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«Omai convien che tu così ti spoltre»,

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Disse il maestro; «chè seggendo in piuma,
In fama non si vien, nè sotto coltre;

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A Argine.

ab Costa superiore delle bolge. cd Costa inferiore.

hifi Larghezza media delle bolge all' imboccatura.

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fg Profondità media delle bolge.

cde Altezza uguale a quella della costa ab.

de Altezza che manca alla costa inferiore per esser così lunga come la superiore.

Se la pendenza di Malebolge è del 40%, inoltre

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ossia la costa inferiore è un terzo più corta della superiore.

46. TI SPOLTRE: spoltronisca, lasci la poltronería. Spoltre da spoltrare per spoltri, chè «tutte e tre le persone singolari (nel presente del Congiuntivo) si chiusero da principio in e» (Nannucci: Anal. crit. pag. 284); o forse da spoltrire per spoltra o spoltrisca.

47. SEGGENDO: sedendo.

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SEGGENDO IN PIUMA: vivendo nell' ozio.

48. SOTTO COLTRE: dormendo. Costruzione: Non si viene in fama seggendo in piuma nè (stando, giacendo) sotto coltre, nell' ozio e nel dormire non si acquista fama.

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49 Senza la qual chi sua vita consuma,
Cotal vestigio in terra di sè lascia

Qual fummo in aer ed in acqua la schiuma;
52 E però leva su, vinci l'ambascia

Con l'animo che vince ogni battaglia,
Se col suo grave corpo non s' accascia.
55 Più lunga scala convien che si saglia;
Non basta da costoro esser partito.
Se tu m' intendi, or fa sì che ti vaglia.»
58 Levami allor, mostrandomi fornito

Meglio di lena ch' io non mi sentia;
E dissi: «Va, ch' io son forte ed ardito.>>

Qui studet optatam cursu contingere metam
Multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit.

Horat. Ars poet. v. 412. 413.

La gola e 'l sonno e l'oziose piume
Hanno del mondo ogni vertù sbandita.

Petr. Son. P. IV. S. I. v. 1. 2.

L'opinione dello Strocchi ed altri, che coltre significhi baldacchino, solicchio ecc. non merita nessuna confutazione. Dante la ha già confutata antecipatamente scrivendo nel verso seguente invece di Senza le quai Senza LA QUAL, cioè fama.

50. VESTIGIO: memoria, ricordanza.

51. FUMMO: deficientes quemadmodum fumus deficient, Psal. XXXVI, 20. Sicut deficit fumus, Psal. LXVII, 3. Spes impii tamquam lanugo est, quæ a vento tollitur; et tamquam spuma gracilis, quæ a procella dispergitur: et tamquam fumus, qui a vento diffusus est. Sap. V, 15.

52. LEVA SU: levati, alzati. AMBASCIA: angoscia, difficoltà di respirare.

53. VINCE: supera ogni impedimento. Cfr. Purg. XVI, 75–78:

Lume o' è dato a bene ed a malizia,

E libero voler, che, se fatica

Nelle prime battaglie col ciel dura,
Poi vince tutto, se ben si nutrica.

54. S' ACCASCIA: s' accuffa, et lascia andar giù insieme col suo grave corpo. Dan.

55. SCALA: del Purgatorio. Barg.: «Più lunga, perocchè ti converrà montare dal centro della terra fino alla superficie di sopra, e converratti montar su pel monte del Purgatorio fino nel Paradiso.»> E il Torelli: lunga scala s'intende quella che dal centro della terra porta nell' altro emisfero.>> Ma se quel cammino ascoso dal centro della terra all' altro emisfero poco pende, Inf. XXXIV, 132. il Poeta non poteva chiamarlo una lunga scala. Ben poteva poi chiamare così la salita del Purgatorio, cfr. Purg. III, 46-51. XI, 40. XIII, 1. XVII, 65, 77. XXI, 21. XXII, 18. XXV, 8. XXVII, 124. i quali passi basteranno a dimostrare che Dante intende parlare della salita al Purgatorio e non di quella all' altro

emisfero.

