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Poi che il superbo Ilion fù combusto.
76 Ma tu, perchè ritorni a tanta noja

Perchè non sali il dilettoso monte
Ch'è principio e cagion di tutta gioja?»
79 «Or se' tu quel Virgilio, e quella fonte
Che spande di parlar si largo fiume?»
Risposi lui con vergognosa fronte.
«O degli altri poeti onore e lume,

82

Vagliami il lungo studio e il grande amore
Che mi ha fatto cercar lo tuo volume.
85 Tu se' lo mio maestro e il mio autore:
Tu se' solo colui, da cui io tolsi
Lo bello stile che mi ha fatto onore.
Vedi la bestia, per cui io mi volsi:
Aiutami da lei, famoso saggio,

88

91

Ch' ella mi fa tremar le vene e i polsi.»>
«A te convien tenere altro viaggio»,

Rispose, poi che lagrimar mi vide,
«Se vuoi campar d' esto loco selvaggio:
94 Chè questa bestia, per la qual tu gride,
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ma tanto lo impedisce che l' uccide.

75. SUPERBO: per nobile, magnifico. Così pure Virg. En. III, 2. 3: ceciditque superbum Ilium. Per altro nel Purg. XII, 61–63. il poeta propone Troia ed Ilione ad esempio di superbia punita. - - COMBUSTO: arso, incendiato; dal lat. combustum.

79. OR: Al. Oh! Or corrisponde al nunc latino che alle volte non serve che a legare il discorso.

81. RISPOSI LUI, risposi a lui. Gli antichi omettevano sovente innanzi ai nomi e pronomi que' segnacasi, che in italiano fanno le veci delle desinenze che hanno i nomi latini. CON VERGOGNOSA FRONTE, reverente, dimessa per rispetto.

83. VAGLIAMI, presso te.

84. HA: al. han; ma lo studio non ha fatto cercare il libro; bensì il grande amore ha fatto cercare il libro per lo studio. La vera lezione è dunque ha. CERCAR, Svolgere.

87. LO BELLO STILE che aveva fatto onore a Dante non solo prima che scrivesse la Commedia, anzi avanti il 1300, epoca fittizia del poema, è principalmente quello del libro De Monarchia, scritto verso la fine del secolo decimoterzo.

88. LA BESTIA, la lupa. Trè erano le fiere che si opposero alla sua salita al monte; ma dall' apparizione di Virgilio in poi Dante non parla che dell' ultima. In questa circostanza parmi vedere una conferma di quanto dissi nella nota al 60. verso.

89. SAGGIO, sapienti si chiamavano appo i Greci i poeti. Anche Dante li onora di questo titolo.

91. ALTRO VIAGGIO, un' altra via da quella che impresa hai per lo monte. La via che mena alla salute non è nè così breve nè così facile come l'uomo si immagina allorquando egli ha preso la risoluzione di abbandonare il vizio. Se alcuno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio, S. Giov. III, 3.

94. GRIDE, gridi. « Miserere di me!» gridai a lui.

95-96. NON LASCIAL' UCCIDE: gli avari non erederanno il regno di Dio I Cor. VI, 10. L'avarizia coglie l' anima (= uccide) di coloro in cui ella si trova, Prov. 1, 19.

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Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo il pasto ha più fame che pría.
100 Molti son gli animali a cui si ammoglia,
E più saranno ancora, infin che il veltro
Verrà, che la farà morir di doglia.
103 Questi non ciberà terra nè peltro,
Ma sapienza e amore e virtute,

E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.

98. MAI NON EMPIE, l'occhio suo non è giammai sazio di ricchezze, Eccl. IV, S. Chi ama l' argento non è saziato con l'argento, Ibid. V, 10. 99. HA PIÙ FAME, Quando vi sono cose assai, esse accrescono la vanità, Eccl. VI, 11.

