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Dante Alighieri

Da un dipinto di Giotto

nel palazzo del Bargello in Firenze

VITA

DI

DANTE ALIGHIERI

Sebbene

ebbene io sia certo di non avanzare no per ingegno nè per arte quelli che scrissero la vita di Dante Alighieri, nulladimeno stimo di non far cosa al tutto vana se in poco raccoglierò quelle notizie che ne' costoro libri separate si trovano. Mi aprirò la via col narrare gli eventi nel corso de' quali si formò e crebbe quell' altissimo ingegno, affinchè sieno dinanzi alla mente di chi leggerà la Divina Commedia, ed affinchè si vegga che le umane lettere, comechè prosperino talvolta sotto la protezione de' principi, pure trovano più facile alimento ed impulso in quelle varietà e mutazioni di stato, in que' tempi, in que' governi ove gli uomini sono condotti dalla quiete ed oscurità domestica nel tumulto dei negozi civili e nella publica luce, e dove, commossi da contrari affetti o accesi nella carità della patria, mostrano al mondo le buone e le ree qualità loro, e con ciò porgono agli scrittori ampia e grave materia di poemi e di storie.

E per prendere le cose dall'origine loro, dico che le discordie fra la famiglia de' Buondelinonti e

quella degli Uberti aveano tribolata molt' anni la città di Firenze, quando Federico II imperatore, volendo accrescere le forze sue contro il papa e le republiche italiane, diedesi a favorire gli Uberti e i loro seguaci: donde nacque che i Buondelmonti furono cacciati, e che l'ana delle due parti seguito l'imperatore e l'altra il pontefice. Così Firenze, come gli altri paesi della misera Italia, fu in Ghibellini ed in Guelfi divisa. La qual divisione non solo di moltissimi tumulti, di moltissimi esilii e costernazione d' uomini e sanguinosi fatti fu cagione; ma che si cangiassero sovente le leggi e lo stato, secondo gli umori di quella parte che sovrastava. Era grande nel popolo fiorentino l'amore della libertà e della quiete, e forse i costumi suoi non erano sì corrotti da impedire la introduzione di civile reggimento: ma non era allora in Firenze e nel resto d'Italia bastevole intelligenza de' governi della città: ondechè, mancando al buon desiderio i buoni ordini, il popolo fiorentino fu lungo tempo senza libertà e senza pace. Morto Federico e succedutogli Manfredi suo figliuolo naturale, i Fiorentini, cui parve tempo di scuotere l'estranio giogo, chiamati i Guelfi, ordinarono il viver libero; ma, dirizzando le leggi contro la potenza de'grandi già favoriti da Federico, aprirono la via a nuove discordie, le quali furono cagione dell' esilio de' Ghibellini, della guerra sanese, della rotta d'Arbia, e finalmente del ritorno degli esuli. Nè dopo la morte di Manfredi ebbero fine i tumulti. Perciocchè di nuovo furono cacciati coloro che la vittoria d' Arbia avea ricondotti in Firenze.

D'indi a non molto, richiamati Guelfi e Ghibellini, e creato un gonfaloniere di giustizia contro la potenza dei grandi, la città di Firenze sperò di posare ma tosto fu costretta a sentire la riforma di Giano della Bella, il quale deliberando che le famiglie, le quali avessero avuto tra loro de' cavalieri, noa potessero prendere autorità ne' magistrati supremi, fomentò gli odii civili e preparò gli animi alla divisione de' Cerchi e de' Donati, la quale fu tosto inasprita dai Neri e dai Bianchi, che, stracchi dal perseguitarsi in Pistoia, dov' ebbero l'origine, vennero a Firenze; e quivi i Neri unitisi ai Donati ei Bianchi ai Cerchi, fecero publiche le private loro discordie. Non essendo stati sufficienti a reprimere tanto male i prieghi e le cure del cardinale di Prato, inviato di papa Benedetto, non andò guari che le due parti vennero alle mani ed al sangue, e la città fu indi sì piena di sospetti e di tumulti, che quelli di parte nera deliberarono di chiedere al papa uno di sangue reale che venisse a riformare lo stato. I priori, tra' quali era Dante, tennero questa deliberazione come una congiura contro il viver libero, e confinarono alcuni de' capi dell'una e dell'altra parte. 1 Bianchi indi a poco tempo tornarono. I Neri sbanditi si volsero a papa Bonifacio, e tanto poterono appresso di lui colle false informazioni e colle maliziose parole, che fu mandato a Firenze Carlo di Valois de' reali di Francia, il quale era in Roma per passare contro Federico d' Aragona in Sicilia. Venuto costui a Firenze in qualità di pacierc, poco stette a scoprire il suo mal talento; poichè

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