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E l'altro, a cui pareva tardar troppo
Gridava: «Lano, sì non furo accorte
Le gambe tue alle giostre del Toppo.»>
E poi che forse gli fallía la lena,
Di sè e d' un cespuglio fece un groppo.
124 Diretro a loro era la selva piena

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Di nere cagne bramose e correnti, Come veltri che uscisser di catena. In quel che s' appiattò miser li denti, E quel dilaceraro a brano a brano; Poi sen portâr quelle membra dolenti. 130 Presemi allor la mia scorta per mano, E menommi al cespuglio che piangea, Per le rotture sanguinenti, invano. «O Jacomo »>, dicea «da Sant' Andrea,

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mici e morire, piuttosto che vivere nella miseria in cui si vedea ridotto. Anche adesso costui cerca la morte, ma senza trovarla.

119. L'ALTRO: Jacopo da Sant' Andrea, sopra il quale vedi la not. al v. 133. — TARDAR TROPPO: correre troppo lentamente rispetto a Lano che, correndo più veloce, gli era entrato innanzi.

120. SÌ NON FURO: tu non fuggisti così velocemente là presso la Pieve del Toppo, quando fuggendo avresti potuto scampare e forse salvare l'anima tua, come ora fuggi. Amara ironia, ma propria degli scialacquatori spensierati.

121. GIOSTRE: così chiama la battaglia alla Pieve del Toppo, poichè essa si fece quasi a corpo a corpo, come nelle giostre, e fors' anche ironicamente essendochè per Lano si trattava in quella battaglia di fuggire come qui di correre. TOPPO: Pieve del Toppo o di S. Stefano, borgo nel territorio d' Arezzo, alla destra del Tevere.

122. FALLÍA LA LENA: gli mancava il fiato di modo che non poteva più correre.

123. GROPPO: nodo; si aggruppò in un cespuglio onde nascondersi. 126. COME: non sono cagne naturali, ma mostri infernali. VELTRI: bontà propia nel veltro è bene correre. Conv. I, 12.

127. QUEL: Jacopo. Cani mi hanno circondato. Riscuoti l'anima mia dalla branca del cane. Sal. XXII, 17. 21.

128. A BRANO A BRANO: a membro a membro.

132. PER LE ROTTURE: le cagne aveano non solo dilacerato Jacopo, ma pure il cespuglio nel quale si era appiattato; per le rotture uscivano e il pianto e la parole; vedi v. 102 nota. -INVANO: il pianto non giovava a diminuire il suo dolore.

133. DICEA: l' anima rinchiusa nel cespuglio. JACOMO DA S. ANDREA: figlio di Odorico da Monselice e di Speronella Delesmanini celebre e ricchissima donna che ebbe sei mariti. Sua madre lo lasciò erede del patrimonio di due ricchissime famiglie. Si crede che Ezzelino lo facesse uccidere nel 1239. Famoso scialacquatore del suo, come fra altri i seguenti aneddoti fanno manifesto. Una sera piovosa d' inverno tornando da caccia con numerosa compagnia d' amici, tutto molle per la pioggia, fece mettere a fuoco il coperto di paglia di un villan suo vicino affinchè ciascuno potesse comodamente asciugarsi. Il giorno dopo donò al paesano dieci campi di terra, triplo valore del danno. Altra volta aspettando alcuni uomini a convito nella sua villa di S. Andrea e indugiando essi fino a buja notte, fece incendiare alcune case di paglia lungo la via, sia perchè non ismarrissero il cammino, sia per dar loro un segno di lieto animo e di amica accoglienza. Un di venne come Nerone in desiderio di vedere un gran fuoco, e messa in fiamme una villa, che era tutta

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Che t'è giovato di me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea?»
Quando il maestro fu sovr' esso fermo

Disse: «Chi fusti, che per tante punte
Soffi con sangue doloroso sermo?»>
E quegli a noi: «O anime che giunte
Siete a veder lo strazio disonesto
Che ha le mie frondi sì da me disgiunte,
Raccoglietele al piè del tristo cesto.

