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Che diedi al re Giovanni mai conforti.

suo figlio Errico, Enrico II. gli perdonò e gli restituì il castello e dominio. Dopo ciò istigò i sudditi di Alfonso II d' Aragonia a ribellarsi, prese parte come guerriero e come trovatore alle guerre fra Riccardo Cuor-di-Leone e Filippo Augusto. Nella fine de' suoi giorni si rendè monaco Cisterciense. (Cfr. Raynouurd, 1. c. Millot: Histoire litt. des Troubadours, I, 210.)

135. GIOVANNI: moltissimo si è disputato sopra questo verso. (Va senza dire che anche quel tal Scarabelli vi ha messo il naso, ma costui non lo badiamo.) La gran maggioranza dei codici è per la lezione Giovanni, la storia per la lezione giovane, che dal Ginguenè in poi venne accettata da molti moderni. Enrico II re d'Inghilterra ebbe quattro figli, i quali tutti, l' uno più l'altro meno, furono ribelli al padre. Essi furono: Errico, chiamato dai Trovatori e dalle Cento Nov. ant. il re giovane, essendo stato coronato re durante la vita di suo padre; Riccardo Cuor-diLeone, Conte di Guienne e di Poitou, che succedette a suo padre nel regno; Goffredo e Giovanni Senzaterra. Errico era il solo che nel tempo al quale allude il Poeta avesse il titolo di re, e nello stesso tempo il solo che avesse avuto relazioni intime con Bertrando dal Bornio. Di Errico parla Bertrando sovente nelle sue poesie, chiamandolo lo Reys joves; Errico fu colui al quale Bertrando diede i mai conforti, cioè i mali eccitamenti a ribellarsi a suo padre. Dunque giovane sarebbe la vera lezione. Ma 1°. i Codici hanno con poche eccezioni Giovanni. 2°. Non è men verisimile che la lezione giovane sia correzione di copisti che conoscevan la storia, che sia verisimile la lezione Giovanni esser corruzione di chi la ignorava. 3°. Tutti quanti i commentatori antichi, non eccettuatone un solo, lessero Giovanni; da ciò ne risulta che tutti i codici che essi conoscevano avevano Giovanni. 4°. Se alcuni chiamano quel principe una volta Giovanni e l' altra il Giovane o Giovanni il giovane (così l' An. Fior. e le Chiose ed. dal Selmi), ne risulta che i loro codici avevano Giovanni, e che d'altronde essi sapevano che quel principe si chiamava il re giovane, IGNORANDO TUTTAVIA che egli fosse Errico e non Giovanni. 5°. Se alcuni di questi antichi (Ott., Buti, Petr. Dant., falso Bocc. ecc.) parlano di un principe Giovanni figlio di Riccardo, ciò prova che essi ignoravano la storia sì, ma non che essi non abbiano saputo leggere i loro codici o ne abbiano corrotta la lezione. 6°. Giovanni chiama anche il Villani (1. V, c. 4) il principe che guerreggiò con suo padre, e se alcuni codici delle Croniche hanno Giovane, anche questa può esser correzione di chi conosceva la storia. 7°. Se tutti i Commentatori ignoravano i particolari della relativa storia, poteva ignorarli anche Dante. 8°. Se le Cento Nov. ant. conoscevano il vero nome del principe, non ne segue che Dante lo conoscesse anche lui. 9°. Se Dante nel Vulg. Eloq. cita Bertram dal Bornio, non ne segue che egli avesse letto tutte le di lui poesie, o che dovesse ricordarsi che Bertrando chiama il principe lo Reys joves. 10°. Se Dante sapeva che Bertrando tenne Altaforte, Inf. XXIX, 29., non ne segue che egli sapesse anche come si chiamasse colui al quale egli diede i mai conforti. 110. La lezione giovane guasta il verso. - Non si tratta adunque di «falsificare la storia », come alcuno raglia, ma si tratta di stabilire qual sia qui la lezione genuina, di decidere se Dante abbia scritto Giovanni oppure giovane. Or se i canoni di critica scientifica valgono ancora qualche cosa, sarà pur gioco forza decidersi col Tommaseo, col Filalete, col Witte ed altri per la lezione Giovanni, QUANTUNQUE il principe cui Bertrando diede i mai conforti si chiamasse Errico, e non Giovanni. (Cfr. Ginguene: Hist. Litt. d'It. Vol. II, p. 570. H. C. Barlow: The Young King and Bertrand de Born. Lond. 1862. Contributions ecc. pag. 153–157. Blanc: Versuch, I, pag. 251-254. che tutti e tre difendono la lezione giovane. Per la letteratura di questo verso cfr. De Batines: Bibl. Dant. Vol. I, pag. 365. 366. 733. Ferrazzi: Manuale Dantesco, Vol. IV, pag. 396 e seg. La tentazione di concordar Dante colla storia è troppo grande, e si comprende perciò facilmente che molti moderni preferiscono la lezione giovane, massime quelli che sono digiuni di studî di critica scientifica.)