100. MOLTI, essendo l'avarizia la radice di tutti i mali. Vedi la nota al v. 50.

101. INFIN CHE IL VELTRO: veltro vale quanto levriere, o cane da corso. Passando sotto silenzio le diverse opinioni emesse sopra il senso allegorico del Veltro, accontentiamoci di interrogarne Dante stesso, ed egli ci risponderà, aver egli sotto il nome di veltro nascosto Can Grande della Scala. Il veltro è futuro (verrà): infatti Can Grande, nato nel 1291 non era peranco nel 1300, epoca fittizia del viaggio di Dante, che un fanciullo di dieci anni. Il veltro non ciberà terra ne peltro, cioè non procurerà saziarsi di terre e di ricchezze: nel Paradiso XVII, 82. 83. Dante dice di Cane:

Parran faville della sua virtute

In non curar d'argento nè di affanni.

La nazione del Veltro sarà tra Feltro e Feltro: l'uno è Feltre città del Friuli, l'altro Montefeltro in Romagna; tra Feltro e Feltro giace adunque l'intera pianura del Po, ossia il territorio sopra il quale si estendeva il dominio di Can Grande', dopo la di lui vittoria sui Padovani nel 17 Settembre 1314. Il veltro sarà il liberatore, ossia la salute d' Italia, poichè egli caccerà la lupa per ogni villa (= città), fin che l' avrà rimessa nello inerno: Di Can Grande dice Dante (Parad. XVII, 89. 90):

Per lui fia trasmutata molta gente,

Cambiando condizion ricchi e mendici.

Ma se la lupa è il simbolo della avarizia, come mai poteva Dante sperare che Can Grande rimovesse l'avarizia dall' Italia? Come mai sperare, che egli la ricacciasse nello inferno? Primieramente fà d' uopo osservare, che Can Grande dopo la morte di Enrico VII come vicario imperiale era rappresentante della autorità e potenza imperiale in Italia. Or ben può dirsi, essere la speranza, che un imperatore o il suo vicario uccidesse l'avarizia, assai esagerata. E pure Dante nutriva una tale speranza nel cuor suo. Nel libro De Monarchia egli contrappone alla cupidigia l'autorità imperiale. Alla giustizia, egli dice, massime si contrappone la cupidità; rimossa in tutto la cupidità, non resta alla giustizia alcun contrario. Dove non resta alcuna cosa che si possa desiderare, ivi non può essere cupidità. Il monarca non ha che desiderare, imperocchè la sua giurisdizione dallo oceano è terminata. E non avendo il monarca nulla o minima cagione di cupidità, ed essendo la cupidità la propria corruzione del giudizio e della giustizia, è ragionevole che egli può essere ottime disposto a reggere; perchè può più che gli altri avere giudizio e giustizia. Solo adunque il monarca può ottimamente gli altri disporre. De Mon. 1. 1. passim. Denudata dalla poetica sua veste la profezia del Veltro esprime adunque appena più alte speranze, che non fosser quelle le quali Dante in merito al suo monarca ideale nutriva. E se Can Grande era il vicario del monarca universale, e se egli già avevasi meritate le lodi dategli dal poeta nel XVII del Paradiso, quest' ultimo doveva per conseguenza fondare sopra lui le sue speranze.

106 Di quell' umile Italia fia salute,

Per cui morì la vergine Cammilla," Eurialo, e Turno, e Niso di ferute. 109 Questi la caccerà per ogni villa,

112

Fin che l' avrà rimessa nello inferno,
Là onde invidia prima dipartilla.
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno
Che tu mi segui, ed io sarò tua guida',
E trarrotti di qui per loco eterno,
115 Ove udirai le disperate strida,

118

Vedrai gli antichi spiriti dolenti,
Che la seconda morte ciascun grida:
E poi vedrai color, che son contenti
Nel fuoco, perchè speran di venire,

106. UMILE ITALIA, così la chiama per ironía, essendo essa il contrario; umile, cioè superba». Bocc.

107. CAMMILLA, figlia di Metabo re de' Volsci, morì combattendo contro i trojani. La di lei morte vien raccontata da Virgilio Eneid. XII, 768-831. EURIALO morì assieme col suo amico NISO combattendo contro i Volsci; vedi Virg. Eneid. IX, 179-445. TURNO, principe de' Rutuli, venne ucciso da Enea; col racconto della morte di questo eroe termina il poema di Virgilio.