57. M' INTENDI: se tu vuoi arrivare a vedere Beatrice non basta partirsi solamente da costoro e percorrere l' Inferno. Non basta lasciare il male, bisogna pur fare il bene. Diverte a malo et fac bonum, Psai. XXXIII, 15. -TI VAGLIA: poni cura ed opera in modo che tale avvertimento ti giovi.

58. LEVAMI: mi levai da sedere, cfr. v. 45. 60. FORTE: a sostenere la fatica del viaggio. derla. « Formola che comprende la forza del dell' animo.» Biag.

ARDITO: ad imprencorpo e la franchezza

61 Su per lo scoglio prendemmo la via,
Ch' era ronchioso, stretto e malagevole,
Ed erto più assai che quel di pria.
64 Parlando andava per non parer fievole,
Ed una voce uscío dall' altro fosso,
A parole formar disconvenevole.

67 Non so che disse, ancor che sovra il dosso
Fossi dell' arco già che varca quivi;

Ma chi parlava ad ira parea mosso.

70 Io era vôlto in giù, ma gli occhi vivi
Non potean ire al fondo per

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ין

oscuro;

Perch' io: «Maestro, fa che tu arrivi
Dall'altro cinghio, e dismontiam lo muro;

62. RONCHIOSO: pieno di ronchi, scabroso, aspro ed ineguale. 63. CHE QUEL DI PRIA: più ronchioso, più stretto, più malagevole e più erto era questo scoglio che quello pel quale i due Poeti erano venuti sino alla sesta bolgia. Questo verso conferma quanto dicemmo nella nota sopra Inf. XVIII, 16. che cioè non soltanto uno, ma parecchi scogli moveano dalla cerchia di Malebolge, ognuno dei quali traversava come un ponte le bolge. E questo passo ci mostra inoltre che i diversi scogli non erano del tutto uguali. Il paragone è fra scoglio a scoglio. Per scoglio non s'intende un solo ponte sopra una sola bolgia, sibbene un' ordine di ponti a tutte le dieci bolgie. Questa dichiarazione vien confermata dalla lezione quei di pria che occorre in alcuni codici ed edizioni.

64. PARLANDO: onde nascondere la mia fiacchezza io non mi ristava del parlare mentre camminavamo.

65. ED UNA: e mentre camminavamo su per lo scoglio venne fuori dall' altro fosso, cioè dalla settima bolgia una voce. Al. Onde uno, lezione che quel tal Scarabelli difende col ripetere quanto ha letto nel Lomb. e Br. B.: «La voce uscì perchè Dante passava.» Ma chi mai vi ha detto che la voce uscì perchè Dante passava? Il Lombardi e Brunone Bianchi? Scusateci, ma Dante stesso non fa un sol cenno che il suo passare o parlare fosse la cagione che la voce uscisse.

66. DISCONVENEVOLE: confusa, non atta a far sentire pronunzia di parole: «Disconvenevole id est inhabilis, eo quia latrones cum sunt ad furandum sibilant ut non cognoscantur ad vocem et eodem modo isti hic sibilabant et ideo non videbatur vox acta ad loquendum. Postill. Cass.

67. Non so: la voce udita essendo disconvenevole a formar parole. DISSE la voce che uscío dall' altra fossa. ANCOR CHE: quantunque io fossi già su la sommità dell' arco che serve di ponte sopra quella fossa. DOSSO: il culmine del ponte.

69. AD IRA: era un grido che sembrava d' ira non di dolore. Al. ad ire. 70. VOLTO IN GIÙ: guardava abbasso. OCCHI VIVI: corporali. Lo sguardo di persona vivente non avea la forza di penetrare giù al fondo della bolgia. Al. gli occhi non potean ire vivi al fondo, cfr. Inf. XXIX, 54. Virgilio, come spirito, penetrava col suo sguardo più lungi che Dante cogli occhi suoi mortali.

CIN

73. DALL' ALTRO: all' altro; da è qui segno del terzo caso. GHIO argine, quello che separa le bolgie settima ed ottava il quale è più basso dell' antecedente nonchè dello scoglio e concede perciò di penetrar collo sguardo giù al fondo della bolgia. LO MURO: alcuni commentatori, Benv. Ramb., Barg., Vent., Lomb., Portir., Filal., Andr., ecc. intendono pel muro l'argine che separa la settima bolgia dall' ottava; altri all' incontro, Buti, Vell., Dan., Biag., Ces., Tom., Br. B., Frat., Greg., Da Siena, De Marzo, ecc. l' arco o ponte della settima bolgia; altri saltano semplicemente il passo a piè pari. Onde decidere la questione è necessario sciogliere il quesito se Dante e Virgilio scesero giù nella bolgia sì o

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-

Chè com' ' odo quinci e non intendo,
Così giù veggio, e niente affiguro.»