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DANTE, Divina Commedia. I.

22

136 Io feci il padre e il figlio in sè ribelli;
Achitofel non fe' più d' Ansalone

E di David co' malvagi pungelli.

139 Perch' io partii così giunte persone, Partito porto il mio cerebro, lasso!

142

Dal suo principio ch' è in questo troncone.
Così s' osserva in me lo contrappasso.»>

136. FECI: Metia tot son senno en mesclar guerras, e fes mesclar lo paire el filh di Englaterra (Raynouard 1. c. V, 76). IN SÈ l' uno contro l' altro.

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137. ACHITOFEL: consigliere di Davidde, re d' Israele; fautore della ribellione d' Absalone. Cfr. II. Reg. XV, 12 e seg. XVI, 15 e seg. XVII, 1 e seg. - ANSALONE: Absalone, il figlio rebelle di Davidde; cfr. II. Reg. XIII-XVIII. Lo Scarabelli vuol che si scriva Absalone. Naturalmente! perchè oggigiorno si scrive così; e già s' intende che un par suo non sa che gli antichi dissero sempre Ansalone (cfr. Witte: Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft, Vol. I, pag. 328).

138. PUNGELLI: consigli. Achitofel consigliò Absalone a violare le concubine del padre, e ad uccidere il padre. (Vedi i passi biblici citati nella nota antecedente.) Sentenza: Achitofel non seminò maggior discordia fra padre e figlio, di quella che seminai io. 139. PARTII: divisi.

natura.

GIUNTE unite così strettamente coi vincoli di

140. PARTITO: diviso. CEREBRO: Con tutto il capo.

141. PRINCIPIO: la midolla spinale, nella quale Aristotele (come nei tempi moderni il celebre Gall e la sua scuola) poneva il principio del cervello.

142. LO CONTRAPPASSO: la legge del taglione, che vuole che tal sia punito qual fece, dal lat. contra pati. Animam pro anima, oculum pro oculo, dentem pro dente, manum pro mano, pedem pro pede exiges. Deut. XIX, 21. cfr. Exod. XXI, 24. Lev. XXIV, 20. Matth. V,.38. In qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis. Matth. VII, 2. Secondo questa legge Dante distribuisce nel suo Inferno tutte le pene.

CANTO VENTESIMONONO.

CERCHIO OTTAVO; BOLGIA NONA: SEMINATORI DI SCANDALI. GERI DEL BELLO.

CONTINUAZIONE.

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CERCHIO OTTAVO; BOLGIA DECIMA: FALSATORI D' OGNI GENERE. GRIFFOLINO D' AREZZO E CAPOCCHIO.

La molta gente e le diverse piaghe
Avean le luci mie sì inebriate,

Che dello stare a piangere eran vaghe;
4 Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
Perchè la vista tua pur si soffolge

1. MOLTA: cfr. Inf. XXVIII, 7—21. << Il più sovente con un canto si chiude una pena o un premio nel poema, e con l' altro altra materia incomincia: ma qui per dare rilievo alla memoria d' un suo congiunto, uomo di discordie e per esse morto, Dante lo discerne da altri uomini maggiormente famosi, e così fa vieppiù risaltare la propria equità, inflessibile eziandio verso le persone del suo sangue stesso. Tom.

2. LE LUCI: gli occhi. INEBRIATE: pregne di lagrime pel dolore che gli cagionava una tal vista. Ebrietate et dolore repleberis: calice mæroris et tristitia. Ezech. XXIII, 33. Inebriabo te lacrima mea. Isai. XVI, 9. I tormenti che egli ha dinanzi agli occhi gli ricordano le conseguenze degli scandali, cioè le discordie e guerre civili, delle quali egli stesso fu vittima, e ciò lo addolora sino alle lagrime. Inoltre l'aspetto che in questa bolgia gli si presenta, gli ricorda eziandío lo stato della sua patria, che era tale, da indurlo a piangere. «Oh misera! misera patria mia! quanta pietà mi strigne per te, qual volta leggo, qual volta scrivo cosa che a reggimento civile abbia rispetto.» Conv. tr. IV, c. 27.