Io fui della città che nel Batista

Mutò il primo patrone; ond' ei per questo
Sempre con l'arte sua la farà trista.

sua, stava di lungi a vederla ardere. Andando a Venezia per acqua, onde divertirsi facea passarini nell' acqua con monete d' oro e d' argento e si compiaceva a guardare qual facesse più numerosi rimbalzi. Una notte, non potendo addormentarsi, comandò si recassero alquante pezze di pignolato, stoffa di lana e lino che avea molto apparecchio di colla, e da' suoi domestici le fè lacerare perchè quello strepito gli conciliasse il sonno. (Vedi E. Salvagnini: Jacopo da Sant' Andrea ecc. nel vol. Dante e Padova, pag. 29-74. N. Barozzi: Accenni a cose Venete nel poema di Dante, nel vol. Dante e il suo secolo, pag. 796 e seg.)

134. FARE SCHERMO: ripararti nel mio cespuglio.

135. CHE COLPA: da dover esser rotto e stracciato per tua cagione. 136. SOVR' ESSO: quel cespuglio era dunque assai basso.

FERMO si fu fermato, arrestato.

137. PUNTE: rotture de' rami.

138. SOFFI: vedi v. 91 e 92. not.

FU

SERMO sermone; si usa anche in

prosa come Plato per Platone, Cato per Catone ecc.

139. QUEGLI: il cespuglio piangente, v. 131, e propriamente l' anima incarcerata in esso. -ANIME: a quell' anima mancano occhi per vedere e crede pertanto che ambedue siano ombre.

140. DISONESTO: indegno, sozzo. Anche i Latini dissero honestus per pulcher e inhonestus per brutto, sconcio, sozzo. Vedi Virg. Eneid. 1. VI,

v. 493 e seg.:

Atque hic Priamiden laniatum corpore toto
Deiphobum vidit, lacerum crudeliter ora,

Ora manusque ambas, populataque tempora raptis
Auribus, et truncas INHONESTO volnere naris.

142. CESTO: cespo, cespuglio.

143. FUI DELLA CITTÀ: fui di Firenze. «Fue costui, secondo l' oppenione d'alcuno, uno giudice della famiglia degli Agli, il quale, avendo renduto uno consiglio falso, et essendo stato condennato per questo vituperevolmente, se ne pose tanto dolore a cuore ch' egli, tornato a casa sua, per disperazione s' impiccò per la gola.» An. Fior. Coll' Anonimo vanno d'accordo molti altri fra gli antichi commentatori, mentre all' incontro alcuni ravvisano in costui certo Rocco de' Mozzi «il quale fu molto ricco, e per cagione che la compagnia loro fallì, venne in tanta povertà, ch' egli stesso s' impiccò per la gola nella sua casa.» Chiose anon. ed. Selmi. Il Giuliani poi è d' avviso esser costui «un sordidissimo avaraccio che, sottratto e trattenuto con mano violenta il suo ricco avere, ne fece a sè croce, il proprio supplizio e disfacimento.» Bisognerebbe in tal caso ammettere che l' avarizia inducesse costui al suicidio. BATISTA: S. Giovanni Batista, patrono di Firenze.

144. IL PRIMO: Marte, antico patrono di Firenze. esser stato per così dire deposto.

145. L' ARTE SUA: la guerra.

PER QUESTO: per

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E se non fosse che in sul passo d' Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,

Quei cittadin' che poi la rifondarno

Sovra il cener che d' Attila rimase
Avrebber fatto lavorare indarno.