«Altra risposta», disse, «non ti rendo
Se non lo far; chè la dimanda onesta
Si dee seguir con l' opera tacendo.»>
79 Noi discendemmo il ponte dalla testa
Ove s' aggiunge con l' ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta:
E vidivi entro terribile stipa

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Di serpenti, e di sì diversa mena,

no. Se i Poeti scesero giù, pel muro si dovrà intendere l'argine, se all' incontro non scesero nel fondo ma si arrestarono sull' orlo dell' argine a guardar giù, il muro si dovrà prendere pel ponte o scoglio. Dai v. 79 e seg. del presente canto sembra ne risulti che essi non scesero giù nella bolgia; dai v. 13 e seg. del c. XXVI sembra risultarne che essi vi discendessero. Nella nota a quest' ultimo passo procureremo di risolvere la questione. Intanto osserveremo solamente non parere molto probabile che i Poeti si calassero giù nella bolgia che brulicava di orribili serpenti. 75. AFFIGURO: raffiguro, discerno, riconosco. Odo voci, ma non intendo parola; vedo, ma non posso rilevare la figura degli oggetti. Auditu audietis, et non intelligetis: et videntes videbitis, et non videbitis. Matth. XIII, 14. cfr. Isai. VI, 9.

77. LO FAR: per tutta risposta farò quello che tu chiedi, chè quando ciò che si dimanda è giusto non convien risponder con parole ma con fatti, dando cioè esecuzione a quel che è domandato.

79. DALLA TESTA: da quella parte del ponte che si aggiugne con l'ottava ripa, cioè con quella che cinge intorno l'ottava bolgia. Dan.

81. E POI si può intendere: quando fummo giunti sull' orlo dell' argine; o si può anche intendere come spiega il Lomb.: «E poi scendendo per quell' argine.» Anche qui si tratta di sapere se i Poeti scesero giù nella bolgia. Vedi Inf. XXVI, 13. 14. nt. Si osservi del resto che quel scendendo per quell' argine non lo dice Dante, ma il suo commentatore.

82. STIPA: congerie. «Stipa è detta ogni cosa ch'è calcata et ristretta insieme, et questo è detto stipato.» An. Fior.

83. SERPENTI: Caput aspidum suget, et occidet eum lingua viperæ. Job. XX, 16. Serpentes ad vindictam creati sunt. Eccles. XXXIX, 36. 35. «Alcuni veggono nella serpe l'immagine del rimorso; ma il rimorso è proprio di tutte le colpe, e non veggiamo che esso debba punire i ladri fraudolenti, anzi che gli altri peccatori. È assai più ragionevole cercar nella serpe l'immagine del vizio stesso, e della sua natura, perchè Dante, come filosofo non dovea manifestarci un vizio se non nelle sue proprie fattezze, e come poeta non potea sperare che le sue allegorie fossero per riuscire intelligibili in ciascun canto, se velassero cose acconce a ciascun soggetto degli altri canti. E ricercata l' immagine del ladro per frode nella serpe, si vede che l' immagine è bellissima e naturale, sendo che il ladro fraudolento s' insinua, come la serpe, dolcemente nelle cose altrui; e come la serpe s' insinua a far del male. Ma se la serpe esprime mirabilmente l'indole del vizio, si vede chiaro, che Dante ci mostra alcune persone tramutarsi in serpi a significare per mezzo di una metamorfosi fisica la loro metamorfosi morale. Ma prima che l' uomo soggiaccia all' influenza di questo vizio rappresentato nel serpente dagli occhi accesi, e nel serpente che morde, prima che si compenetri, diciam così, tutto con quello, e diventi serpente egli stesso, è mestieri, che deponga ogni alto sentire di sè, ogni verecondia, ogni dignità umana; poichè il rubare fu sempre ed è tenuto dall' universale atto vilissimo sopra ogn' altro; ed ecco perchè Dante avanti di mostrarci l' uomo mutato in serpe, con gran senno ce lo mostra mutato in cenere.» (Mauro: Concetto e forma della D. C. Nap. 1862. p. 186. 187). MENA: spezie, razza.