4. CHE PUR GUATE: a che fine stai tu ancora guardando attentamente? Al. che cosa guardi? Ma i seguenti versi mostrano che Virgilio sapeva già cosa Dante guardasse. GUATE: guati; non «in grazia della rima», chè guate è forma primitiva; cfr. Nannuc. Anal. crit. pag. 58 e seg. Da gautare (prov. gaitar, guaitar, franc. ant. gaiter, guatier, guetier), guardare, mirare con attenzione; cfr. Nannuc. 1. c. pag. 278-281.

5. SI SOFFOLGE: s' appoggia (dal lat. sufulcire); si ferma, s'affissa. Cfr. Parad. XXIII, 130. «La vista fermandosi nell' oggetto, pare che in esso s' appoggi, s' appunti.» Tom.

10

Laggiù tra l' ombre triste smozzicate?
7 Tu non hai fatto sì all' altre bolge.
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che miglia ventiduo la valle volge.
E già la luna è sotto i nostri piedi.
Lo tempo è poco omai che n'è concesso,
Ed altro è da veder che tu non vedi.»>
«Se tu avessi», rispos' io appresso,
«Atteso alla cagion perch' io guardava,
Forse m' avresti ancor lo star dimesso.>>
16 Parte sen gía, ed io retro gli andava

13

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6. SMOZZICATE: mutilate; cfr. Inf. XXVIII, 19. 103 e seg.

7. si: così.

8. LE CREDI: se tu credi poter osservare tutte queste triste ombre ad una ad una.

9. VOLGE: gira, ha ventidue miglia di circuito.

10. SOTTO: ne' plenilunî, la luna a sera è sull' orizzonte, a mezzanotte nello zenit, il mezzodi seguente al nadir, cioè per l'appunto sotto i piedi di chi è posto nel mezzo della terra. Ricordando adunque che la notte innanzi era stato plenilunio (cfr. Inf. XX, 127), e tenendo conto del ritardo che la luna dopo il suo pieno mette ogni giorno a tornare, si ha ch' era un' ora e 18 dopo il mezzodì (cfr. Della Valle: Il senso geogr. astron. ecc. pag. 20. 21. Ponta: Orologio Dantesco, Op. su Dante, Novi 1846. pag. 217. Lanci: De' spiritali tre regni ecc. Roma 1855. P. I pag. 24).

11. Poco: il Poeta doveva fare il viaggio per l' Inferno in 24 ore; dovendo partirsi d' inferno la sera di questo giorno (cfr. Inf. XXXIV, 68. 69) non gli restavano più che circa 5 ore.

12. ALTRO: altre cose più maravigliose e spaventevoli di quelle che tu vedi quì. VEDI: Al. credi, manifesto errore. « Sarebbe questo l' unico caso in cui facesse Dante tre rime con due parole di ugual senso; esempio bensì trovandosi, che facciale con una sola (Parad. XII, 71 e seg., XIV, 104 e seg.), ma con due parole non mai.» Lomb. (Cfr. Blanc, Versuch, etc. I, pag. 256. 257. Quattro Fiorent. II, pag. 113).

13. APPRESSO: dopo, in seguito a tali parole dettemi da Virgilio. 14. ATTESO: fatto attenzione al motivo del mio guardare.

15. DIMESSO: permesso, concesso; lat. dimittere. Tu mi avresti forse concesso di soffermarmi più tempo.

16. PARTE: mentre, intanto. Il duca intanto se ne andava, ed io gli teneva dietro facendo già la risposta. Parte, avv. di tempo, per mentre che, intanto che, è frequentissimo negli antichi, cfr. Purg. XXI, 19. Parte che lo scolare questo diceva, la misera donna piangeva continuo; Bocc. Dec. G. VIII, Nov. 7. Altri esempi nel Voc. Crusc. Vive ancora oggigiorno in Toscana; cfr. Fanfani: Voc. dell' uso tosc. pag. 677. 678. Le siegghin costì nello scrittojo, parte ch' i' vo per ippadrone. Fanfaní: Diporti filol. 2a. edize. Fir. 1870. pag. 184. Ma le son cose queste che un buacciólo come lo Scarabelli non le sa. Costui raglia a questo verso: «Ma che s' intende? Parte di che? Non è che Virgilio che se ne va»; ed in conseguenza guasta il verso, scrivendo: Partiasen già! E sia questo uno fra la migliaia di esempi che mostrano la costui incredibile ignoranza. In verità non si sa di cosa stupire maggiormente se della ignoranza, oppure della sfacciataggine di questo frannonnolaccio, che, fornito di cognizioni linguistiche come si vede ch' egli è, ha nondimeno l' impudenza di farla da dottore agli altri. Il Fanfani (Diporti filol. 1. c.) invita tali ignorantoni, che non conoscono nemmeno il valore dell' avverbio parte, ad andare in Toscana «a sentirlo tutto giorno in bocca a nostri contadini, ed anche a gente di città.» Per altro lo Scarabelli non ha più bisogno di andar in Toscana ad imparare cosa significhi parte, perchè il Witte glielo ha detto

