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Quella che giva intorno era più molta,
E quella men che giaceva al tormento,
Ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto il sabbion d'un cader lento
Piovean di fuoco dilatate falde,
Come di neve in alpe senza vento.
Quali Alessandro in quelle parti calde
D' India vide sovra lo suo stuolo
Fiamme cadere infino a terra salde;
Perch' ei provvide a scalpitar lo suolo

Con le sue schiere, per ciò che il vapore

L' ardente sabbione non è un suolo naturale, e neppur natural pioggia sono le dilatate falde di fuoco, siccome anche la brutta passione, dalla quale costoro si lasciarono signoreggiare, non è naturale.

25. QUELLA: la schiera dei sodomiti. PIÙ MOLTA: molto più numerosa delle due altre schiere. La schiera dei sodomiti è la più grande, quella dei bestemmiatori la più piccola, quella degli usurai tiene il mezzo. Ecco la statistica dei tempi di Dante. Nel canto seguente ci dirà che i sodomiti appartenevano per lo più alla classe dei letterati; cfr. XV, 106 e seg.

26. QUELLA MEN: men numerosa era la schiera di coloro che giacevano supini in terra, cioè de' violenti contro Dio. I più segnalati son sempre pochi, tanto nel male come nel bene.

27. AL DUOLO: ai lamenti. Giacendo avea maggior tormento e perciò si lamentava più fortemente. In vita ebber' questi la lingua sciolta alle bestemmie, adesso l' hanno sciolta alle grida di lamenti disperati. Però questo adesso, questo inferno di dolori non è solamente nel mondo di là; questo inferno il peccatore lo porta nel suo proprio interno e le di lui bestemmie non sono in fondo che lamentevoli strida prodotte dal tormento interno. Infatti Capanéo che è più punito degli altri (v. 64), non ha la lingua sciolta ai lamenti, bensì alla bestemmia.

28. D'UN CADER LENTO: cadendo lentamente. E il Signore fece piover dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra solfo e fuoco dal Signore. Genesi XIX, 24.

29. DILATATE FALDE: ampie fiaccole.

30. COME: come nevica la neve a falde nelle alpi, quando non è vento: imperò che quando è vento la rompe e viene più minuta. Buti.

31. QUALI: fiamme. ALESSANDRO: nella pretesa epistola di Alessandro Magno ad Aristotele (Alexandri magni epistola de situ India et itinerum in ea vastitate ad Aristotelem ecc.), si racconta che nella spedizione di Alessandro nell' India dopo una terribile tempesta la neve cadesse in modum vellerum, la qual neve il Macedone abbia fatto calpestare ai suoi soldati ne castra cumularentur, ed affine di poter accender di nuovo i soliti fuochi. Una cosa fu però la salute dell' esercito, che alla neve seguì una pioggia dirotta, per cui la neve subito si sciolse. Alla neve abbia tenuto dietro un' atra nubes, poi visæque nubes aliæ de cœlo ardentes tanquam faces decidere ut incendio eorum totus campus arderet. Jussi autem milites suas vestes opponere ignibus. Indi nox serena, continuo nobis orantibus, reddita est, ignes ex integro accenduntur et a securis epulæ capiuntur. La tradizione conosce dunque due avvenimenti diversi i quali Dante, sia che non gli conoscesse, sia che lo facesse a bello studio, o confonde o combina insieme.

33. SALDE: non si disfacevano neppure in terra.

34. A SCALPITAR: fece premere le fiamme da suoi soldati co' piedi. 35. IL VAPORE: la fiamma.

Me' si stingueva mentre ch' era solo:
37 Tale scendeva l' eternale ardore;

Onde l'arena s' accendea com' esca
Sotto focile, a doppiar lo dolore.
40 Senza riposo mai era la tresca

Delle misere mani, or quindi or quinci
Iscotendo da sè l' arsura fresca.
43 lo cominciai: «Maestro, tu che vinci

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Tutte le cose, fuor che i Demon' duri
Che all' entrar della porta incontro uscînci;
Chi è quel grande che non par che curi

L'incendio, e giace dispettoso e torto
Si che la pioggia non par che il maturi?»
E quel medesmo che si fue accorto

Ch' io dimandava il mio duca di lui,
Gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto.
Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui

36. STINGUEVA: spegneva. MENTRE CH' ERA SOLO: mentre che esso vapore era solo, e prima che si congiungesse ad altri, cioè prima che altre fiamme cadessero o le cadute fossero accresciute da quelle apprese al terreno.

