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E disse: Or ha bisogno il tuo fedele Di te, ed io a te lo raccomando. 100 Lucia, nimica di ciascun crudele,

Si mosse, e venne al loco dov' io era, Che mi sedea con l'antica Rachele. 103 Disse: Beatrice, loda di Dio vera

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Chè non soccorri quei che t' amò tanto,
Che uscio per te della volgare schiera?
Non odi tu la pièta del suo pianto?

Non vedi tu la morte che il combatte
Su la fiumana, ove il mar non ha vanto?
Al mondo non fur mai persone ratte

A far lor pro ed a fuggir lor danno,
Com' io dopo cotai parole fatte:
Venni quaggiù dal mio beato scanno

Vita Nuova C. 40. Conv. III, 9); dall' altro canto perchè egli avea cercato luce anche allorquando era smarrito nella selva oscura, vale a dire nell' epoca dei suoi traviamenti morali e religiosi. -DIMANDO domanda.

101. DOV' IO ERA, «Beatrice in cielo è collocata accanto Rachele, e di sotto, benchè non direttamente, a Maria. E quindi ella rimaneva dalla parte opposta a Lucia, la quale perciò è verisimile che si movesse di suo luogo per parlare con Beatrice.» Giul.

102. RACHELE, figlia di Labano e seconda moglie del patriarca Giacobbe, figura della Contemplazione.

103. LODA=lode. «Quando passava per via le persone correvano per vederla; ed altri dicevano: benedetto sia lo Signore che si mirabilmente sa operare!» V. N. c. XXVI.

105. CHE USCIO PER TE, «proposi di non dir più di questa benedetta (Beatrice), infintantochè io non potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso.» V. N. c. XLIII. «Io adunque fuggito dalla pastura del vulgo, a piedi di coloro che seggono, ricolgo di quello che da loro cade» (= studio quanto posso) Conv. I, 1. Per amore verso Beatrice e nel desiderio di esaltarla degnamente Dante erasi dato agli studj; mediante gli studj era fuggito dalla pastura del vulgo, ossia uscito della volgare schiera.

106. PIÈTA pietà; oppure vale qui affanno, angoscia. 107. LA MORTE, del peccato. Il peccato m' ingannò

Rom. VII, 11.

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ed uccise. 108. SU LA FIUMANA ecc. « Ammettendo con alcuni interpreti una vera fiumana, che, ingrossata dai torrenti, straripa, o tenendo la fiumana essere lo Acheronte, non solo contradiciamo a Dante stesso, il quale nè qui nè altrove parla di un fiume che scorra all' uscita della selva e d' altrónde dà ben altra origine tanto all' Acheronte quanto a tutti i fiumi infernali, Inf. XIV, 115 sg.; ma veniamo altresì a notare una circostanza di nessun conto. All' incontro, seguendo coi più il senso allegorico, vediamo nella morte la morte spirituale e nella fiumana la vita dell' uomo tempestata dalle passioni; ove il mar non ha vanto non vuol dir già che il mare non ha vanto sopra Acheronte, poichè Acheronte non isbocca tributario al mare, sibbene che il mare non può aver vanto sulla fiumana, come quello che è meno burrascoso e meno pericoloso. Donde è chiaro che la morte, la quale minaccia il poeta è una cosa sola colle trè fiere, e la fiumana colla selva.» Blanc.

109. FUR, per furono, occorre sovente presso gli antichi poeti. veloci, preste.

111. FATTE, dette da Lucia a Beatrice.

DANTE, Divina Commedia. I.

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RATTE,

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Fidandomi nel tuo parlare onesto
Che onora te e quei che udito l' hanno'.
Poscia che m' ebbe ragionato questo,

Gli occhi lucenti lagrimando volse,
Perchè mi fece del venir più presto:
E venni a te così com' ella volse;

Dinanzi a quella fiera ti levai

Che del bel monte il corto andar ti tolse. 121 Dunque che è? perchè, perchè ristai? Perchè tanta viltà nel core allette? Perchè ardire e franchezza non hai, 124 Poscia che tai tre donne benedette Curan di te nella corte del cielo,

E il mio parlar tanto ben t' impromette?» 127 Quale i fioretti, dal notturno gelo

Chinati e chiusi, poi che il sol gl' imbianca, Si drizzan tutti aperti in loro stelo: 130 Tal mi fec' io di mia virtute stanca;

133

E tanto buono ardire al cor mi corse,
Ch' io cominciai come persona franca:
«O pietosa colei che mi soccorse!
E tu cortese, che ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse!