108. FERUTE=ferite, come feruto per ferito, Inf. XXI, 87.

109. VILLA città, così pure Inf. XXIII, 95. Purg. XV, 97. XVIII, 83. 111. INVIDIA PRIMA, la prima invidia di Lucifero, il quale invidiava la felicità dell' uomo nel paradiso terrestre. Per l'invidia del diavolo la morte entrò nel mondo, Sap. II, 24. DIPARTILLA, la mandò fuori.

112. ME', meglio. DISCERNO, giudico, ha qui senso di quasi decerno. 114. LOCO (altri luogo) ETERNO, per le regioni dell' inferno. Ed io eterno duro, Inf. III, S. «Il timor della pena, il dolore dell' espiazione, la speranza del premio, son le tre scale per ritornare a virtù. Ecco la chiave dell' Inferno, del Purgatorio, del Paradiso.» Tom.

116. ANTICHI SPIRITI, gli spiriti di coloro che vissero e morirono avanti Dante.

117. CHE LA SECONDA MORTE CIASCUN GRIDA. Tutti i commentatori intendono per la seconda morte la morte dell' anima, ossia l'annichilamento e spiegano questo verso: «Ciascuno desidera, chiede con grida di morire una seconda volta, cioè di rientrare nel nulla.» Senza accingermi a dare una nuova esposizione di questo verso mi sia lecito di esternare alcuni dubbi. Primieramente non vo' decidere se il verbo gridare abbia il senso di desiderare, chiedere ad alta voce; ma appo il Dante un tal senso il verbo gridare non lo ha, e sarebbe questo il solo passo, nel quale esso verrebbe preso in questo significato. In secondo luogo non mi sembra molto probabile che Dante voglia dire che ogni dannato chiede con grida ciò di che è certo, non potergli esso giammai venir concesso. In terzo luogo la frase seconda morte vuol dire qualche cosa altro che annichilamento; eccone il senso: E la morte e l'inferno furon gittati nello stagno del fuoco. Questa è la morte seconda. Apoc. XX, 14. Ma quant' è a timidi (ignavi), ed agl' increduli (eretici), e a' peccatori, ed agli abbominevoli, e a' micidiali, e a' fornicatori, e a' magliosi, ed agli idolatri, e a tutti i mendaci: la parte loro sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, CHE È LA MORTE SECONDA. Apoc. XXI, 8. Forse il Buonanni aveva un presentimento del vero, scrivendo a questo verso: « Cioè tutti i dannati aspettono la resurretzione, e di ripigliar carne.» Ma ho già detto che non vo' azzardarmi a darne una nuova interpretazione; aggiungo soltanto, che il Tommaseo spiega grida per piange.

119. NEL FUOCO purificante del Purgatorio.

certo

Quando che sia, alle beate genti: 121 Alle qua' poi se tu vorrai salire

Anima fia a ciò di me più degna:
Con lei ti lascerò nel mio partire;
124 Chè quello imperador che lassù regna,
Perchè io fui ribellante alla sua legge,
Non vuol che in sua città per me si vegna.
127 In tutte parti impera, e quivi regge,
Quivi è la sua città e l'alto seggio.
Oh, felice colui cui ivi elegge!»
Ed io a lui: «Poeta, io ti richieggio

130

133

Per quello Iddio che tu non conoscesti
Acciò ch' io fugga questo male e peggio,
Che tu mi meni là dove or dicesti,

Sì ch' io vegga la porta di san Pietro,
E color che tu fai cotanto mesti.»
136 Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.

120. QUANDO CHE SIA: presto o tardi. ALLE BEATE GENTI, nel paradiso. Ma egli diverrà beato, di modo però, che sarà come per lo fuoco. 1 Cor. III, 15. 121. QUA', quali.

122. ANIMA di Beatrice.

124. IMPERADOR, Iddio; così Dante lo nomina sovente.

125. RIBELLANTE ALLA SUA LEGGE, fui uno di quei pagani che Non adorar debitamente Dio.

Vedi Inf. IV, 37-42.