151 Io fei giubbetto a me delle mie case.»

146. SUL PASSO: sul Ponte Vecchio.

147. ALCUNA VISTA: la statua sua smozzicata. vista imagine. «Firenze, da prima pagana, elesse Marte per suo protettore, e fattolo scolpire a cavallo e armato, lo pose in un tempio, che è l' odierno Battisterio. La città, divenuta cristiana a' tempi di Constantino, scelse a patrono S. Giovanni Battista in vece di Marte, la cui statua fu tratta dal tempio. Se non che, sentendo ancora alquanto dell' errore pagano, non la vollero i Fiorentini distruggere, e, guardandola come palladio, la posero su d' una torre presso Arno. E quivi rimase, insino che Attila (il quale, come ognun sa, non passò mai l' Appennino), o meglio Totila (ciò che è pur contro la storia), prese la città e la disfece, onde poi la statua cadde in Arno. Riedificata Firenze da Carlomagno (e neanche questo è storia), si ritrovò nel fiume la parte della statua dalla cintola in giù; guardata e rimirata sempre con un tal quale mistico orrore, fu posta sopra ad un pilastro in capo del Ponte Vecchio. E là restò fino nel 1333, nel quale una grande innondazione distrusse il ponte, e portò via ogni traccia della statua.»> Blanc.

149. D' ATTILA: si credeva in quei tempi che Attila avesse distrutta Firenze (Vedi Ric. Mal. c. 20. 21. e 35. 36. G. Vil. 1. II, c. 1, il quale per altro lo chiama Totile flagellum Dei), e che essa fosse stata riedificata da Carlomagno (Ric. Mal. c. 45. G. Vill. 1. III, c. 1.), ma non le sono che tradizioni.

150. INDARNO: poichè «dicesi che gli antichi avevano oppinione, che di rifarla non s' ebbe podere, se prima non fu ritrovata e tratta d' Arno l'imagine di marmo, consecrata per gli primi edificatori pagani per nigromanzia a Marte, la quale era stata nel fiume d' Arno dalla distruzione di Firenze infino a quello tempo.» G. Vill. 1. III, c. 1. - Questo superstizioso discorso posto in bocca ad un dannato è forse allegorico. Benv. da Imola: Dante vuole ridersi di Fiorenza significando, che dopo Marte perdette la forza nell' armi ed adorò il Battista, non il santo, ma il Fiorino in cui è scolpito S. Giovanni Battista. E di vero i Fiorentini un giorno intesi alle guerre ed alle fatiche riuscirono vittoriosi; ma dopo che si cambiarono in arpie rapaci, intente ai cumuli dell' oro, sebbene avessero nome di ricchi e potenti, furono poco onorati e gloriosi, e molte volte sconfitti ed oppressi.

151. GIUBBETTO: forca, patibolo, dal franc. gibet forca. La forma italiana giubbetto o giubetto è il diminutivo di giubba. Il senso di questo verso è io mi servii delle travi delle mie case per impiccarmi. Vedi nt. al v. 143.

DANTE, Divina Commedia. I.

CANTO DECIMOQUARTO.

TERZO GIRONE

DIO.

DEL SETTIMO CERCHIO:

VIOLENTI CONTRO CAPANEO. IL VEGLIO DI CRETA. I FIUMI INFER

NALI.

Poi che la carità del natío loco

Mi strinse, raunai le fronde sparte,
E rende' le a colui ch' era già fioco.
4 Indi venimmo al fine, ove si parte
Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede di giustizia orribil arte.
A ben manifestar le cose nuove,

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Dico che arrivammo ad una landa
Che dal suo letto ogni pianta rimuove.

1. LA CARITÀ: l' amor patrio. Dante era fiorentino e l'anima incarcerata in questo cespuglio avea pur detto di esser stata fiorentina; vedi XIII, 143.

2. STRINSE: costrinse, mosse. - LE FRONDE di quel cespuglio, XIII, 123 e seg. SPARTE: dalle cagne, XIII, 127 e seg.

3. RENDE' LE: le rendei. A COLUI: a quell' anima incarcerata nel cespuglio. FIOCO: stanco, lasso per lo gridare e trarre guai. Vedi Inf. I, 63 not. Al. roco.

4. AL FINE: della misera selva, descritta nel canto antecedente, che forma il secondo girone del settimo cerchio. Fine ha quì il senso di confine, o termine. OVE: al. onde. - SI PARTE: si divide.

6. ORRIBIL: spaventevole a vederla. Orribili i peccati, orribile la pena. ARTE: modo, artifizio.

7. NUOVE: strane, insolite, non mai viste. È anche quì il novus dei Latini, come VII, 20. ed altrove. Siamo al girone dei violenti contro Dio, la Natura e l' Arte, il quale è una campagna su cui piove di continuo ed in eterno fuoco. La prima classe, cioè i violenti contro Dio, ricevono supini tutto l' ardore; i violenti contro natura procurano schermirsene correndo incessantemente; i violenti contro l'arte siedono rannicchiati.