113. ONESTO, nobile. «La bellezza e purità dell' ingegno di Virgilio è posta da Dante quasi grado dalla scienza temporale all' eterna.» Tom. 114. UDITO, beato chi legge e coloro che ascoltano le parole di questo libro. Apoc. I, 3.

116. VOLSE, rivolse al cielo.

117. PERCHÈ, per la qual cosa. DEL al.

118. VOLSE

prosa.

volle; forma usata sovente dagli antichi in verso ed in

119. FIERA, la lupa.

120. IL CORTO ANDAR, la via più spedita di arrivare al monte; vedi c. I, 91 sg. - TOLSE impedì.

121. RISTAI, ti fermi, non prosiegui il viaggio.

122. ALLETTE, allettare dal latino allectare, frequentativo di allicere, onde ottimamente il Boccaccio: allette, cioè chiami, con la falsa esaminazione, la quale fai delle cose esteriori. Bl.

125. CURAN DI TE, sono sollecite della tua salute.

126. IL MIO PARLAR, ciò che Virgilio disse a Dante nel Canto I. v. 112-129.

128. IMBIANCA, illumina, rischiara.

130. TAL MI FEC' 10, così rialzai il mio vigore e mi feci ardito e franco. STANCA, abbattuta, vinta, quasi chiusa e chinata.

132. FRANCA, ardita, corraggiosa.

134. CORTESE; «Cortesía e onestade è tutt' uno; e perocchè nelle corti anticamente le virtudi e li belli costumi si usavano,

vocabolo dalle corti.» Conv. II, 11.

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si tolse questo

135. VERE PAROLE, perchè del tutto corrispondenti al fatto riguardo a Dante, e perchè

Alma beata non porria mentire

Perocchè sempre al primo vero è presso. Parad. IV, 95.

136 Tu m' hai con desiderio il cor disposto
Sì al venir, con le parole tue,

Ch' io son tornato nel primo proposto.
139 Or va, chè un sol volere è d' amendue:
Tu duca, tu signore e tu maestro.>>
Così gli dissi; e poi che mosso fue,
142 Entrai per lo cammino alto e silvestro.

138. PRIMO PROPOSTO, proposito di seguirti; C. I v. 130-134.

139. UN SOL VOLERE È D' AMENDUE, la mia volontà è intieramente conforme alla tua.

140. TU DUCA, quanto è nell' andare, TU SIGNORE, quanto è alla preeminenza ed al comandare, E TU MAESTRO quanto è al dimostrare, Bocc. 141. FUE, fu; così quasi sempre appresso gli antichi.

142. ALTO, difficile, periglioso; come nel C. II, 12. XXVI, 132. SILVESTRO, selvatico aspro;

io muovo

Li passi miei per sì selvaggia strada. Inf. XII, 92. Angusta è la via che mena alla vita. S. Matteo VII, 14.

CANTO TERZO.

PORTA DELL' INFERNO; VESTIBOLO: I VIGLIACCHI; CELESTINO V.; ACHERONTE; CARON; TRAGITTO; TREMOTO.

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Per me si va nella città dolente,

Per me si va nell' eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
Fecemi la divina potestate,

La somma sapienza e il primo amore.
Dinanzi a me non fur cose create,
Se non eterne; ed io eterno duro.

Lasciate ogni speranza voi ch' entrate!

1. PER ME. I primi nove versi del presente canto, col quale la principio l'azione del poema, contengono la terribile iscrizione sopra la porta dell' inferno. Per prosopopea vi s' introduce la porta parlando di sè medesima e della regione dolorosa alla quale essa conduce. CITTÀ DOLENTE: in generale l' intiero inferno, ma più specialmente la città che ha nome Dite, Inf. VIII, 68.