Che la memoria il sangue ancor mi scipa.

85 Più non si vanti Libia con sua rena;

Chè, se chelidri, jaculi e farée
Produce, e cencri con amfesibena,

88 Nè tante pestilenze nè sì ree

Mostrò giammai con tutta l' Etiopia,

84. LA MEMORIA: al solo ricordarli. -SCIPA: guasta, agghiaccia. «La ricordanza di quelli serpenti ancora mi divide il sangue da' luoghi suoi, e fallo tornare al cuore come fa la paura.» Buti.

85. LIBIA: per calidas Libya sitientis arenas. Luc. Phars. I, 268. Libycas arenas. Ibid. II, 417. Sopra questi ternari cfr. Luc. Phars. IX, 705 e seg.

86. CHÈ, SE: così la gran maggioranza dei cod. e delle edizioni. Della lezione Chersi, che è della Nidob. e che il Lomb., con un piccol seguito di commentatori, difende, giova appena parlarne. Bene i quattro Accademici del 1837: «In quanto a noi ci avvisiamo col Monti che non sia da approvarsi quella lezione, non solamente perchè non ha in suo soccorso l'autorità di alcun testo, ma anche perchè (tacendo che chersi invece di chersidri sarebbero serpenti senza coda) si è barbara la sintassi che ne deriva Più non si vanti Libia chersi ecc. Producer cencri ecc. Nè tante pestilenzie mostrò giammai ecc. Chi è mai che non vegga che bisognerebbe la copulativa e davanti a cencri, e che poi non vi è modo di ordinare la seconda colla prima terzina? >> Vedi pure: Dionisi: Blandimenti funebri, Pad. 1794. pag. 74-79. Lombardi: Esame ecc. (nell' edizione di Roma 1815-17. Vol. I. pag. XXIII-XXVII. ediz. Roma 1820. Vol. I. pag. LXXIII-LXXV. ediz. Pad. 1822. e Fir. Ciardetti 1830. Vol. V. pag. 375-377.); Blanc: Versuch ecc. pag. 224. 225. Barlow, Contributions, pag. 146-148. CHELIDRI: serpenti che stanno in terra ed in acqua. Ecco il passo relativo di Lucano (Phar. IX, 706-721):

Sed quis erit nobis lucri pudor? inde petuntur
Huc Libyca mortes, et fecimus aspida mercem.
At non stare suum miseris passura cruorem,
Squamiferos ingens Hæmorrhois explicat orbes;
Natus et ambiguæ coleret qui Syrtidos arva
Chersydros, tractique via fumante Chelydri;
Et semper recto lapsurus limite Cenchris;
Pluribus ille notis variatam pingitur alvum,
Quam parvis tinctus maculis Thebanus Ophites;
Concolor exustis, atque indiscretus arenis
Hammodytes; spinaque vagi torquente Cerastæ;
Et Scytale sparsis etiam nunc sola pruinis
Exuvias positura suas; et torrida Dipsas;

Et gravis in geminum surgens caput Amphisbæna.
Et Natrix violator aquæ, Jaculique volucres;

Et contentus iter cauda sulcare Pareas.

JACULI: Jaculi serpentes subeunt arbores, e quibus se vibrant et quasi missili evolant tormento. Solin. c. 40. Plin. VIII, 23 ecc. — FARÉE: serpenti con due piedi.

87. CENCRI: serpenti di vario colore, che si dicono andar sempre torcendosi nè mai camminar diritto. - AMFESIBENA: da αμφί e βαίνω; serpe avente due teste, una per estremità. Amphisbæna consurgit in caput geminum, quorum alterum in loco suo est, alterum in ea parte qua cauda. Solin. c. 40. Plin. VIII, 23.

88. PESTILENZE: Sed majora parant Libycæ spectacula pestes. Luc. Phars. IX, 805. Noxia serpentum est admixto sanguine pestis. Ibid. IX, 614. 89. MOSTRO: la Libia.

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