40. LA TRESCA: il veloce movimento. «Menare or quà or là un' altra mano, scotendo e schiaffeggiando via quelle falde, a palme aperte, dal luogo della persona ove posavano, e questo continuo lavorar di mani di quelle povere anime è spiegato mirabilmente dalla voce tresca, metafora tolta opportunamente da quel ballo saltereccio e senza regola di tempo.>> Fanf.

41. OR QUINDI: ora d' una parte ora dell' altra.

42. FRESCA: nuova, recente, le fiamme che sempre di nuovo andavano cadendo.

43. VINCI: Virgilio avea vinto sin quì tutti gli ostacoli che si erano opposti al viaggio dei due Poeti, fuorchè i Demoni duri all' ingresso della città di Dite, Inf. VIII, 82 e seg.

45. DELLA PORTA: di Dite.

USCINCI: ci uscirono.

46. QUEL GRANDE: questi è Capaneo, uno de' sette re che si ritrovarono all' assedio di Tebe, cantato da Stazio. La descrizione che il Nostro ne fa è presa si può dire di peso da Stazio, il quale lo chiama magnanimus (= grande) e Superum contemptor et qui. Fu fulminato da Giove allorchè, salito sulle mura di Tebe, ardi schernire Giove stesso e sfidarlo a volare al soccorso della città. Vedi Stat. Theb. 1. X, v. 845 e seg.

47. GIACE: si era innalzato contro la divinità, e chiunque s' innalza sarà abbassato, S. Luc. XIV, 11. TORTO: bieco.

48. LA PIOGGIA: le fiamme che piovono in questo cerchio. MATURI: ammolli, renda mite ed umile. « Acerbi diconsi gli orgogliosi; acerbo è contrario di maturo, e la pioggia ammolisce le frutta cadendo.» Tom. La pioggia di grandine grossa, acqua tinta e neve (VI, 10) fiacca (VI, 54) i golosi e gli fa urlar come cani (Vİ, 19): ma questa pioggia qui, quantunque di fuoco, non ammorza la superbia di Capaneo. Vedi v. 63 e seg. Al, MARTURI da marturiare martoriare.

49. FUE: fu.

51. QUAL: non ho temuto gli Dei in vita e non gli temo neanche adesso.

52. FABBRO: Vulcano che secondo la mitologia fabricava le saette di Giove. Costui bestemmia e sprezza la divinità in inferno come nel mondo.

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Crucciato prese la folgore acuta
Onde l'ultimo di percosso fui;
O s'egli stanchi gli altri a muta a muta
In Mongibello alla fucina negra,

Chiamando:, Buon Vulcano, ajuta, ajuta!'
58 Si com' ei fece alla pugna di Flegra;
E me saetti di tutta sua forza,

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Non ne potrebbe aver vendetta allegra.»>
Allora il duca mio parlò di forza

Tanto, ch' io non l' avea sì forte udito:
«O Capanéo, in ciò che non s' ammorza
La tua superbia, se' tu più punito.

Nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito.»>

53. CRUCCIATO: Capaneo lo avea schernito e con parole superbe espressamente sfidato.

54. L'ULTIMO DI: della mia vita.

55. GLI ALTRI: gli altri suoi fabbri, compagni di Vulcano, cioè i Ciclopi. A MUTA A MUTA: vicendevolmente, scambiandosi gli uni con gli altri.

56. MONGIBELLO: l' Etna in Sicilia, dove i poeti posero la fucina di Vulcano. -NEGRA: per la molta fuliggine.

57. CHIAMANDO: gridando come già fece nella guerra coi Giganti. BUON: valente. AJUTA: così pure grida Vulcano a' Ciclopi, Virg. En. 1. VIII, v. 438 e seg.

Tollite cuncta, inquit, cœptosque auferte labores,

Aetnai Cyclopes; et huc advertite mentem.

Arma acri facienda viro. Nunc viribus usus,

Nunc manibus rapidis, omni nunc arte magistra
Præcipitate moras.

58. PUGNA: contro i Giganti. -FLEGRA: valle in Tessaglia dove Giove fulminò i Giganti i quali, ponendo un monte sopra l'altro, volevano dar l'assalto ai cieli e scacciarne gli Dei.

59. DI TUTTA: con tutta quanta la sua onnipotenza.

60. NON: non avrebbe mai la gioja di vedermi umiliato ed avvilito, anzi rimarrei sempre lo stesso ostinato e superbo disprezzatore di lui. 61. DI FORZA: fortemente, con veemenza. Virgilio era sdegnato di udire questo spirito dannato parlare in modo tanto superbo e bestemmiare la divinità.