19

Lo duca, già facendo la risposta

E soggiungendo: «Dentro a quella cava
Dov' io teneva gli occhi sì a posta,

Credo che un spirto del mio sangue pianga
La colpa che là giù cotanto costa.»>
22 Allor disse il maestro: «Non si franga

Lo tuo pensier da quì innanzi sovr' ello:
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga.
25 Ch' io vidi lui a piè del ponticello

Mostrarti, e minacciar forte col dito
Ed udil nominar Geri del Bello.

(Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft, Vol. I, pag. 328. 329). Ma che si può mai attendersi da un uomo che ignora persino cose così ovvíe? Andate adesso e sciupate il vostro tempo leggendo gli scarabocchi di un tal librismerda!

18. SOGGIUNGENDO: io gli andava dietro facendo la risposta e soggiungendo. - CAVA: fossa, bolgia.

19. A POSTA: appostati (cfr. il si suffolge nel v. 5), affissati. 20. DEL MIO SANGUE: mio consanguineo, della mia parentela. 21. LA COLPA: del seminar scandali, discordie, scismi. nella nona bolgia, o caca, dov' io teneva gli occhi si a posta. COSTA: si paga con tanta pena, è punita sì severamente.

LAGGIÙ: COTANTO

22. NON SI FRANGA: la tua attenzione non sia da ora innanzi distratta dal pensare a lui. Frangere ha quì il valore di rifrangere, riflettere. Al raggio della luce, che si riflette sovra gli oggetti, si paragona il pensiero. La sentenza è dunque: Il tuo pensiero non si rifletta da quind' innanzi sovra lui, cioè: non pensar più a lui. Che frangere abbia qui tal valore lo prova la frase da qui innanzi nel verso seguente. Al. non si commuova, non s' impietosisca.

23. SOVR' ELLO: lat. super illo. Ello (prov. elh) per egli disse Dante e dissero altri. E nei casi obliqui: sovr' ello per sovra lui, da ello per da lui, con ello ecc.; tutte forme derivate dal lat. ille.

26. MOSTRARTI: agli altri spiriti suoi compagni di pena. scotendolo; cfr. v. 31 e seg.

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COL DITO:

27. UDIL: lo udii. -NOMINAR: dai suoi compagni. GERI DEL BELLO: Geri, figlio di Bello. Quest' ultimo fu fratello di Bellincione, nonno di Dante (Cfr. Pelli: Memorie, 2a. edize. pag. 33. Passerini: Della famiglia di Dante, nel Vol. Dante e il suo secolo, pag. 60. Fraticelli: Vita di Dante, pag. 40. A. v. Reumont: Dante's Familie, nel Jahrbuch der deutschen DanteGesellsch. Vol. II, pag. 335). «Questo Geri del Bello fu consorto dell' Auttore... Dicesi di lui ch' egli si dilettò sempre di mettere scandolo fra uomo et uomo; onde, avendo seminato molta zizzania fra una famiglia che si chiamavono i Gemini, costoro un dì 'l giunsono et dierongli molte mazzate. Geri del Bello, ch' era sdegnoso, giunse un dì a uno di loro sconosciuto, copertosi il viso con una maschera o con altro; et trovò questo suo nemico in sull' uscio; disse: Messer, guardatevi dall' arme, ecco la famiglia. Questo si tira indietro nell' androne suo et getta l' arme; et essendo questi senza arme, Geri gli uscì addosso et diegli più coltellate. Avvenne che delle fedite fu Geri condennato: ebbe bando; et un dì, essendo sconosciuto in Fucecchio, uno di questi Gemini v' era podestà; di che uno nipote del podestà, che avea nome Geremia, andando col cavaliere alla cerca, trovò costui et conobbelo; fa vista di volere cercarlo, et infine gli diede d' uno coltello et ucciselo; et di questo mai nè l' Auttore nè altri ne feciono vendetta.» An. Fior. « Fu molto scismatico, et per tal vizio fu ucciso da uno de' Sacchetti, nè se ne fe vendetta, se non dopo trenta anni, (dalla sua uccisione? o dall' epoca della visione di Dante? In ogni caso prima del 1330; e l' An. Fior. non ne sa nulla

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