8. LANDA: pianura e campagna senza alberi. L' An. Fior. osserva landa esser voce francese e significare la via che va lungo un fiume.

9. LETTO: suolo. La natura del suolo rimove ogni pianta, non permettendole di crescere. È un suolo infuocato.

10 La dolorosa selva le è ghirlanda

Intorno, come il fosso tristo ad essa.

Quivi fermammo i passi a randa a randa.
13 Lo spazzo era un' arena arida e spessa,
Non d' altra foggia fatta che colei
Che fu da' piè di Caton già soppressa.
Oh vendetta di Dio, quanto tu déi

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Esser temuta da ciascun che legge
Ciò che fu manifesto agli occhi miei!
D' anime nude vidi molte gregge,

Che piangean tutte assai miseramente,
E parea posta lor diversa legge.
Supin giaceva in terra alcuna gente,
Alcuna si sedea tutta raccolta,

Ed altra andava continuamente.

10. DOLOROSA SELVA: dei violenti contro sè. È GHIRLANDA: circonda questa landa e la tiene in mezzo, cingendola intorno a guisa di ghirlanda.

11. IL FOSSO: la riviera del sangue, XII, 47 e seg. AD ESSA: alla dolorosa selva. Il fosso circonda la selva, e questa la landa.

12. QUIVI: tra la selva e l' arena, proprio tra il confine della selva e il principio del sabbione. A RANDA A RANDA: rasente rasente la rena, perchè in su la pianura non potevamo scendere, perchè v' era fuoco. Buti. -RANDA dal tedesco Rand è orlo, estremità.

13. SPAZZO: propriamente il lat. spatium, e vuol dire spazio, ampiezza; qui denota il suolo della landa. ARENA: L' arena sterile figura la violenza contro Dio che non produce alcun frutto. Benv. Ramb. Forse l' arena vuol dipingerci l' aridità interna dei violenti contro Dio.

14. COLEI: quell' arena. L' arena di questo cerchio era come quella della Libia, la quale fu soppressa (= calcata) dai piedi di Catone d' Utica allorchè per lo deserto di Libia condusse i residui dell' esercito di Pompeo al re Giuba. Vedi Lucan. Phars. IX.

16. VENDETTA: giustizia.

19. GREGGE: schiere.

21. PAREA POSTA: dalla diversa positura in che giacevano si poteva conchiudere che queste anime nude fossero sottoposte ad una legge diversa, ad ogni schiera imposto un' altro modo di pena.

22. SUPIN: supina, alcuna gente giaceva supina in terra; l'a è smozzicata, come anche altri scrittori antichi smozzicarono alle volte voci femminine finite in a, p. es. Guarini, Pastor jido, Atto V, sc. 8:

Pur troppo è pien di guai la vita umana,

dove pien sta per piena. Vedi Nannucci, Teor. dei Nomi pag. 385 e seg. ALCUNA GENTE: i violenti contro Dio. Giacciono supini in terra onde denotare l'impotenza loro dinanzi a quel Dio che credettero poter detronare; qui non hanno neppure la facoltà di muoversi. E giacciono supini, cioè col ventre in su, a denotare che quelle bestemmie che essi vomitarono contro Dio e mandarono verso il cielo, ricadono da alto qual fiamme ardenti nella propria loro bocca.

23. SI SEDEA: i violenti contro l'arte, cioè gli usurai. Siedono rannicchiati come coloro che non lavorarono essi medesimi, ma fecero lavorare il morto metallo, cioè i danari. RACCOLTA: perchè son gente non compagnevole e solo intesa ai guadagni.

24. ALTRA: i violenti contro natura, ossia i sodomiti. Corrono incessantemente trasportati loro malgrado dalle loro passioni come i carnali del canto V; ma corrono su un terreno più tristo e sotto dolorosa pioggia.

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