62. TANTO: così fortemente, che io non lo aveva ancora mai udito parlare così. Bene a ragione Virgilio si sdegna così, essendo Capaneo non solo empio ed ostinato, ma vantandosi egli pure della sua empietà. Or questo vantarsi dell' empietà è il maggiore di tutti i peccati.

63. NON S' AMMORZA: non si spegne.

64. PIÙ PUNITO: degli altri tuoi compagni di pene. L' ostinata tua superbia è appunto il tuo maggior tormento. « Perciò che la tua ostina

zione aggiunta alla pena che tu soffri, ti da doppio martire e tormento,»> Dan. Al fuoco esteriore, che tormenta e consuma gli altri, si aggiunge per costui la rabbia che lo divora e consuma internamente.

65. NULLO: nessun. Ecco come s'inganna costui! Egli crede poter irritare la divinità coll' ostinata sua superbia, ed invece la divinità lo punisce più acerbamente appunto con essa superbia ed ostinazione. sua rabbia impotente egli, ben lungi dal poter irritare la divinità, fà che tormentare sè stesso.

66. COMPITO: perfetto, compiutamente adequato al tuo furore.

Colla

non

67 Poi si rivolse a me con miglior labbia,
Dicendo: «Quel fu l' un de' sette regi

Che assiser Tebe; ed ebbe, e par ch' egli abbia
70 Dio in disdegno, e poco par che il pregi;
Ma, come io dissi lui, li suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti fregi.

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73

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Or mi vien' dietro, e guarda che non metti
Ancor li piedi nell' arena arsiccia,
Ma sempre al bosco li ritieni stretti.»>
Tacendo divenimmo là ove spiccia

Fuor della selva un picciol fiumicello,
Lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
79 Quale del Bulicame esce ruscello

Che parton poi tra lor le peccatrici,

67. SI RIVOLSE: Virgilio. MIGLIOR LABBIA: con viso più sereno ed aspetto più mite. - LABBIA: faccia, aspetto; vedi Inf. VII, 7.

68. QUEL: costui. SETTE: Capaneo, Adrasto re degli Argivi, suo suocero, Tiddeo, Ippomedonte, Anfiarao, Partenopéo e Polinice.

69. ASSISER: assediarono. EBBE: quando visse. PAR: adesso. La fiera sua superbia non è dunque altro che apparenza. Vuol sembrar grande quantunque abbia la coscienza di non esserlo. Immagine viva di quella classe di peccatori che egli rappresenta.

70. Dio: per Dante Giove è pure il nome del vero Dio, vedi Purg. VI, 118. Non è un' abuso, poichè i gentili chiamavano Giove l'ente supremo. -PAR: infatti Capaneo parla con disprezzo de suoi castighi, ma anche ciò non è che un' apparenza; egli sà troppo bene che questi castighi sono terribili.

71. LUI: a lui, vedi Inf. I, 81.

egli si sforza di vomitare contro Dio.

DISPETTI: dispregi le ingiurie che

72. FREGI: assai convenevoli e degni ornamenti, per ironia, avendo detto di sopra che nullo martirio fuor che la sua rabbia, sarebbe al suo furor dolor compito. Dan.

74. ANCOR: vuolsi congiungere con guarda, ed ha forza di pure. Così il Torelli. Altri prende ancora nel senso di per adesso; ma nell' arena arsiccia Dante non mise i suoi piedi nè adesso nè mai. -ARSICCIA: infuocata.

75. AL BOSCO: alla trista selva del secondo girone.

76. DIVENIMMO: giungemmo. Divenimmo dal lat. devenire vale molte volte semplicemente venire. -SPICCIA: sgorga, scaturisce.

77. FIUMICELLO: il Flegetonte.

78. ROSSORE: aveva sangue invece di acqua, vedi Inf. XII, 47. 75. 101. RACCAPRICCIA: mi fa orrore. «Orribile a vedere quel sangue tra il fosco della selva, il rosso del fuoco, il gialliccio della rena. Non l'aveva prima veduto questo ruscello: dunque da Capaneo a quivi era non breve lo spazio.» Tom.