126. NON VUOL che io venga nel cielo, il quale è sua sede. si può anche intendere: per mezzo di me, sotto la mia guida.

PER ME

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127. IMPERA, Som.: L'imperante ordina intimando e denunziando. signore muove il servo per impero. il servo si regge per impero del signore. Anco nell' impero di Dio è dolce reggimento; ma in cielo il reggere è più immediato. Tom.

128. QUIVI, ecc. Il trono del Signore è ne' cieli, Salm. XI, 4. Il Signore ha stabilito il suo trono ne' cieli; il suo regno signoreggia per tutto, Salm. CIII, 19. Così ha detto il Signore: il cielo è il mio trono, e la terra è lo scannello de' miei piedi. Isaia LXVI, 1.

129. ELEGGE a dimorare nel cielo.

131. NON CONOSCESTI: il mondo non ha conosciuto Iddio per la sapienza. I Cor. 1, 21.

134. LA PORTA DI SAN PIETRO, la porta del paradiso. « Chi consideri prima, che non solo Dante, ma nè Virgilio poteva sapere nulla della porta del Purgatorio prima che ci arrivasse, e poi che Virgilio, nonchè guidar Dante a veder questa pretesa porta di san Pietro, lo conduce per essa a traverso tutto il purgatorio fino alla cima del monte, e da ultimo che qui si indica di necessità il confine dove Virgilio, cessando di essergli guida, doveva fidarlo ad altra compagnia, il che avviene solo al finire del Purgatorio e quindi al limitare della città di Dio, si avvedrà che Dante qui segue la credenza generale del popolo, la quale assegna al Paradiso una porta commessa alla custodia di san Pietro, e nessuno si farà ombra di quello che Virgilio e Dante risanno solo sul luogo, cioè che anche il Purgatorio abbia secondo il poeta una porta guardata da un angelo.» Blanc. 135. COLORO, gli antichi spiriti dolenti. FAI, dipingi, dici.

Per non ripetere più volte le cose medesime non diamo una esposizione generale della allegoría di questo primo canto, ma rimandiamo il lettore al capitolo sul concetto della Divina Commedia nei prolegomeni.

CANTO SECONDO.

TIMORI DI DANTE; CONFORTI DI VIRGILIO; LE TRE DONNE DEL CIELO; PRINCIPIO DEL VIAGGIO.

Lo giorno se n'andava, e l'aer bruno
Toglieva gli animai che sono in terra
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
4 M'apparecchiava a sostener la guerra
Si del cammino e sì della pietate,
Che ritrarrà la mente che non erra.
O Muse, o alto ingegno, or m' aiutate;
O mente, che scrivesti ciò ch' io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate.

7

10 Io cominciai: «Poeta che mi guidi,

1. LO GIORNO, imitazione dei versi di Virgilio Eneid. VIII, 26. 27: Nox erat; et terras animalia fessa per omnis

Alituum pecudumque genus sopor altus habebat.

È la sera del 25 Marzo del 1300; il primo giorno è passato tra i disastri della selva ed i discorsi con Virgilio.

2. ANIMAI, esseri animati; altrove Dante chiama gli uomini: gli animali che natura ha più cari, Purg. XXIX, 137. 138.

3. SOL UNO, fra tutti gli animai che sono in terra, ai quali Virgilio non appartiene.

4. LA GUERRA, i disastri del cammino per l'aspra e forte via, Purg. e le pene che dovevano accagionargli la vista dei tormenti nello

II, 65. inferno.

6. RITRARRÀ, descriverà, esporrà. LA MENTE, memoria; CHE NON ERRA, fedele e pensata.

7. ALTO INGEGNO, il proprio genio inspiratore. Cfr. Inf. X, 59.

Se per questo cieco

Carcere vai per altezza d' ingegno.

8. SCRIVESTI, serbasti, ritenesti, come si ritengono le cose per iscritto, ciò ch' io vidi nel mio viaggio; qui in questo poema si parrà apparirà la tua nobilitate, la tua sufficienza, bontà e perfezione. « L'ingegno è la forza meditante, la mente è la memoria imaginante. Dante invoca l'ispirazione divina, le forze naturali del pensiero, e la potenza dell' imaginazione risuscitante i fantasmi.» Tom.

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