4. MOSSE: ad edificarmi.

5. 6. Allude in questi due versi alla S. Trinità, secondo la massima teologica che opera ad extra sunt totius Trinitatis. Nella circonscrizione delle tre Persone il poeta segue Tommaso d' Aquino il quale dice che al Padre si attribuisce l' onnipotenza (=potestate), al Figlio la sapienza, ed allo Spirito Santo la bontà (= primo amore). AMORE: La pena è amore, se giusta. Tom. Acq.

7. 8. DINANZI A ME: L'inferno è il fuoco eterno, preparato al diavolo ed a' suoi angeli, Matt. XXV, 41; fù dunque creato dopo la caduta di Lucifero, conseguentemente dopo gli angeli e le sfere celesti. Dall' altro canto l'inferno fù fondato avanti la creazione del mondo, o per lo meno avanti la creazione dell' uomo, stantechè Lucifero esiste qual tentatore già nel mattino della creazione. Le cose create prima dell' inferno sono adunque gli angeli, ed i cieli (forse anche la terra quanto alla materia sua), e queste cose create durano eternamente. Dopo l'inferno fu creata la terra (almeno quanto alla sua forma), gli uomini, animali, piante ecc., -cose non eterne ma transitorie.

8. ETERNO: eternamente. La lezione eterna di parecchi codd. ed ediz. sembra correzione di chi non si accorse che Dante adopera qui, come sovente lo fa, l' addiettivo in vece dell' avverbio.

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Queste parole di colore oscuro

Vid' io scritte al sommo d' una porta;
Perch' io: «Maestro, il senso lor m' è duro.»>

Ed egli a me, come persona accorta:

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Qui si convien lasciare ogni sospetto,
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al luogo ov' io t'ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose

Ch' anno perduto il ben dello intelletto.>>
E poi che la sua mano alla mia pose
Con lieto volto, ond' io mi confortai,
Mi mise dentro alle segrete cose.
Quivi sospiri, pianti ed alti guai

Risonavan per l' aer senza stelle,
Perch' io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,

Parole di dolore, accenti d'ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle,
Facevano un tumulto, il qual s'aggira

Sempre in quell' aria senza tempo tinta,
Come la rena quando a turbo spira.

12. IL SENSO LOR M'È DURO: Gravi mi sono queste parole, se ben le intendo. E che? dovremo noi sempre rimanere quinc' entro dove tu mi guidi? Duro significa quì grave, doloroso, come Inf. IX, 122: «duri lamenti». Giul.

13. ACCORTA: perchè si avvide de' miei timori e ne penetrò la cagione. 14. SOSPETTO: paura.

15. MORTA: spenta, annichilata.

16. T'HO DETTO: vedi Canto I, 114 e seg.

18. IL BEN DELLO INTELLETTO: la perfetta cognizione e l'intuizione di Dio. Il ben dell' intelletto, dice l'Aquinate, è la verità. Così pure Dante nel Convito, t. 1. c. 2. t. II. c. 14.

19. E POI CHE: dopo avermi preso per mano. Inf. XIII, 130.

21. SEGRETE COSE: Virgilio m' introdusse a veder ciò che si nasconde agli occhi de' mortali.

25. DIVERSE LINGUE: linguaggi strani, stantechè tutti convengon qui d'ogni paese, v. 123. ORRIBILI FAVELLE: linguaggi di suono spaventevole.

dolore, come quelle di ACCENTI D' IRA: proVOCI ALTE E FIOCHE:

26. 27. PAROLE DI DOLORE: espresse dal vivo gente che, forte gravata, forte si lamenta, v. 44. feriti da chi ad ira parea mosso, Inf. XXIV, 69. secondo che il dolore faceva stridere que' miseri, o questi ne restavano oppressi e vinti, v. 33. E SUON DI MAN: ad esse voci aggiungevano suono di mani percotendo l' una nell' altra, come fa chi si abbandona alla desolazione. Giul.

29. SENZA TEMPO: eternamente, poichè l' eternità esclude il tempo. TINTA: buja, fosca, caliginosa.

30. TURBO: turbine. Così s' aggirava quel tumulto come si aggira la rena nel mondo quando soffia il vento in giro. Diversi codd. ed il più delle ediz. leggono: quando il turbo spira. Difficile assai, se non del tutto impossibile si è il decidere quale sia la lezione genuina. La seconda sarebbe più chiara, la prima è più poetica.

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