79. BULICAME: sorgente o laghetto, che a due miglia da Viterbo forma un ruscello d' acque bollenti e minerali. Questo Bulicame era un bagno frequentatissimo ai tempi di Dante. Vi accorrevano, come a tutti i bagni, meretrici in gran numero. In un bando del comune di Viterbo del 1464 si ordina che le meretrici non ardiscano bagnarsi con le cittadine, ma vadano nel bagno del Bulicame. Vedi Ignazio Ciampi: Un municipio italiano nell' età di Dante Alighieri (Roma 1865). «La città di Viterbo fu fatta per li Romani», i quali «vi mandavano gl' infermi per cagione de' bagni ch' escono del bulicame.» G. Vill. 1. I. c. 51.

80. PARTON: dividono. PECCATRICI: Non v' ha dubbio che non fossero meretrici, le quali avevano fermato stanza presso de' bagni, o per fare il loro mestiere, o per servirsi dell' acqua come di medicina, egual

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Tal per l'arena giù sen giva quello.
Lo fondo suo ed ambo le pendici

-

Fatte eran pietra, e i margini da lato;
Perch' io m' accorsi che il passo era lici.
«Tra tutto l'altro ch' io t' ho dimostrato,
Poscia che noi entrammo per la porta
Lo cui sogliare a nessuno è negato,
88 Cosa non fu dagli occhi tuoi scorta
Notabile, com'è il presente rio,

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Che sopra sè tutte fiammelle ammorta.»>
Queste parole fur del duca mio:

Perchè il pregai che mi largisse il pasto
Di cui largito m' aveva il disío.

-

mente che i lebbrosi, i quali erano in grande copia, e dovevano vivere separati dagli altri. Sui bagni di Baden, in Isvizzera, scrisse il fiorentino Poggio, al tempo del concilio di Costanza, quindi intorno a 100 anni dopo di Dante: Persæpe existimo et Venerem ex Cypro et quicquid ubique est deliciarum ad hæc balnea commigrasse; ita illius instituta servantur, ita ad unguem ejus mores et lasciviam repræsentant; e sulla moralità del clero egli aggiunge: hic quoque virgines vestales vel (ut verius loquar) florales, hic abbates, monachi, fratres et sacerdotes majori licentia quam cæteri vivunt. Bl. Può riflettersi che essendo anticamente i bagni di detto bulicame molto frequentati, avessero colà in qualche distanza le pubbliche meretrici formato uno de' loro abbominevoli postriboli, per trar guadagno non meno da' servi di quelli che vi si portavano, o per curarsi, o per lavarsi, che da altre diverse persone che in que' luoghi, o soggiornavano o praticavano. Felic. Bussi, Storia di Viterbo P. 1. l. 1.

81. PER L' ARENA: infuocata del terzo girone.

micello.

QUELLO: quel fiu

82. PENDICI: amendue le sponde, le quali si chiamano pendici, perchè pendono in vêr la terra. Buti. Meglio: pendevano sopra il ruscello.

83. FATTE ERAN PIETRA: erano diventate di pietra, si erano impietrite, e ciò per virtù dell' acqua di quel fiumicello. «Anco nel bulicame di Viterbo le sponde erano impietrite.» Tom. Fatte eran è il latino jacta erant, da fieri. I MARGINI: i dorsi delle sponde, dove si suol passeggiare, erano anch' essi impietriti.

84. M' ACCORSI: non essendo quei margini coperti di arena infuocata come tutto l' altro suolo. IL PASSO: per traversare l' arena infuocata del terzo girone. LICI: lì, in quel luogo. Lici forma antica, quici, costici ecc.

come

85. L' ALTRO: fra tutte le altre cose. 87. SOGLIARE: soglia, quì ingresso. Intesa è la porta della scritta morta, Inf. III, 1 e seg. il cui ingresso non si nega a nessuno come quello della città di Dite, Inf. VIII, 115 e seg.

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88. COSA NON FU: durante l' intiero nostro viaggio dopo che entrammo nell' inferuo gli occhi tuoi non scorsero cosa che fosse più notabile del presente fiumicello.

90. AMMORTA: spegne tutte le fiammelle che sopra lui piovono. 91. FUR: furon dette da Virgilio.

92. PERCH' 10: onde conoscere per qual motivo Virgilio avesse detto il presente rio esser la cosa la più notabile fra tutte quelle che sinora nell' inferno aveva vedute. CHE MI LARGISSE: che mi dicesse per minuto, senza essere avaro di parole, perchè questo rio fosse la cosa più notabile. La metafora è presa dal cibo. Altrove Dante chiama la scienza il pane degli angeli, Conv. I, 1. Parad. II, 10.

93. LARGITO M' AVEA: me ne avea invogliato.

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