aggettivo; Virgilio vuol dire: dalla lontana distanza onde tu guardi).

24. MAGINARE: aferesi d' immaginare, usata sovente dagli antichi (cfr. Tav. Rit. ed. Polidori, Vol. II, pag. 115. 116. Gherardini: Voci e maniere ecc. Vol. II, pag. 358). ABORRI: aberri, erri dal vero; lat. abhorrere.

25. TI CONGIUNGI: ti accosti, ti avvicini.

26. IL SENSO: della vista.

27. PUNGI: affrettati; il desiderio di tosto veder quello che di quì non ben discerni, ti stimoli ad affrettare i tuoi passi.

28. CARA MENTE: per rincorarlo ed incoraggiarlo.

Questa dimostra

zione di affetto era molto opportuna dopo la severa riprensione, C. XXX, 131 e seg.

30. IL FATTO: la realtà della cosa, il vero.

31. NON SON: quelli che tu vedi.

32. INTORNO DALLA RIPA: intorno intorno alla sponda del pozzo. 33. IN GIUSO: si ch'erano fitti nella giaccia (= ghiaccia) infino al bellico, e da indi in su erano fuori. Buti.

36. STIPA: addensa.

37. FORANDO: penetrando coll' occhio. Dice forando «per la malagevolezza e fatica, che dava all' occhio l'aura grossa e scura; e però egli aguzzando la vista, quasi con succhiello la jorava, e ciò è del forte e risentito immaginare e parlar di Dante.» Ces.

38. APPRESSANDO: appressandomi.

39. FUGGÉMI: l' error mio svani, vedendo che non erano torri; ma la paura che io avea già avuta all' udire le parole di Virgilio, e già prima (cfr. v. 27 nt.), diventò molto maggiore, veggendo que' colossi di giganti che stavano fitti intorno alla sponda del pozzo. Fuggémi e crescemi non

40

Però che come in su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
Così la proda che il pozzo circonda
43 Torreggiavan di mezza la persona
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tuona.
Ed io scorgeva già d' alcun la faccia,

46

Le spalle e il petto, e del ventre gran parte,

sono terze persone singolari del perfetto, come alcuno vuole, ma terze singolari dell' imperfetto per juggiemi e cresciemi. Cfr. Nannuc. Anal. crit. pag. 140 e seg. 205 ut. S. Altre lezioni: Fuggiami errore e cresceami paura; Fuggimmi errore e crescemmi paura; Fuggémi errore e giugnemi paura. Quest' ultima lezione venne accettata da molti moderni, Crusc., quattro Fiorent., Tom., Br. B., Greg. ecc. Ma la paura non giungeva soltanto adesso a Dante, anzi la paura ch' egli aveva già gli cresceva, diveniva maggiore.

40. CERCHIA TONDA: sulle rotonde mura che l'accerchiano.

41. MONTEREGGION: antico castello a sei miglia da Siena, fuori di porta Camulla, eretto nel marzo del 1213. Elevasi il castello da collinetta isolata, in forma di pan di zucchero: la cerchia tutta è misurata da un diametro di 165 metri; da una parte all' altra il castello coronavasi di dodici altissime torri. Cfr. Aquarone: Dante in Siena, p. 77. -SI CORONA: le torri sono disposte intorno a guisa di corona.

42. Pozzo: chiama pozzo lo nono cerchio, perchè a rispetto delli altri tanto venia stretto, che parea un pozzo. Buti. Costruzione: Così gli orribili giganti, cui Giove quando tuona minaccia ancora, torreggiavano di mezza la persona la proda, che circonda il pozzo.

43. TORREGGIAVAN: verbo attivo, facevan turrita, soverchiavano come torre. - DI MEZZA: con la metà della loro smisurata persona, cioè dall' umbilico in su; cfr. v. 32. 33.

44. GIGANTI: della mitología giudaica (Nembrotto), e della mitología pagana (Fialte, Briaréo, Antéo). Tanto gli uni che gli altri già superbissimi; violenti e feroci ( Gen. VI, 4. cfr. Psl. LII, 3; di Nembrotto Gen. X, 8: Ng ba niyab bio n ipse cœpit esse potens [meglio violens] in terra) i giganti della mitología giudaica; arroganti e feroci (Omero, il primo a farne menzione, Odyss. VII, 58 e seg. 205 e seg. X, 120 e seg., li chiama ozdoμ arrojanti, e äppia poha == razza feroce) quelli della mitología pagana. In Dante essi sono i rappresentanti della superbia. (Cfr. Blanc, Versuch, p. 267-e seg.)

45. QUANDO TUONA: i giganti si spaventano ancor sempre quando Giove tuona per la memoria delle saette con cui li fulminò nei campi di Flegra, cfr. Inf. XIV, 58.

46. SCORGEVA: essendosi oramai approssimato a quel luogo. CUN: di que' giganti.

-

D' AL

47. DEL VENTRE: i giganti della mitología greca hanno per lo più serpenti invece di piedi. Cfr. Apollod. Bibl. I, 6, 1. 2: είχον δὲ τὰς βάσεις φολίδας δρακόντων, e II, 4, 2: εἶχον αἱ Γοργόνες κεφαλὰς περιεσπειραμένας Colis: Opazóvtov; Tzetz. ad Lycophr. Alexandr. v. 63: 6paxovtónodas xai BaJoyevelous xai Baduyaitas. Ovidio Metam. I, 184, li dice anguipedes, e Trist. IV, 7, 17, serpentipedes. Lucil. Aetn. v. 46 e seg.: His natura sua est alvo tenus: ima per orbes Squameus intortos sinuat vestigia serpens; cfr. Apollinar. Sidon. c. IX, v. 73 e seg. Dante dà ai suoi giganti piedi, Inf. XXXII, 17. senza però dirci se questi piedi fossero umani o serpentini. In ciò egli sembra non aversi voluto scostare dalla mitología biblica, che non fa veruna menzione de' piedi serpentini.

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